Credere o non credere?
A Livorno, si crede nel Vernacoliere.
E non è affatto una brutta religione.
A Livorno, si crede nel Vernacoliere.
E non è affatto una brutta religione.
I telefoni portatili sono delle maledizioni.
Possono squillare in qualsiasi momento.
Ricordano Verdone in Viaggi di nozze: Disturbo? No, non disturba affatto…
I più delicati si fanno precedere da sms: Ti posso chiamare?
E’ una formula molto carina.
Molto gentile.
Sensibile.
Poi ci sono quelli che ritengono che si debba rispondere per forza.
Quelli che lasciano squillare il telefono fino all’esaurimento della batteria, come se stessero chiamando un sordo o un demente o una persona che se solo sapesse che la stanno chiamando risponderebbe subito.
Spesso non è così.
Magari semplicemente non si vuole o non si può rispondere.
Così può succedere che all’ottava vibrazione della tasca, le gambe ridotte ad un palletico che rammenta il delirium tremens di un libro di Dickens, uno risponda:
Pronto [detto con bocca palesemente piena]
Disturbo?
Sto mangiando un panino…
Ah, allora, ti volevo dire…
Ma_cche_ccazzo!
E’ morto anche l’ultimo operaio di Molfetta.
Ad essere cinici, verrebbe da dire: Sfiga, non sarà candidato dal Partito Democratico.
Ad essere realisti, viene da pensare al dibattito sui quotidiani di stamane. Sia Liberazione che Il Secolo d’Italia titolavano sulla inutilità della tragedia della Thyssen: suo malgrado, il governo non ha emanato le nuove norme in materia di sicurezza previste da una recente legge di delegazione.
Ma davvero il problema è un vuoto legislativo?
Forse no.
Le norme in materia di salute e sicurezza dei lavoratori hanno un solo principio generale: il datore di lavoro deve adottare tutte le misure necessarie per evitare che i lavoratori possano subire degli infortuni.
Che i suoi dipendenti possano morire di lavoro.
Non è un principio da poco e dovrebbe essere sufficiente.
Come non è un principio da poco quello che vuole il costo della sicurezza escluso dai ribassi d’asta: la sicurezza non può essere oggetto di un computo economico.
E’ al di sopra di qualsiasi calcolo di convenienza.
No.
Il problema non è un vuoto legislativo.
Forse non è nemmeno in un vuoto di apparati.
Il problema sta nell’art. 1 della Costituzione: L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro.
Ed il lavoro è il dono di uno spirito maligno, il quale ogni anno chiede un certo numero di vittime.
Proprio come il Minotauro a Creta.
E né Berlusconi, né Veltroni assomigliano a Teseo.
Di Pietro chiede a gran voce di conoscere il nome dei candidati che hanno conti bancari in Liechtenstein.
Ieri lo chiedeva la prima pagina di Libero.
Di Pietro giustifica la sua richiesta con un rombante: Non voglio candidare persone che hanno dei segreti nell’armadio, non vorrei che dovessero perdere tempo a difendersi in processi penali invece di venire in Parlamento.
La domanda di Feltri ha una sua ragionevolezza. E’ difficile negare che in un periodo elettorale non ci sia un interesse pubblico alla conoscenza di dati la cui rilevanza politica è indiscutibile.
La domanda dell’ex sostituto procuratore è retorica, vociata ed inopportuna.
Di Pietro può scegliere di candidare chi vuole, purché si rammenti di aver fatto eleggere il leader degli Italiani nel mondo – personaggio variamente indagato – la cui immediata defezione ha concorso significativamente a generare la debolezza dell’Ulivo nella scorsa legislatura.
L’equazione giustizialista fra conti esteri, riciclaggio, evasione fiscale e pedofilia è assurda ed irragionevole. Può ricordare la perfida Albione di un retore mascelluto che andava di moda ottanta anni fa.
Ma poi se uno fa il ministro della repubblica, davvero ha bisogno di chiedere ai giornali una lista che è nelle mani del suo compagno di governo?
O è talmente infido che nemmeno i suoi colleghi si fidano di lui, o non vuole sapere nulla.
Vuole solo far sapere che lui vorrebbe sapere ma nessuno gli dice nulla.
Il solito teatrino liberamente squallido.
Nel giorno, in cui il Partito Democratico ha deciso di non candidare il Talleyrand di Nusco, anche il Partito delle Libertà della Michela Vittoria Brambilla ha fatto un importante annuncio.
