Bersanillo
Potrebbe essere un personaggio dei fumetti: Bersanillo, il politico vestito lebole che dispensa massime di saggezza contadina e perde tutte le elezioni.
Sarebbe bello se lo disegnasse Jacovitti, con i salami che escono dalle tasche.
Potrebbe essere un personaggio dei fumetti: Bersanillo, il politico vestito lebole che dispensa massime di saggezza contadina e perde tutte le elezioni.
Sarebbe bello se lo disegnasse Jacovitti, con i salami che escono dalle tasche.
Ma anche parecchio…
Se poi si aggiunge che l’Iphone non riesce a superare il firewall dell’informativa privacy.
E che è la prima volta che il consenso sulla privacy serve a penetrare un sito.
Come se aver voglia di votare all’ultimo momento fosse più sconcio che schiantarsi di milf…
Il Senato della Repubblica ha approvato un emendamento per il quale nel caso in cui la libertà di stampa diffami una persona, il giornalista responsabile del fatto ne risponde penalmente, con una pena dal massimo edittale di un anno, ovvero una pena che è quasi impossibile scontare con la detenzione.
L’emendamento è targato dall’Api di Francesco Rutelli.
La stampa insorge. Ma è davvero costituzionalmente intollerabile una sanzione penale per la diffamazione a mezzo stampa?
La libertà di stampa è nata, nei termini in cui la conosciamo, con la rivoluzione francese. Penna e tribuna erano le armi dei rivoluzionari e le gazzette (possiamo ricordare La bouche de fer, il Sentinel, il Tribuno del popolo di Babef), giornali in cui la cittadinanza si faceva attivo contropotere, raccogliendo il monito di Robespierre: Legislatori patrioti, non calunniate la sfiducia. La sfiducia, checché possiate dirne, è custode dei diritti del popolo. Essa sta al sentimento profondo della libertà come la gelosia sta all’amore.
Ma erano anche strumenti di proscrizione: le liste dei nemici della patria pubblicate quotidianamente sull’Ami du peuple conducevano non di rado alla ghigliottina.Legislatori patrioti, non calunniate la sfiducia. La sfiducia, checché possiate dirne, è custode dei diritti del popolo. Essa sta al sentimento profondo della libertà come la gelosia sta all’amore.
La penna è strutturalmente nemica del potere, in questo la sua nobilità, ma può anche trasformarsi in uno strumento di oppressione, ricatto, falsità, inganno. L’ortografia della verità non fa sempre parte del patrimonio calligrafico di un giornalista e la silhouette di uno scandalo può uccidere una persona.
Nel linguaggio numerico della Costituzione, il 21 (libertà di manifestazione del pensiero) trova un limite nel 22 (diritto al nome, inteso come reputazione, come diritto ad essere conosciuti per quello che si è e non per quello che una maliziosa capziosità può avere interesse a far apparire).
Per questi motivi, il diritto di cronaca trova tre limiti arcinoti (l’interesse pubblico alla notizia che viene disvelata, la verità intesa come verosimiglianza e quindi come narrazione seriamente verificata, e la continenza, cioè un tono narrativo coerente con la sostanza degli accadimenti resi noti).
Sono limiti di buon senso. Limiti che presidiano la libertà di stampa dagli eccessi rivoluzionari e dire che sanzionarli con la reclusione fino ad un anno sia eccessivo appare più la rivendicazione di un privilegio di casta che l’esercizio di un diritto costituzionale.
Per una volta, fa piacere il metodo bicamerale: l’emendamento approvato al Senato costringe la Camera a riesaminare la questione, magari per inasprire una pena che potrebbe anche essere considerata troppo mite.
Per un fiorentino di mezza età, è normale ricordare l’invasione dei meridionali.
Quasi con gli occhi del Buzzati della invasione degli orsi in Sicilia.
Ricorda lo stupore dei suoi occhi al suono di un dialetto sconosciuto o delle sue orecchie ad un vestito nero di vedova che pareva primitivo.
