• Follow us on Twitter
  • RSS
Un altro giorno da descrivere close

ProfStanco

  • Home
  • Blog

Tag Archive for: diritto di resistenza

Il compagno De Siervo e la banda dei quindici

5 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
13/01/2011

728fce420cd43f1bdddcf00c4dded1daIl compagno De Siervo e la Banda dei quindici, ovvero la Corte costituzionale, hanno dichiarato incostituzionale talune parti della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento.
Non è chiaro se sia trattato di una incostituzionalità secca, e quindi della abrogazione delle disposizioni impugnate, ovvero di una sentenza interpretativa, e quindi di una interpretazione "vincolante" delle disposizioni impugnate in termini tali da assicurare che le norme ricavate dalla stessa non siano in contrasto con la Costituzione, ovvero di una qualche forma di sentenza manipolativa.
Le conseguenze non sono da poco per il referendum appena dichiarato ammissibile dalla Corte costituzionale, come da comunicato stampa di ieri.
Nel primo caso, è possibile sostenere che il referendum sia divenuto "improcedibile" perché il testo sottoposto alla consultazione popolare è diverso da quello oggetto della richiesta di consultazione, secondo i criteri fissati da Corte cost. 68 del 1978.
Nel secondo caso, è possibile che l'intervento della Corte non abbia toccato il testo della legge sottoposta a referendum, di talché la richiesta di referendum sarebbe restata procedibile.
Un tanto significa che in questo caso alla Corte costituzionale è toccato il ruolo del legislatore: ovvero del soggetto che intervenendo sul testo di una disposizione sottoposta a consultazione referendaria può impedire al corpo elettorale di esprimersi.
E' una singolare conseguenza del ruolo della Corte nel sistema.
Come giudice della ammissibilità dei referendum abrogativi giudica del conflitto fra democrazia diretta e democrazia rappresentativa.
Come giudice di costituzionalità giudica del modo in cui le leggi approvate dal Parlamento possono sopravvivere nel sistema.
Ed il modo in cui interpreta questa seconda attribuzione può nel caso concreto impedire alla democrazia diretta di esprimere il proprio giudizio sulla democrazia rappresentativa.
Tutto questo spiega le fughe di notizie di questi giorni.
La Corte costituzionale è stata al centro di potenti indiscrezioni da parte degli organi di stampa, soprattutto di centro destra e di interventi da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Le indiscrezioni facevano sapere che la Corte sarebbe stata orientata a maggioranza per una sentenza interpretativa di rigetto, ovvero una sentenza che, per un verso, sanzionava l'incostituzionalità della legge sul legittimo impedimento e, per altro verso, consentiva la consultazione referendaria.
Far uscire una indiscrezione su di una sentenza di un giudice significa orientare il giudice verso un risultato diverso, in modo da evitare che si possa pensare che l'indiscrezione era fondata, ovvero che quel giudice si lascia sfuggire notizie che dovrebbero restare coperte dal segreto della camera di consiglio.
Di conseguenza, la stampa ha orientato la Corte verso la incostituzionalità "secca" della legge sul legittimo impedimento, ovvero la sua abrogazione parziale, quindi verso il risultato che impedisce lo svolgimento della consultazione referendaria.
Ma di chi è il vantaggio politico di questa operazione?
Solo ed esclusivamente del Presidente del Consiglio dei Ministri, che sa benissimo che il referendum sul legittimo impedimento è, in realtà, un referendum sulla sacralità della sua persona.
Di qui, la consueta retorica naif di Di Pietro, che citando le scarpe grosse indossate dalla madre, ha voluto affermare che in nessun caso l'incostituzionalità della legge sul legittimo impedimento potrebbe essere di ostacolo al referendum.
La verità è un'altra.
Adesso si tratta di capire se la Corte ha fatto il giuoco di Berlusconi dichiarando l'incostituzionalità della legge o no.
Un giuoo davvero raffinato e costituzionalmente elegante: uso la Corte per realizzare un risultato che non potrei mai raggiungere con il Parlamento.

