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Tag Archive for: fascismi

Il ricatto dei rider

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
27/04/2019

1971

Norma Rangeri sul Manifesto di questa mattina ha preso una posizione chiara a favore dei rider, i fattorini che portano piatti pronti dai ristoranti alle case dei loro clienti.

I rider hanno fatto notare ai clienti, ricchi e famosi ma anche piuttosto tirchi, che sanno dove abitano.

Il che suona come Voi non ci date la mancia e noi raccontiamo a tutti dove state di casa, così imparate

Per Norma Rangeri, non ci sarebbe niente di male in un fattorino che chiede la mancia e ciascuno dovrebbe sentire il dovere di remunerare spontaneamente il lavoro di chi sa non essere pagato in misura tale da poter vivere una esistenza libera e dignitosa secondo il contratto collettivo di riferimento.

Una posizione più che discutibile e molto vicina alla retribuzione compassionevole del cameriere nei paesi di lingua inglese.

La prima volta che sono stato in un albergo di lusso, il facchino mi prese la borsa malgrado le mie proteste, mi accompagnò alla camera, mi mostrò con cortesia tutto quello che dovevo sapere e, quando tirai fuori di tasca cinquemila lire, disse Questo è il mio lavoro chiudendo la porta sul mio imbarazzo.

La lotta per un contratto più giusto ed equo è ragionevole, legittima e, spesso, degna di ammirazione.

Il ricatto per la mancia è altro. E’ l’assalto dei miserabili al palazzo del re.

Dispiace leggere sul Manifesto la sua difesa ma un tempo in via Tomacelli c’era anche l’ufficio di Craxi e non solo la redazione del più puro fra i quotidiani della nazione.

Natura morta con Governo

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
21/11/2018

Traballa ma non crolla

Il futuro del governo Conte sembra aggrappato a due fili assai tenui.

Da una parte, il giudizio sulla manovra da parte dell’Unione Europea e, dall’altra parte, lo strano scambio fra il decreto anticorruzione e il decreto sicurezza in cui si rivela tutta la fragilità di un governo fondato su un contratto.

Sul primo aspetto, pesa il silenzio di Savona: l’unico che non ha preso la parola in un dibattito piuttosto acceso, e il ragionevole timore che se aprisse bocca, i mercati non gradirebbero.

Sul secondo aspetto, pesano i franchi tiratori  che hanno fatto cadere la maggioranza su un emendamento significativamente presentato da un parlamentare eletto con il Movimento 5 Stelle e subito espulso perché legato alla massoneria (Catiello Vitello).

Quello che pesa di più, però, in vista delle elezioni europee, è il progressivo smarrimento del senso di diversità che ha giustificato l’erompere del M5S: l’alleanza con Salvini mostra la lenta costruzione di un partito costretto a scendere a patti con logiche di potere che non appartengono al suo patrimonio genetico.

Elezioni anticipate?

In questa situazione, per evitare una sconfitta alle elezioni europee, la strategia più razionale per il Movimento potrebbero essere le elezioni politiche anticipate, magari favorite da una nuova legge elettorale confezionata su misura per dare il governo al partito che ottiene più voti.

Il Movimento è storicamente debole nelle competizioni europee e invece forte nelle elezioni nazionali e Di Maio è troppo intelligente per non rendersi conto che una sconfitta potrebbe allontanarlo dal potere, forse per sempre: Renzi insegna che la perdita del potere logora di più della sua mancanza.

Sono questi, più o meno, i commenti della rassegna stampa di oggi e fanno venire voglia di arrivare prima possibile alla pagina del sudoku, perché il vero rompicapo non è se il governo dura o non dura, se la melliflua capacità di mediazione di Conte riuscirà a tenere insieme il Capitano e il suo isterico sodale.

Il rompicapo di oggi è il cleavage della minoranza

Il rompicapo è la sorte del Movimento perché la sua capacità di essere diverso ha dato voce a un cleavage della rappresentanza politica forte, quello di coloro che si sentono esclusi dalla tradizione liberale e che non hanno mai avuto voce principalmente perché non sanno pensare in termini politici ma pesano con bisogni che hanno la forza del dolore e dell’esclusione contro chi, invece, sa pensare e pesa con la forza del proprio pensiero anche se questa forza è esclusione e capacità di profitto.