A distanza di quaranta anni, non c’è più nessuno stupore: i meridionali sono diventati fiorentini, restano solo dei nomi che possono suonare esotici, un Carmelo al posto di Vanni, o una Addolorata invece dell’onnipresente Silvia di allora. Sarà la stessa cosa con gli extracomunitari di oggi?
A prima vista, le donne imbacuccate nei loro veli non sono così diverse dalle vedove di allora.
Ma forse non è così: c’è nella battuta per cui il razzista non è razzista, ma è il nero ad essere scuro di pelle, un triste fondo di verità.
Il problema è che è l’irriducibile consapevolezza di essere sporchi e diversi a rendere scuri di pelle, il vero colore della pelle di queste persone è la delusione di non avere trovato alcuna salvezza, di avere sprecato la vita due volte, la prima nascendo dove non c’era spazio per te e la seconda arrivando in una terra che è altrettanto dura e straniera.
Sono queste le cose che vengono in mente mentre si legge di una cerimonia in quella periferia di tutto che è Pontedera, una cerimonia in cui le autorità concedevano la cittadinanza ai bambini stranieri nati nella città e che è stata interrotta da alcuni neonazisti.
I cui genitori, magari, si chiamano Assunta o Calogero….
Tristi funerali, quelli di Rauti.
Non tanto per la morte di un anziano che è stato giovane fondando ordine nuovo, con un ruolo nei fatti di Catanzaro ed in quello strano periodo della nostra storia che noi chiamiamo strategia della tensione ed i giornali stranieri definiscono Italian game, come se piazzare delle bombe potesse essere un modo di aprire una partita a scacchi.
Quanto piuttosto per le contestazioni a Fini, dure, serrate, guidate da braccia destre alzate al cielo e da un ritornello Badoglio, Badoglio…
Semplici rigurgiti di fascismo?
Il fascismo è scomparso da molti anni.
Da molti anni, l’Italia merita di essere considerata una repubblica controfascista e le stesse libertà devono essere rilette a partire dalla XII disposizione transitoria della Costituzione che vieta la ricostituzione del partito fascista.
Non è questo che si può vedere nel ritornello gridato contro il Presidente della Camera e che lo accusava di incarnare lo spirito di Badoglio.
Quel ritornello ricorda da vicino uno degli ultimi discorsi di Mussolini, il discorso pronunciato da Radio Monaco il 18 settembre 1943.
Colpisce di quel discorso la veemenza con cui la responsabilità per la fine del fascismo, dell’era fascista è attribuita agli ambienti monarchici e, in particolare, al maresciallo Badoglio.
Il fascismo non è finito per colpa (o merito) di Badoglio.
E’ finito perché è stato condannato dallo spirito dei tempi, perché è stato, alla fine, oggetto di un rifiuto da parte di quella società che lo aveva fatto nascere.
La nascita e la morte del fascismo sono responsabilità degli italiani, secondo il pensiero di Gobetti.
Dare di Badoglio al Presidente della Camera dei Deputati significa ignorare questo.
Significa continuare a pensare che il fascismo sia finito per una vigliaccata e non perché la società civile lo ha espulso da se stessa, dopo averlo lungamente coltivato e blandito.
E questo è inaccettabile.
O meglio è il segno di una ignoranza della storia che fa pensare con tristezza a chi ci ha preceduto subendo di sé il male di una giovinezza che non avrebbe voluto invecchiare.
Forse la cosa più divertente delle primarie nel centro sinistra è il dominio scelto per registrarsi.
Impronunciabile ed impossibile da ricordare: come se dicesse che non importa votare, che se non si è davvero organici ai misteri del partito, è molto meglio non votare.
Meno divertente il sudore di Renzi o la serena, democratica impassibilità del toscano di Bersani.