Napolitano ed i decreti legge (A proposito di Veline e Vajasse)

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
24/11/2010

carfagna-berlusconiNapolitano ha polemizzato con la presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il Consiglio dei Ministri del 18 novembre 2010 ha approvato un decreto legge per la soluzione dell'emergenza rifiuti in Campania.
Ieri, 23 novembre, non era ancora arrivato sul tavolo del Presidente della Repubblica che ha il compito di firmarlo, con il valore di una emanazione.
Perché?
Cinque giorni per spostare un foglio da Palazzo Chigi al Quirinale sono tanti.
Troppi.
Il problema è che il Consiglio dei Ministri non approva i decreti legge.
Approva una carpetta che dovrebbe contenere il testo del decreto legge, ma che spesso è vuota.
In modo da lasciare al Presidente del Consiglio il compito di riempire la carpetta – di scrivere il decreto legge – prima di inviarlo al Capo dello Stato per l'emanazione.
Questa volta, l'accordo sul decreto legge è stato più faticoso del solito, perché l'oggetto del testo normativo era l'attribuzione dei poteri sugli inceneritori campani, ovvero l'oggetto vero della lotta di potere all'interno del PdL campano fra la Mussolini e la Carfagna.
Una guerra di vajasse che diventa impedimento all'attività di governo.
Comico impedimento.
Prontamente segnalato dal Capo dello Stato, con un intervento che suona più o meno Si sa che approvate solo carpette, ma almeno non fatelo vedere troppo.
Inutile osservare che se i decreti legge sono una torsione della centralità del Parlamento imposta dall'emergenza, ciò dovrebbe essere giustificato dalla collegialità dell'azione di governo.
Che invece viene meno.

Il Lodo senza lode

3 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
21/10/2010

molto-rumore-per-nullaFini ha accettato l'impostazione della maggioranza sul "quarto" Lodo Alfano.
Repubblica reagisce con due editoriali molto forti.
Carlo Galli sottolinea che l'immunità di un capo del Governo che appare designato dal voto popolare equivale a dotare il voto popolare di una forza taumaturgica che è estranea alle democrazie occidentali.
Alessandro Pace, che è il decano dei costituzionalisti e non ha mai fatto mancare le sue critiche al Primo Ministro, osserva che le leggi di revisione costituzionale sono sottoposte alla Costituzione e che la Costituzione non tollera una immunità dalla giustizia stabilita dopo che la giustizia si è messa in moto.
Come dire: è in astratto ipotizzabile una forma di immunità per il Capo del Governo, ma non è ipotizzabile un Parlamento che sottrae il Presidente del Consiglio ad un processo.
Soprattutto Pace osserva che vi è una certa confusione nell'accomunare sotto la stessa forma di immunità Capo dello Stato e Presidente del Consiglio, data la diversità di funzione delle due cariche ed il diverso valore che hanno nel sistema.
Ha ragione.
Ma, forse, per un motivo leggermente diverso. L'attuale forma di governo prevede che il Capo del Governo duri in carica una legislatura e collega la sua designazione al voto popolare che elegge quella legislatura.
Di conseguenza, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha una immunità che dipende dal voto della stessa maggioranza che ha fiducia in lui e l'immunità diventa una sorta di estensione in campo penale della fiducia parlamentare.
Al contrario, l'attuale forma di governo rende possibile, quasi inevitabile per le logiche dell'alternanza, che il settennato del Presidente della Repubblica inizi in una legislatura e finisca in un'altra dominata da una maggioranza diversa da quella che lo ha eletto.
Sicché mentre per il Capo del Governo l'immunità è il frutto della fiducia, per il Capo dello Stato l'immunità – o meglio la decisione di non concedere l'immunità – può essere facilmente strumentalizzata da una maggioranza parlamentare ostile ad un Presidente della Repubblica eletto in una precedente legislatura da un'altra maggioranza.
Ma queste sono chiacchiere di costituzionalisti possono davvero interessare a qualcuno?
O sono gli estremi riti di Bisanzio mentre fuori dalle mura l'assedio ottomano volge al termine?