Sembra essere questo il vero problema e, forse, guardare alla Germania, dove i verdi crescono grazie alla combinazione di solidarietà e tutela dell’ambiente, grazie alla promozione dei valori forti della cittadinanza, potrebbe aiutare.

Potrebbe essere questo l’orizzonte del partito democratico, ma la discussione fra Minniti e Zingaretti, che ieri è venuto a Pisa per dire che si candida per “paura”, non appassiona nemmeno i loro familiari, logorando una base oramai impalpabile.

Renzi ha molto correttamente commentato il voto della Camera come la certificazione del venire meno della maggioranza. Ma non ha aggiunto che perché una maggioranza scompaia occorre una minoranza capace di farla cadere e, oggi, questa minoranza, forse, può essere raggiunta in Parlamento, grazie ai franchi tiratori, ma sicuramente manca nel Paese.

C’è aria di 1924

Il futuro del Governo è apparentemente agganciato a due fili assai tenui.

Il Governo traballa ma non molla perché non esiste una minoranza che ne possa causare il crollo con la forza delle proprie idee.

Perché la minoranza non si è ancora assestata sulla nuova linea di frattura della rappresentanza politica impostata dalla Lega a 5 Stelle, continua a parlare il linguaggio della destra e della sinistra, a individuare il fronte del dialogo politico su una linea Maginot che non esiste più.

Deve invece trovare un linguaggio diverso perché capace di interpretare valori che sono diversi, i valori dell’eredità liberale e della solidarietà.

In questa situazione, il Governo può cadere solo se vuole cadere e può voler cadere perché i suoi sostenitori sanno di non avere avversari nella interpretazione dei bisogni di rappresentanza politica che sono espressi da una società profondamente divisa.

C’è aria di 1924: anche allora un movimento politico aveva capito che i cleavage della rappresentanza politica erano cambiati e seppe approfittarsi della incapacità di analisi dei propri avversari.

Salvini e Matterella: incontri al Quirinale

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
09/07/2018

1 – Oggi Salvini, ministro dell’interno, vice premier e segretario della Lega, incontra Mattarella, il Capo dello Stato.

Salvini ha chiesto di incontrare Mattarella per parlare di una sentenza che conferma un sequestro di 49MlnEuro sui conti del suo partito. La magistratura non farebbe sempre il suo dovere e compito del Capo dello Stato sarebbe assicurare l’indipendenza della magistratura, l’applicazione della legge in maniera esattamente uniforme e imparziale nei confronti di qualsiasi cittadino.

Mattarella ha accettato l’incontro per parlare con Salvini di quanto il ministro dell’interno sta facendo e quindi dell’indirizzo politico del governo, particolarmente in materia di immigrazione clandestina. Read more →

Meglio Palaia: la grande batosta elettorale di Renzi

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
26/06/2018

1 – Chi incontra Renzi per strada e sul Ponte Vecchio, gli dice Meglio Palaia.

Meglio Palaia si dice quando non si può fare peggio: Palaia fu distrutta dalle truppe di Carlo V in una maniera così crudele che quando qualcuno si lamentava per le angherie subite, gli si faceva osservare che a Palaia non sarebbe stato meglio.

La grande batosta elettorale del Partito democratico è evidente.

Come a Palaia, peggio non si poteva fare: ha perso tre roccaforti molto significative sul piano identitario: Pisa, Massa e Siena.

La città in cui è nato il sessantotto italiano, la città del Monte dei Paschi e la città delle lotte anarchiche e libertarie.

Il partito democratico non riesce più a parlare al suo popolo ma non ci si può dimenticare che solo quattro anni fa, aveva trovato un leader che aveva conquistato più del quaranta per cento dei suffragi e che sapeva parlare non solo al suo popolo, sapeva parlare anche al centro e trovare i voti della maggioranza degli elettori.