Eccolo.
Non sarà candidato chi ha processi in corso.
E’ una affermazione importante.
Molto importante.
Se vogliamo un po’ qualunquista e costituzionalmente inopportuna: un processo pendente non vale come colpevolezza. Una persona può essere accusata ingiustamente ed in ogni caso è innocente, esattamente eguale a tutti gli innocenti, finché non è condannata con una sentenza passata in giudicato.
Ma molto più inopportuna e costituzionalmente spiacevole la puntualizzazione di Sandro James Bondi, l’ex sindaco comunista di Porcari, ridente località fra Altopascio e Lucca.
Bondi ha precisato che questa regola non vale per i processi di chiara matrice politica.
Non scandalizza tanto l’esclusione di importanti esponenti del Partito delle Libertà da un principio che nella sua essenza giustizialista si è già criticato.
No.
Non è questo.
Quello che disturba è che in questo modo si trasforma una candidatura in una convocazione dei comizi elettorali con finalità assolutorie.
E’ noto l’argomento di Berlusconi: non mi interessano le condanne dei giudici quando il voto dei cittadini mi assolve.
Questo argomento adesso diventa esplicito già prima del voto: mi candido perché il processo cui sono sottoposto ha natura politica, di talché se vengo eletto il corpo elettorale ha giudicato l’azione penale nei miei confronti come strumentalmente persecutoria.
Cazzo, verrebbe da aggiungere.
Ma non sarebbe elegante.
Il fatto di cronaca è triste e noto.
Un disgraziato, con la faccia da disgraziato, ha violentato una bambina di quattro anni.
Lo aveva già fatto ed era stato condannato.
Forse lo aveva fatto di nuovo ed era in attesa di un processo di appello.
Era – legittimamente – sottoposto unicamente all’obbligo di firma, che ha assolto insieme alla sua vittima prima di stuprarla.
Forse è questa la cosa che colpisce di più.
Ma non è di questo che si discute.
Si discute, ne discutevano ieri sera in termini elettorali una leghista ed un candidato del partito democratico, della possibilità di castrare chimicamente i pedofili.
Come se fosse diverso il fatto del castrare per via chimica dal castrare per via chirurgica.
Fra la castrazione e la pena di morte vi è una affinità impressionante.
In entrambi i casi, lo Stato interviene sul corpo del condannato.
Fa della condanna una espiazione fisica.
E’ difficile non ricordare Beccaria: che cosa succede se ci si accorge che era innocente?
Ma soprattutto lo Stato può avere il potere di punire un uomo intervenendo sul suo corpo, sulla sua fisicità?
Per l’art. 27, Cost. le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
La stessa norma vieta la pena di morte se non nei casi previsti dal codice penale militare di guerra.
Castrare una persona è un trattamento contrario al senso di umanità.
E’ immaginare che questa persona sia semplicemente il suo organo sessuale.
Castrare una persona significa condannarla a morte.
Significa impedirle definitivamente di avere una vita sessuale.
E’ davvero singolare – singolare ed ipocrita – ritenere che questo signore non avrebbe violentato la sua piccola vittima se fosse stato castrato.
Il problema non è questo.
Il problema è che questo signore è stato scarcerato per decorrenza dei termini, ovvero che lo Stato non è riuscito a processarlo, ad arrivare ad una sentenza definitiva prima che scadessero i termini della custodia cautelare.
Ci sono dei processi che meritano delle corsie preferenziali.
Che devono essere celebrati prima che scadano i termini della custodia cautelare.
Non solo.
Questo signore era già stato condannato e detenuto per un reato simile.
Il problema è che la pena che ha scontato non è servita a nulla.
Che non è servita a rieducarlo.
Se la pena non riesce a rieducare il condannato devono – e possono legittimamente essere – adottate delle misure di sicurezza che gli impediscano di nuocere nuovamente.
Come è per il mafioso che non può tornare nel suo paese dopo avere scontato la pena.
I problemi sono questi, e molti altri, ma non si rimediano con la castrazione.
Castrare un pedofilo perchè lo Stato non sa rieducarlo o non riesce a processarlo nei tempi utili a salvare una bambina dalla sua follia è prendersi in giro.
Qualche mese fa, sulla metà di agosto, Valentino Rossi è stato oggetto di un avviso di accertamento per oltre 120 Milioni di Euro.
La questione è stata su tutti i giornali.