Meno male che c’è la mano morta

1 Comment/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
30/09/2010

fini_berlusconiIl Primo Ministro ha compiuto gli anni.
74.
In una giornata che ha donato al Parlamento.
Con un discorso degno di un emerito di diritto costituzionale.
Nell'assoluta indifferenza di sensi con il Presidente della Camera.
Sono due uomini diversi.
Il Presidente del Consiglio si è espresso con lucida padronanza dagli scranni del Governo che occupano il centro dell'emiciclo parlamentare.
Il Presidente della Camera lo ha ascoltato masticando una matita dagli scranni dell'Ufficio di Presidenza che stanno al di sopra dei banchi del Governo.
E' interessante questa geografia: il Governo è al centro dell'attenzione del Parlamento, ma il Parlamento è al di sopra del Governo.
Una perfetta immagine della funzione di indirizzo politico e della centralità assegnata all'assemblea nella forma di governo costruita dalla Costituzione.
Una immagine alta e parecchio sprecata per un dibattito che mostrava due diversi modi di intendere la fica in età non più giovane.
Da una parte, il premier priapico che farebbe uso di un gran numero di signorine con aria da bagno turco e remunerazione da nababbo tirchio, secondo quanto svelato dalla signorina Patrizia.
Un modo di intendere le donne estremamente prudente: se le pago per usarle, le pago anche per non avere nessun motivo di restare dopo che sono state usate.
Il modello Pay per use.
Dall'altra parte, lo speaker sfigato: se una donna che è una bella donna si "innamora" di me e mi considera l'inventore dell'attrezzo maschile che nega di avere conosciuto prima di avermi sfilato le bretelle, non posso più fare a meno di lei, non posso più paragonarla alla madre dei miei figli che magari è stata una bella donna ma per la quale – dopo un certo numero di anni passati a vederla dormire russando e con la camicia da notte della nonna – è difficile provare un singulto di orgoglio erettile.
Il modello Pay to be used.
Difficile scegliere fra i due.
Per fortuna, resiste Bossi, che in punto di mano morta è davvero un campione.

Un palazzo avvelenato

3 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
28/09/2010

Corte costituzionaleIl Corriere della Sera di oggi tace una notizia importante.
Non si parla di Lele Mora e Fabrizio Corona e della loro relazione intima.
Di quella  parla eccome.
Non poteva uscire con un buco del genere.
Si parla della Corte costituzionale a margine del convegno milanese sull'autonomia e l'indipendenza della magistratura.
Si parla degli inquinamenti generati dalla cd. P3 sul funzionamento del tetto della nostra democrazia.
I fatti sono semplici.
Due giudici della Corte costituzionale hanno partecipato ad una cena assai politica prima di pronunziarsi sulla legittimità costituzionale o meno della legge che concede l'immunità al capo del governo.
Non è stato elegante.
Oggi pare che la Corte costituzionale si sia spaccata sulla possibilità di revocare questi giudici costituzionali.
Non è mai accaduto dal 1956 ad oggi che un giudice della Corte costituzionale sia stato rimosso dal suo incarico.
Può avvenire solo con una decisione della stessa Corte costituzionale "per sopravvenuta incapacità fisica o civile o per gravi mancanze nell'esercizio delle loro funzioni" (art. 3, primo comma, legge cost. 1 del 1948).
Questa decisione deve essere presa a maggioranza dei due terzi dei giudici presenti all'adunanza (art. 7, legge cost. 1 del 1953).
Ma la Corte costituzionale non è stata convocata per giudicare se Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano avessero commesso una grave mancanza nell'esercizio delle loro funzioni cenando con Alfano, Letta e Vizzini nell'imminenza della camera di consiglio sul lodo Alfano.
Non è stata convocata perché mancava la maggioranza per deliberare la loro rimozione ed una camera di consiglio da cui questi giudici fossero usciti confermati avrebbe rafforzato assai la loro posizione all'interno del collegio, che invece era indebolita dallo scandalo che li ha travolti.
Forse, però, la maggioranza non mancava.
I giudici della Corte costituzionale sono 15. Sei hanno votato a favore del Lodo Alfano. E' lecito immaginare che siano gli stessi che avrebbero votato contro la rimozione di Napolitano e Mazzella. Di conseguenza, la maggioranza dei due terzi mancava solo se Napolitano e Mazzella potevano partecipare alla camera di consiglio chiamata a giudicare su di loro e di questo è possibile dubitare. Senza loro due, la fronda interna alla Corte avrebbe contato 4 membri che sono meno di un terzo di un collegio composto da 13 membri.
Il vero problema è chi deve decidere quali giudici della Corte costituzionale vengono convocati in camera di consiglio e come si contano i voti espressi.
E' il Presidente della Corte.
Che però non ha avuto la forza necessaria per affermare l'indipendenza dell'organo da lui presieduto.