Lo faceva con una narrazione forte e convincente: Rottamiamoli tutti.

E’ evidente anche la batosta elettorale del M5S, anche se ha vinto quasi tutti i ballottaggi cui ha partecipato ma non è quasi mai arrivato al ballottaggio e talvolta non è neppure riuscito a selezionare i candidati per partecipare alle elezioni.

Salvini ha vinto, ma potrebbe essere meno immortale delle sue felpe e scomparire presto, come è successo a Renzi. Read more →

Il negozio politico (A proposito di Torino – Lione, Ilva e tassa di soggiorno)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
20/05/2018

1 – Il negozio politico è l’accordo di coalizione. Il negozio politico, come il negozio giuridico, ha bisogno di una causa per poter essere considerato lecito.

La causa del negozio politico dovrebbe essere la giustizia sociale, se manca la giustizia sociale, il negozio politico diventa il luogo di scambio di clientele basate su interessi particolari.

Praticamente, la bottega dei souvenir di Ho Chi Minh. Read more →

Moriremo tutti democristiani?

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
18/05/2018

Moriremo tutti democristiani?

La domanda viene leggendo il contratto di governo espansivo che Lega e M5S stanno finendo di mettere a punto, oggi che, secondo alcuni più informati di altri, potrebbero uscire i nomi del Presidente del Consiglio e dei ministri che proporranno al Capo dello Stato.

Contratto di governo non è un’espressione che suona benissimo: l’uso di uno strumento privatistico per regolare l’indirizzo politico appare stravagante, perché è stravagante la posizione costituzionale del Presidente del Consiglio il cui compito è adempiere alle obbligazioni rivenienti da un contratto fra i partiti politici che lo sostengono ed è stravagante l’idea di dirigere, al di fuori della responsabilità ministeriale, che è un istituto parlamentare, la politica di governo.

Quello che fa riflettere è la politica espansiva proposta dal contratto di governo perché certifica la fine dei partiti politici come soggetti che incarnano dei fini non negoziabili, delle ideologie che non possono rinunciare ai loro fini senza perdere la propria identità e quindi la ragione per cui sono votati, ma anche per cui esistono.

Queste ideologie diventano, nel contratto di governo, la rinuncia a realizzare l’alta velocità, una tassa “flat”, il reddito di cittadinanza, i sermoni degli Imam in lingua italiana e la dichiarata volontà di sottrarsi al patto di stabilità e crescita per realizzare politiche espansive basate sul deficit.

Quando ci si interroga sul momento in cui i partiti politici in Italia hanno perso il loro fondamento ideologico, lo si individua (pigramente: le ragioni sono più profonde e risalgono alla stessa fondazione della repubblica) nell’omicidio di Aldo Moro ma il discorso politico dell’ultimo Aldo Moro, il suo dialogo con Berlinguer, era fondato sulla consapevolezza del tramonto delle ideologie e della necessità di tornare ai valori costituzionali in un quadro di solidarietà nazionale perché questi valori consentivano di costruire una unità morale della nazione.

Il contratto di governo è una cosa diversa e assomiglia al congresso di Napoli della DC nel 1954, quando un partito del nord, come la DC di allora, decise di allargare al sud la base del proprio consenso e non lo fece attraverso un’opera di propaganda, lo fece conquistando le clientele esistenti attraverso la spesa pubblica che finanziava cattedrali nel deserto e consentiva di creare occupazione al di fuori dei fondamentali economici.

C’è nel contratto di governo la certificazione della fine delle ideologie, ma anche della fine dell’art, 95, Cost. e, soprattutto, la fine di una idea molto parlamentare per cui il governo si presenta al Parlamento con un programma e lo discute in Parlamento presentando la mozione di fiducia su cui si fonda la responsabilità ministeriale. Questo governo non può essere responsabile se non ha costruito il proprio programma, se il suo programma è l’oggetto di un contratto fra i partiti politici che lo sostengono.

Oggi, forse, avremo un governo e, se questo dovesse accadere, ricominceremo a dire Moriremo tutti democristiani, perché è stata la democrazia cristiana a uccidere le ideologie sostituendole con la spesa pubblica.