Una dialettica difficile da portare avanti: per un verso, una passione per i nuovi meccanismi controdemocratici, dall’altra parte, il terrore lasciato dalla lenta scomparsa della Costituzione.
Facile rifugiarsi dentro un nome a dominio che pare la roulotte della banda bassotti.
Ancora meno divertente lo slogan messo in piedi per portare i cittadini_compagni_simpatizzanti al voto: Italia bene comune.
Uno slogan che puzza di stantio, di retorica, che strizza l’occhio ai movimenti che hanno sostenuto l’ondata referendaria contro l’acqua degli acquedotti.
Soprattutto uno slogan che ignora come l’Italia non possa essere considerata un bene. Nel testo costituzionale, l’Italia è la Patria, ovvero qualcosa di diverso da un bene. Non qualcosa che può essere oggetto di pretese giuridicamente rilevanti, di “apprensione”, ma l’insieme dei valori che uniscono il popolo.
Considerare la Patria come un bene sa molto di cosa nostra.
Dispiace doverlo osservare.
Ma più di tutto quello che infastidisce di queste primarie è il senso di individuare il leader che dovrà partecipare alla competizione elettorale come candidato primo ministro.
Concentrare il potere in una sola persona designata dall’intero corpo elettorale mediante una decisione a maggioranza significa affidarsi ad un imperatore eletto dal popolo. E’ l’osservazione di Toqueville a proposito del sistema americano.
Anticipare questa scelta mediante le primarie demoltiplica la legittimazione dell’imperatore eletto dal popolo? O, nel nostro sistema, lo trasforma nell’imperatore di una parte del popolo? Pericolosamente ondeggiante fra il troppo vicino ed il troppo lontano?
Consueto aperitivo intorno al tramonto.
Fra bimbi che giocano a pallone e bambine che scorrono sui pattini.
Gli adulti chiacchierano.
L'argomento del giorno sono le solleticanti intercettazioni del Primo Ministro e Capo del Governo, che si lamenta di averne soddisfatte solo otto delle undici che aspettavano.
Il chiacchiericcio ha un tono ironico, di invidiosa moralità.
Due ragazzine giovani si siedono su una panchina non troppo in penombra ed iniziano a baciarsi.
Con la golosa avidità dei primi baci.
Il popolo dell'aperitivo le guarda.
Il chiacchiericcio cambia argomento, tutti sono ampiamente scandalizzati … Non si possono offrire baci omosessuali ai bimbi che giocano a pallone ed alle bambine che scorrono sui pattini … Bisogna fare qualcosa …
Davvero?
Davvero ci si può scandalizzare ipocritamente, con il tono del Fosse capitato a me …, del Presidente del Consiglio dei Ministri in versione Rocco Siffredi e scandalizzarsi autenticamente per due ragazze che si baciano?
Forse, c'è qualcosa che non ho capito.
Un vecchio laido che paga delle giovani per soddisfare le proprie turpi voglie e ne parla con gli "amici" a telefono mi scandalizza molto di più di due ragazze che si baciano con la dolce purezza dei primi baci.
Ma tanto di più.
La costante richiesta al compagno Cofferati di rinunciare alla prescrizione pone una questione di sistema.
Primo: ho sbagliato persona, non è il compagno Cofferati, ma il compagno Penati che dovrebbe rinunciare alla prescrizione.
Secondo: confondere Penati con Cofferati, che merita le più ampie scuse per l'equivoco, non è solo una questione di assonanza ritmica fra i due cognomi.
E' un equivoco morale.
Bersani, Violante, Casson pongono la superiorità morale del partito democratico come l'aspetto principale della questione.
Forse non è questo l'aspetto principale.
La superiorità morale dei comunisti era un artificio retorico erogato a piene mani da Togliatti per giustificare una politica quanto mai complessa e moralmente discutibile: il costante compromesso con le forze politiche più reazionarie pur di arrivare al potere e di evitare la conventio ad excludendum.