Lo dico / Non lo dico / Lo dico (Il presidente Aic Sindaco di Milano?)

3 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
17/09/2010

OnidaValerio Onida è un costituzionalista di vaglia.
Ha anche il dono di essere una persona simpatica.
E' stato un avvocato molto brillante, un avvocato da clienti importanti.
E' stato giudice della Corte costituzionale, dove ha fedelmente incarnato la Costituzione come relatore di alcuni importanti arrét in punto di immunità parlamentari, rapporto fra Costituzione e ordinamento comunitario, etc.
E' il presidente della Associazione Italiana Costituzionalisti.
Eletto nell'ultima assemblea, con una maggioranza abbastanza importante.
Adesso si candida alle primarie del centro sinistra per partecipare alle elezioni del sindaco di Milano.
Sono elezioni importanti e politicamente molto delicate.
Forse la sua candidatura non è opportuna.
Non è opportuno che un giudice della Corte costituzionale terminato il mandato partecipi attivamente alla vita politica del paese. E' come confessare una appartenenza politica che non può non avere influenzato l'interpretazione della Costituzione che come giudice ha portato avanti.
Nemmeno è opportuno che l'Aic sia coinvolta in una competizione elettorale: l'associazione comprende costituzionalisti di diverso orientamento politico e non può diventare l'associazione dei costituzionalisti di sinistra, perché la Costituzione non deve apparire di sinistra e, forse, non lo è neppure particolarmente.
Però fa riflettere.
L'idea di Onida è che la Costituzione abbia un'anima politica, che le norme costituzionali debbano parlare il linguaggio della politica ed inverare una precisa visione della società civile.
In questa visione ideologica, la scelta di partecipare ad una competizione elettorale può essere compresa perché si partecipa con una precisa visione "costituzionale" della politica.
Ma è una visione che non merita affatto di essere condivisa.
La Costituzione serve a costruire una casa comune e nel momento la si coinvolge in un gioco politico, la si estrania dalla casa comune che dovrebbe costruire, non è più una finestra attraverso cui inquadrare i conflitti politici ma una parte del conflitto politico.
Una Costituzione di questo genere è inevitabilmente una Costituzione a metà.

Il referendum e le relazioni industriali (Idioti)