Dispiace perché si poteva fare di meglio.

Perfino Salvini e Di Maio potevano fare meglio.

Nardella e la prostituzione (Nemo auditur propriam turpitudinem alligans)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
20/09/2017

Si ascolta chi si approfitta della legge per esercitare un commercio immorale?

Nardella nell’affrontare la prostituzione impone qualche osservazione anche a un costituzionalista e non solo a Vladimir Luxuria.

C’è un che di stridente nell’agganciare il divieto della prostituzione alla forza di una multa che viene notificata a casa (e quindi alla moglie del colpevole) e affermare che sarebbe ragionevole riaprire le case chiuse.

Nemo auditur propriam turpitudinem alligans è un antico brocardo latino.

Significa che nessuno può essere ascoltato se il suo diritto si fonda su un presupposto moralmente inaccettabile.

Non appartiene alla tradizione romana ma a quella canonica e ha tutto il sapore della sua ipocrisia. De Cupis lo utilizza nella sua opera sul risarcimento del danno per spiegare il caso in cui l’ingiustizia del danno discende da un’attività giuridicamente lecita ma moralmente inaccettabile.

Il proprietario di un appartamento accanto al quale viene autorizzata l’apertura di una casa chiusa può chiedere al titolare del bordello di essere risarcito del deprezzamento subito dalla sua proprietà: tolerantia lupanarum non abstergit meretricibus turpitudinem.

Di nuovo, il latino canonico e non quello romano.

Nardella e la prostituzione per strada

Nardella si è scontrato, da par suo, con il mondo di questi brocardi affrontando il tema della prostituzione.

Dapprima con una ordinanza nella quale punisce chi contratta per strada con una lucciola.

L’ordinanza appartiene al genere delle ordinanze contigibili e urgenti, che sono lo strumento con cui il Sindaco può fare fronte a situazioni talmente gravi da non poter essere oggetto di alcun altro intervento, e chi disobbedisce è punito perché non ha osservato un ordine legalmente dato.

Il presupposto di questa ordinanza è la situazione di grave degrado generata dalla prostituzione e il suo obiettivo, secondo il Sindaco di Firenze, dovrebbe essere la tutela delle donne e degli uomini costretti a fare commercio del proprio corpo.

L’oggetto dell’ordinanza è la contrattazione della prestazione sessuale come scambio di piacere contro denaro inteso come immorale.

Fin qui tutto bene, forse.

Perché le ordinanze contigibili e urgenti servono per far fronte a situazioni straordinarie e di una gravità che non tollera ritardi dal momento che alterano la struttura democratica del processo normativo.

La formazione di un divieto non discende dal Parlamento e dalla rappresentanza politica ma dall’urgenza: necessitas non habet legem e, questa volta, il latino è quello romano e non quello canonico.

Indubbiamente, vi è nel commercio del corpo di una persona costretta al proprio degrado dalla crudeltà della vita qualcosa di terribile che impone un intervento pubblico.

Nardella e le case d’appuntamenti

Il problema viene dopo.

Il problema viene quando Nardella dice che si può parlare di riaprire le case chiuse perché quel divieto avrebbe un che di ipocrita e perché non si potrebbe chiudere gli occhi dinanzi a un male sostanzialmente inevitabile.

Non può essere così: se il commercio del proprio corpo è moralmente (e costituzionalmente) inaccettabile, lo è sia per strada che in appartamento e l’autorizzazione all’esercizio della prostituzione significa costringere l’ordinamento giuridico ad accettare che una persona possa cedere la propria dignità contro una somma di denaro.

Vi è una contraddizione stridente fra l’ordinanza che vieta la prostituzione per strada in via contingibile e urgente e l’apertura politica verso una tolleranza per le case chiuse.

Non si può affermare che un negozio giuridico debba essere vietato se concluso per strada e ammesso se concluso in un appartamento.

La morale in casa può essere diversa dalla morale per strada?

La morale non cambia a seconda del luogo in cui ci si trova.