Il problema era se effettivamente il centro della sua vita personale fosse Londra, dove aveva fissato la residenza, o la Romagna, dove pare che abiti.
Nel primo caso, avrebbe dovuto pagare le tasse alla Regina di Inghilterra, nel secondo a Napolitano.
All’epoca apparve a rete unificate con un video di gusto piuttosto discutibile ed indimenticato.
Oggi, si sa che Valentino Rossi ha chiuso ogni controversia con il fisco pagando 20 Milioni di Euro.
Una cifra sicuramente molto significativa.
Ma molto meno ingombrante di 120 Milioni di Euro.
Non sembra molto giusto.
Le tasse sono un dovere.
Un dovere spiacevole, ma un dovere.
E non sembrano poter essere oggetto di transazioni.
Prima di tutto, perché le transazioni introducono un elemento di disparità di trattamento fra chi ha pagato tutto quando doveva pagare e chi ha aspettato il contenzioso per chiudere una lite risparmiando cifre importanti.
Ma anche perché dietro alle tasse ci sono dei doveri di solidarietà, che vengono misurati – costituzionalmente ponderati – sul parametro della capacità contributiva e la capacità contributiva non può cambiare in virtù di una transazione.
La transazione poteva essere corretta solo se il fisco avesse sbagliato l’avviso di accertamento.
Però avrebbe dovuto chiamarsi rettifica, non transazione.
E’ un ragionamento qualunquista ma non si può davvero fare a meno di osservare che 20 Milioni sono poco più del 15% di 120 Milioni.
Poco.
Davvero poco.
Non volevo scrivere questo post.
Non volevo scrivere della fiducia a Prodi.
Non volevo scrivere di Marini e di Nino Strano.
Nè del primo che urla "Mica siamo all’osteria" né del secondo che tira fuori una bottiglia di champagne e si ingozza di mortadella.
Platealmente.
Simile al basso impero post Caligola.
Perché anche Tiberio aveva più dignità.
Ma non riesco a non farlo.
Mi sento di doverlo fare.
Con delle osservazioni molto tecniche.
Da professore pissero.
Prodi ha sostenuto che chiedere la fiducia era un dovere.
Un dovere istituzionale.
Un modo per rispettare la sovranità del Parlamento.
Non è così.
Può essere così solo se si considera la Costituzione come un testo scritto, un qualcosa che può essere liberamente interpretato dal suo lettore.
La Costituzione però non è un testo.
E’ la consapevolezza di un testo che vive nel tessuto storico, politico e sociale di una nazione.
Se in sessanta anni di storia costituzionale, sei l’unico che si presenta davanti al Parlamento per ricevere una formale mozione di sfiducia, non sei un dritto.
Sei uno che si disinteressa completamente della storia delle istituzioni di cui fa parte.
Le crisi extraparlamentari hanno un valore.
Un valore materialmente costituzionale.
Sono uno strumento per rendere liquida una frattura fra maggioranza e governo.
Per evitare contrapposizioni rigide.
Per consentire la ricerca di mediazioni ponderate.
Ignorare tutto questo non significa rispettare la Costituzione.
Esattamente il contrario.
Cuffaro è stato condannato per qualcosa che assomiglia molto al concorso esterno in associazione mafiosa, ovvero al reato da cui Andreotti è stato prosciolto per prescrizione.
Mastella è indagato per le modalità di gestione delle nomine dei vertici delle amministrazioni campane.
La moglie di Mastella, come Mastella.
Chi si deve dimettere e chi non si deve dimettere?
Tesi del Pd:
Cuffaro: si, perché è stato condannato in primo grado.
Mastella: no, perché la gestione delle nomine è un fatto inevitabile in politica.
Andreotti: no, perché non è stato condannato, anche se…
(la moglie di Mastella: non l’ho capito)
Le prime tre posizioni sono indifendibili.
Cuffaro è stato condannato in primo grado, quindi è innocente almeno quanto Mastella e più della prescrizione di Andreotti.
Soprattutto, può essere preoccupante iniziare a distinguere fra disvalori penali.
E’ davvero possibile sostenere che una raccomandazione in Campania è un fatto meno grave di un incontro con dei mafiosi in Sicilia?
O che il vero problema è il finanziamento della politica, secondo lo schema di Craxi nel 1993, giustamente evocato da Di Pietro?
Forse se si costruisce un ragionamento nel quale si ammette che la politica ha un costo, che questo costo è particolarmente elevato nelle democrazie mature, che la nostra democrazia non conosce una soluzione alla questione del finanziamento di questo costo, di talché non ci si deve stupire del modo in cui i politici risolvono il problema, si prova troppo.