7 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
16/06/2010

cipputi02Fiat e sindacati hanno discusso del futuro di Pomigliano d'Arco.
I sindacati hanno – a maggioranza – accettato il Lodo Marchionne.
Che è un lodo crudele ma non irragionevole: Fiat accetta di investire in questo sito industriale – per il futuro di questo sito industriale – solo se i lavoratori si impegnano al rispetto di un accordo integrativo che rende infrazioni disciplinari le violazioni dello stesso.
Come dire: (i) Fiat si può liberare dai propri impegni di investimento se l'accordo integrativo raggiunto con i lavoratori viene violato; (ii) la violazione da parte di un lavoratore agli impegni assunti con l'accordo integrativo, con particolare riferimento al divieto dello sciopero degli straordinari ed alle misure contro l'assenteismo, può essere valutata come infrazione disciplinare.
La prima disposizione – cd. clausola di responsabiità – non è irragionevole: gli impegni contrattuali di una parte sono naturalmente collegati agli impegni dell'altra parte in un rapporto di mutua implicazione per cui se una parte non adempie, neppure l'altra può essere costretta all'adempimento.
La seconda disposizione rischia di urtare contro i principi costituzionali, ma è un urto che si spiega con la singolare complessità delle politiche del lavoro a Pomigliano, dove l'assenteismo per malattia tocca picchi patologici e gli scioperi si tengono spesso di sabato o comunque negli spazi festivi.
Il messaggio di queste disposizioni è molto forte: si tratta di disposizioni che possono essere considerate in contrasto con i diritti dei lavoratori, ma anche di disposizioni che non possono non essere accettate perché hanno la forza della fame e della mancanza di alternative.
In questa situazione, il referendum è una follia.
Un referendum approvativo di una disposizione incostituzionale cambia la Costituzione.
Perché la disposizione incostituzionale acquista la forza del consenso referendario.
Che è un plusvalore di legittimazione mica da ridere.
Pomigliano, sotto questo aspetto, rischia di essere la vera fine dello Statuto dei lavoratori.
Apre la strada ad una sua riforma, che non sarà una modifica legislativa, sarà – ed è molto peggio – implicitamente abrogato per mezzo di singoli accordi integrativi a livello aziendale.
Il sindacato, a Pomigliano, non ha perso con l'accordo, ha perso quando è arrivato alla situazione di dover negoziare un accordo in condizioni di inferiorità – perché non si può difendere il posto di lavoro di chi non lavora – e quando ha accettato di sottoporre a referendum i diritti dei lavoratori.

Noterelle intercettabili

1 Comment/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
25/05/2010

Calamandrei
Il disegno di legge sulle intercettazioni pone tre diverse questioni di rango costituzionale: il diritto di ciascun cittadino alla privacy, il diritto dei mass media ad informare l'opinione pubblica, il dovere dello Stato di assicurare una efficace azione di repressione dei reati.
Sul primo di questi diritti, non vi è davvero molto da dire. La privacy è una proiezione della libertà personale: è il diritto di ciascuna persona a potersi esprimere liberamente perché al di fuori di ogni controllo dello Stato o di altre persone. E' quel diritto che ciascuno di noi rivendica da piccolo quando vede un genitore che fruga nel suo diario (ai tempi di chi scrive) o nel computer o fra gli sms (ai tempi di oggi).
Nemmeno c'è da molto da dire sul secondo. Lo Stato funziona nella misura in cui è una macchina trasparente ed ogni opacità sulle sue finestre, anche sulle finestre della azione penale, rischia di essere un pregiudizio per la democrazia.
Ancora di meno da dire sul terzo. Lo Stato ha cominciato ad esistere quando ha imbracciato l'azione penale e l'ha trasformata in processo.
Tutti questi aspetti, però, emergono in una sintesi di valori che è tipicamente politica.
La privacy dei figli è molto diversa vista dai genitori ed anche loro qualche ragione possono averla nel volere sapere chi è che manda un sms alle tre del mattino o con chi era il pargolo quando è tornato con gli occhi di una triglia non particolarmente felice.
La libertà di cronaca può facilmente rovinare una persona solo per vendere qualche copia in più: i giornali escono tutti i giorni e la cricca della Banditella, no.
L'esercizio della azione penale ha bisogno di essere temperato e poteri istruttori particolarmente incisivi possono degenerare in una struttura socialmente inquisitoria, come accade nelle indagini che si muovono "a strascico": le intercettazioni non sono solo uno strumento indispensabile per scoprire i reati ed accertare i colpevoli, sono anche ciliegie che è molto difficile smettere di mangiare e che donano un potere di conoscenza quasi esoterico a chi le compie.
Il bilanciamento di queste esigenze è politico ed il Governo ha il sacrosanto diritto di proporre alle Camere un testo che cerca di trovare un ragionevole punto di equilibrio.
Il punto non è questo.
Il punto è che il Governo cerca di imporre alle Camere il proprio punto di equilibrio, con una presenza assillante nel dibattito parlamentare.
Il ministro Alfano si presenta in Commissione Giustizia.
Può farlo, i regolamenti parlamentari lo permettono e la Commissione Giustizia è naturalmente strutturata come il luogo in cui il Parlamento discute con il Ministro della Giustizia.
Ma perché è il Parlamento che chiede al Ministro della Giustizia di chiarire il suo operato dinanzi ai rappresentanti del corpo elettorale.
Non perché il Ministro della Giustizia chiede al Parlamento di giustificarsi dinanzi al Governo.
In questo modo, il Parlamento diventa un ircocervo: un qualcosa che ha un nome che lo designa ma di cui nessuno oramai conosce più l'essenza.