Forse, però, e dispiace dirlo il problema è la ricerca del consenso che, per Nardella, in questo caso, sembra molto più importante della ricerca dei valori e della morale.

La prima ordinanza ha strizzato l’occhio al mondo di quanti sono scandalizzati dall’esercizio della prostituzione e ha scontentato quanti apprezzano il piacere sessuale nel buio di un parcheggio di periferia.

Nardella si è accorto che votano anche questi e la sua apertura politica ha cercato il loro consenso.

Gli ha detto che il sindaco è il Sindaco di tutti, anche di quelli che vanno con le signorine e non vogliono farlo sapere a casa.

In questo modo, Nardella, che qualcuno chiama cavallo – il cavallo è l’unico che resta sempre in sella – alludendo alle sue abilità tattiche, finisce per assomigliare a una lucciola impazzita.

La morale non è l’educazione che ammette comportamenti diversi a seconda delle circostanze in cui si trova: la morale discende dai valori e questi, se ci sono, non ci sono solo per strada.

Ci sono anche in casa.

Tutti a letto è tardi e non c’è nulla da vedere in TV

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05/12/2016

Il seguito del referendum è il sonno della Repubblica?

Italian Prime Minister Matteo Renzi, partecipates at the gathering of Scout "Agesci Route Nazionale 2014" in San Rossore, near Pisa, Italy, 10 August 2014. ANSA/FRANCO SILVI

Il premier, poco dopo la mezzanotte, è entrato nelle case degli italiani che seguivano la notte del referendum e ha mandato tutti a dormire.

Ha perso con un secco 3 a 2, che nel calcio è una bella partita mentre in politica è un incolmabile 60:40 e lo ha ammesso con le lacrime sotto la pelle.

Come un capo scout che sta lasciando l’unità che ha guidato facendo del proprio meglio.

Con quelle stesse lacrime sotto pelle che qualsiasi capo scout ricorda dalla sua ultima gita dei passaggi, quando nel racconto dei Cani Rossi Akela muore per davvero.

Il premier ha salutato indicando ai leader del variegato fronte del No l’agenda politica dei prossimi mesi: la legge di stabilità e una riforma elettorale che consenta alla democrazia italiana di lavorare correttamente a partire dalla diciottesima Legislatura.

Il saluto del Presidente del Consiglio dei ministri agli italiani è stato simbolicamente anticipato alla mezzanotte, quando gli exit poll erano stabili ma i risultati elettorali non ancora.

La mezzanotte è l’ora in cui si va a letto e si dà la buona notte ai propri figlioli.

La sconfitta al referendum è una buona notte.

E’ l’addio di una idea di democrazia basata sull’efficienza decisionale e sulla trasparenza dei circuiti di controllo che la riforma introduceva.

Soprattutto è la [buona] notte di una repubblica che preferisce rinnovarsi attraverso le tattiche elettorali.

Domani, che è oggi, non parliamo più di come potrebbe essere riformato il circuito dell’indirizzo politico di maggioranza, di come potrebbe essere avvicinato ai cittadini.

Riprendiamo da dove ci eravamo fermati nel 2006: da una legge elettorale.

La legge elettorale trasforma i voti in seggi.

La riforma della Costituzione spiega a cosa servono i seggi.

La prima senza la seconda è solo tattica, senza strategia.

Ma è quello che abbiamo voluto per i nostri figli: molto poco per paura di tutto.