In realtà, predicare una superiorità morale significa essere in grado di svolgere un discorso morale e comparativo, ovvero un discorso il cui autore ritiene di essere superiore agli altri.
E' una posizione moralmente inaccettabile: nessun essere umano ha il diritto di ritenersi superiore ad un altro essere umano.
Soprattutto, però, è un modo per evitare un nodo politico.
Il problema vero è la scelta di un partito popolare di essere il punto di riferimento di esigenze prettamente capitaliste, di essere il catalizzatore di istanze portate avanti dal mercato, di muoversi sul terreno delle banche (D'Alema), dei gruppi assicurativi (Consorte e Fassino), dei grandi interessi immobiliari (Penati).
Questo partito legge il financial times molto più dell'Unità del compagno Gramsci.
Predica la propria superiorità morale per giustificare i propri compromessi, esattamente come faceva Togliatti per votare a favore della costituzionalizzazione dei patti lateranensi.
Per questo Penati fa venire in mente Cofferati.
Ma tutti e due fanno pensare che questo partito non dovrebbe discutere di morale, dovrebbe lasciare la morale ai preti, che hanno un vangelo per giustificarla, e preoccuparsi di essere il punto di riferimento dei lavoratori nella loro lotta contro il capitale.
Penati può rinunciare o meno alla prescrizione.
E' un suo problema.
Il problema del partito democratico è un altro: smettere di essere un luogo di affari e riprendere lo spazio che un tempo occupava il massimalismo socialista nella storia della nostra stanca repubblica.
14 Navy Seals hanno ucciso Obama Bin Laden nella casa che questo occupava alla periferia di Islamabad.
Il suo corpo è stato portato al sicuro negli Stati Uniti.
Molti cittadini americani sono scesi in piazza per festeggiare la morte del loro nemico.
Il presidente degli Stati Uniti ha affermato che il Governo americano aveva raggiunto il suo principale obiettivo e che la grandezza degli Stati Uniti è nel riuscire sempre a raggiungere i propri obiettivi.
E' davvero così?
L'estremismo islamico considera la lotta contro l'occidente come diritto di resistenza nei confronti di una crociata.
Non è una visione particolarmente sbagliata e può essere superata solo con il dialogo e la comprensione.
Che non si avvicinano innalzando la testa del nemico su di una picca.
Le aule stanche di Palazzo Montecitorio celebrano uno spettacolo triste.
Un Presidente del Consiglio mastica caramelle e invoca l'unità dei moderati come patrimonio inestimabile del paese.
Come se un partito che candida l'on.le Mussolini potesse essere considerato moderato.
Il Paese si interroga (ma si interroga davvero? A qualcuno interessa) sul voto della Siliquini e di tal Scilipoti, che spiegherà il proprio comportamento ai figli.
Di Pietro corre in pretura per denunziare un reato che non esiste (se i voti sono insindabili, non è possibile indagare sulle ragioni che conducono al voto), nascondendo il fatto che la fiducia al Governo può dipendere da candidati che provengono dalle sue liste.
Ma la vera tristezza è l'unità dei moderati.
Essere moderato è diventato un grande pregio.
Lo raccontava Vespa sul Corsera di qualche giorno fa, lamentando di avere subito una aggressione a causa della sua moderata pacatezza.
Due osservazioni.
La prima è politica: in questo sistema essere moderati non può essere un pregio, perché il meccanismo elettorale che premia i moderati è il proporzionale puro, quello che ha retto l'Italia del dopoguerra. Se si deve salvaguardare l'unità dei moderati, si deve tornare al proporzionale ed alla democrazia cristiana.
La seconda è di carattere umano: essere moderati non è un pregio.
E' spesse volta un vizio, il vizio di chi rinuncia a cambiare le cose.
E la politica dovrebbe segnare un minimo di volontà di cambiamento.
Vivere nel paese in cui Vespa è un patrimonio inestimabile fa venire i brividi.
Anzi, i bordoni.