Il limone di Zingaretti

7 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
26/04/2010

limone
Sul palco del 25 aprile, il presidente della Provincia di Roma è stato centrato da un limone.
Nicola Zingaretti, fratello di Luca Zingaretti, noto attore, e giovane di talmente belle speranze da invecchiare disperato, lo ha preso senza tante storie.
Un limone non è il Duomo di Milano e fa meno male.
Soprattutto se lanciato a palombella.
Ma chi va ad un comizio per il 25 aprile portandosi un limone?
Una persona previdente, verrebbe da dire.
Uno che sa che cosa succede dopo un comizio con la Polverini e Zingaretti e si attrezza per contenerne gli inevitabili effetti interiori.
Insomma più che un gesto irriverente è stato un generoso gesto di medicina preventiva.
La politica futurista, in fondo, è assai meglio della nouvelle vague di Fini.

Attentato alla Costituzione

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
26/03/2010

stor_11650478_34090
L'Italia dei valori è dalla parte di chi non si può difendere.
Così l'eufemico Di Pietro in una tranquilla serata di fine marzo.
Una serata che potrebbe essere rammentata per il tentativo di informazione indipendente di Santoro.
Modo interessante di mostrare la possibilità concreta di una disobbedienza civile ad una dittatura strisciante.
Di Pietro, no.
Di Pietro è un tentativo di dittatura nemmeno troppo strisciante.
Di Pietro difende la Costituzione con un italiano da panuozzo molisano.
Ma non è l'italiano che conta.
Contano i concetti: una forma di governo triparitita, con il legislativo, il giudiziario e [pausa da studente che cerca nella memoria un concetto ficcato a forza] l'esecutivo.
La risposta è ben al di sotto della sufficienza: la nostra forma di governo è un insieme di pesi e contrappesi fondato su cinque organi costituzionali che si inquadrano maluccio nella tripartizione di Montescquieu.
Soprattutto fa paura quando chiama il Capo dello Stato Papà.
Spiega che i suoi interventi a margine del decreto legge salva liste non erano un vilipendio del Capo dello Stato.
Erano il grido di un figlio che si sente pretermesso e chiede al padre di intervenire.
In questo modo si giustifica tutto ed il problema della nostra democrazia è che si deve cominciare a non giustificare più nulla.

Page 9 of 17«‹7891011›»

Ultimi Tweets

  • https://t.co/f3p1xGFuox Se Rousseau vota Draghi, M5S si divide e Meloni non è più sola per Copasir etc. 13:09:42 12 Febbraio 2021

Archivi

Segui @ProfStanco

RSS

  • RSS – Articoli

Articoli recenti

  • Sogno atipico (il sangue non mente)
  • I Cocci di Gelli
  • C’ero anche io? No: tu no (da Me too a Not me)

Categorie

  • jusbox
  • profstanco
  • Senza categoria
  • Uncategorized

Interesting links

Besides are some interesting links for you! Enjoy your stay :)

Pages

  • Blog
  • Welcome

Categories

  • jusbox
  • profstanco
  • Senza categoria
  • Uncategorized
© Copyright - ProfStanco - Wordpress Theme by Kriesi.at