Le bugie hanno le gambe corte anche quando portano il cappello

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
23/11/2016

compagnolenin

Dibattito referendario, le ragioni del Si e del No senza lamenti né proclami.
La presentazione della riforma procede lungo binari senza fretta, il relatore del Si spiega i motivi della riforma ed il più che ragionevole relatore del No contrappone i valori della stabilità costituzionale.
Il tutto senza scossoni né colpi di scena.
Finché non appare uno strano vecchio, infagottato in un maglione a collo alto, color vinaccia e con un buffo cappello da capitano di marina che assomiglia vagamente a quello indossato da Lenin.
L’ometto si lancia nel suo intervento: la riforma non si dovrebbe votare perché il senato non sarebbe più un senato ma uno iuvenato (sic), la riforma introdurrebbe dei vincoli a favore della legislazione europea del tutto ignoti al testo costituzionale in vigore, etc.
La prima obiezione è una sciocchezza. Dell’organo importano le funzioni, non certo l’età dei suoi membri e sarebbe bello se questo non fosse un paese per vecchi.
La seconda deve avere un suo perverso fascino perché è la quarta volta che ci inciampo.
È una profonda idiozia perché il vincolo del rispetto della legislazione dell’Unione europea da parte della legislazione regionale è stato introdotto dalla riforma costituzionale del 2001 e il nuovo testo non cambia nulla sul punto.
Però è preoccupante sentirla ripetere. Dà la sensazione di una sorta di catechismo del No che viene diffuso da qualche spregiudicato scribacchino e ripetuto più o meno a pappagallo da un buon numero di persone che prima di oggi non avevano mai incontrato la Costituzione.
Quelli con il cappellino non sono i più simpatici, ovviamente.

Scorretto come un presidente del tribunale della razza

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
15/11/2016

 

Ha fatto un certo scalpore, un certo lubrico scalpore, la richiesta di un giudice della Corte costituzionale (Paolo Maria Napolitano) di rimuovere dal corridoio nobile della Consulta il busto di Gaetano Azzariti che ne fu Presidente dal 1957 al 1961.

La richiesta era motivata dal fatto che Azzariti aveva presieduto la Commissione per la difesa della razza, che ebbe il compito secondo la legge 1024/1939 di giudicare sulle richieste di cittadini ebrei secondo il codice civile di essere dichiarati ariani e perciò sottratti alla persecuzione razziale.

Un compito non elegante portato avanti con ragionevole sollecitudine: fra il 1939 e il 1943 furono esaminate circa 150 istanza, 100 delle quali furono accolte. Il prezzo della salvezza era la assunzione della paternità o della maternità da parte di un ariano in luogo di chi risultava dallo stato civile (diffusamente: M. Boni, Gaetano Azzariti: dal Tribunale della razza alla Corte costituzionale, in Contemporanea: rivista di storia dell’800 e del ‘900, Il Mulino, Bologna, anno XVII, n. 4).

Lo svolgimento di questo compito non ha impedito ad Azzariti di essere uno dei collaboratori principali del Togliatti ministro di grazia e giustizia, di essere nominato nelle Commissioni Forti e, infine, di essere inviato da Gronchi alla Corte costituzionale.

Si potrebbe essere scandalizzati e scandalizzato si è mostrato il sindaco De Magistris, che ha tolto il suo nome dalla strada che gli era stata intestata da una precedente amministrazione, con una spiacevole damnatio memoriae. Il busto, invece, è rimasto dov’era nel corridoio della Consulta.

Un alto magistrato di formazione liberale può essere prima il presidente della Commissione per la difesa della razza, poi della Corte costituzionale e, fra i due, del Tribunale superiore delle acque pubbliche?

Le tre cose, per un uomo che ritiene di essere soggetto soltanto alla legge, sono in fondo la stessa cosa. Perché Azzariti, come tutti i magistrati dei suoi tempi, o comunque molti fra loro, non era fascista quando serviva Rocco più di quanto non fosse comunista con Togliatti. Era un giudice e i giudici che applicava la legge, prima, e la Costituzione, poi. C’è un che di splendido e di terribile in questo. Come in una nobiltà boema: quando si scava si trova sempre qualcuno di imbarazzante.

Il Gaetano Azzariti di allora viene in monte oggi che tanti giudici corrono intorno al referendum costituzionale e quasi tutti dalla parte del No.

 

Se non fa parte del mestiere del giudice rinunciare alla sua applicazione anche quando ritiene la legge contro natura, così non fa parte del suo mestiere neppure sostenere che un disegno di legge è contro natura prima che sia applicato, perché ogni volta che un giudice esprime un giudizio politico minaccia l’imparzialità del suo ragionamento giuridico.

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