Così, sono tutti assolti.
Nessuno è colpevole.
Nemmeno Craxi, Citaristi o il Compagno G.
Nessuno.
Invece, si deve denunciare questo gioco.
A costo di sembrare dei ragazzini ingenui.
Se un politico accetta di compiere dei fatti che il codice penale conosce come reati non è e non deve essere diverso da nessun altro cittadino.
Possono il Presidente del Consiglio ed il Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura manifestare solidarietà a Clemente Mastella?
Possono farlo in un clima trasversale che esprime disagio verso la magistratura?
Ecco quello che è successo ieri in Parlamento:
Clemente Mastella: "Mi dimetto per senso dello Stato e lo faccio senza tentennamenti. In fondo, avrei potuto restare al mio posto; un Ministro della giustizia che non è in grado di difendere neppure la moglie dall’assalto violento e ingiusto di accuse balorde e non riesce ad evitarne neppure l’arresto ai domiciliari non è certo in grado di inquinare le prove, perché è talmente risibile il proprio potere che lo si può lasciare tranquillamente al proprio posto.
Mi dimetto, dunque, per aprire una questione fondamentale di emergenza democratica tra la politica e la magistratura, anche perché, come ha scritto Fedro: «gli umili soffrono quando i potenti si combattono»" (Prolungati applausi dei deputati dei gruppi Popolari-Udeur e Forza Italia – Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-L’Ulivo, Alleanza Nazionale, UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), Lega Nord Padania, Socialisti e Radicali-RNP e Verdi – Applausi di deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo e Comunisti Italiani e del deputato Razzi – Deputati si recano ai banchi del Governo per stringere la mano al Ministro Mastella).
Il discorso ha trovato un plauso trasversale.
Per Bondi: "Tutti comprendiamo ormai da tempo, infatti, che l’indipendenza della magistratura e la sovranità del Parlamento sono il fondamento della democrazia. Nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente un grande giurista, uno dei Padri della nostra Costituzione, Piero Calamandrei, aveva colto lucidamente il problema, quando sosteneva che lo stato della democrazia di un Paese è intimamente legato alla condizione della giustizia. Ciò perché il ritmo e il respiro della democrazia sono identici al ritmo e al respiro della giustizia e perfino al ritmo e al respiro del processo. Entrambi si fondano, infatti, sull’urto delle forze, sulla dialettica, sul bilanciamento dei ruoli, secondo regole precise e armoniche, attraverso le quali si raggiunge la verità nel processo e il bene comune attraverso la democrazia. Questi credo siano i valori che oggi accomunano tutti noi e tutti i membri del Parlamento."
Fini: "Non si può dare corso ad una politica dei due pesi e delle due misure. Soprattutto – e mi rivolgo in particolar modo ad alcuni colleghi dell’altra parte dell’emiciclo – vogliamo, per una volta, onestamente prendere atto di ciò che tutti sanno? Vi è una parte della magistratura che rivendica il diritto all’autonomia ed indipendenza – è un dogma della Costituzione -, ma non avverte il dovere dell’imparzialità. Vi è una parte della magistratura che agisce per ragioni di tipo esclusivamente politico o per protagonismo personale" (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia).
Maroni: "Signor Ministro, le esprimo l’amicizia personale e la solidarietà personale e politica, mia e del gruppo. Lei ha fatto un atto di accusa durissimo, senza precedenti, un atto d’accusa che descrive un atteggiamento della magistratura, quello che lei ha definito «una trappola scientifica», che anche noi, in particolare della Lega, abbiamo sperimentato. Chi l’ha preceduta, il Ministro Castelli, ha subito addirittura di più di quello che lei ha subito" [Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania, Forza Italia e UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro).
Sono cose che danno il senso di un profondo disagio.
Politica e magistratura sono sfere di potere autonome.
Ogni volta che interferiscono creano un attrito democraticamente molto sensibile.
Un consenso trasversale per l’interferenza della politica sulla magistratura fa paura.
Molta paura.
E’ come dire che la magistratura non ha il diritto di verificare se davvero la signora Lonardo ha commesso degli illeciti.
Ovvero che la signora Lonardo, siccome è moglie di un guardasigilli, non può subire gli strali dell’azione penale.
Di quella azione penale che la nostra Costituzione disegna come obbligatoria per legge.