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Tag Archive for: giudici

Non è facile da spiegare (A proposito dei concorsi truccati)

3 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
28/09/2017

Concorsi Truccati

Non è facile da spiegare il problema dei concorsi truccati per l’accesso all’insegnamento universitario nel settore del diritto tributario.

Non è facile se si conoscono, per varie ragioni, molte delle persone coinvolte in questo affare e di alcune si è più che amici e si intende sostenere una tesi controcorrente.

Non fare l’inglese

L’inizio di tutto è una registrazione in cui il maestro spiega all’allievo che non potrà vincere il concorso e che, in questa situazione, per evitare la bocciatura è preferibile lasciar cadere la domanda.

L’allievo ritiene di non meritare una bocciatura, cerca di resistere, il maestro gli dice di non fare l’inglese, perché la mamma dell’allievo è inglese e lo è anche la sua cultura.

Sono cose che non si dicono e non perché non si devono dire ma anche perché non si devono fare.

Non si può dire a una persona di rinunciare a un concorso per ragioni di opportunità tattica diverse dal merito e dai valori in gioco perché non si può alterare – in un concorso – la logica del merito e dei valori in gioco.

Ritirarsi in un concorso può essere meglio che essere giudicati negativamente e se l’allievo avesse corso il rischio di essere respinto con un giudizio negativo dalla Commissione, il suo maestro lo avrebbe dovuto avvertire e consigliare di ritirarsi.

Non dicendo che era il più bravo, dicendo che altri erano più bravi e spiegando – con la necessaria autorevolezza – le ragioni per cui l’allievo correva il rischio di non essere giudicato positivamente.

In tutto questo, c’è un’avvertenza che, forse, chi ha trascritto le intercettazioni e le ha generosamente girate ai giornali ha ignorato. Nel linguaggio dell’università, non solo quella italiana, le parole non esprimono mai il significato che hanno nella vita comune. Quando ti viene detto che hai studiato e che sei una persona intelligente, ma che avevi bisogno di completare la tua preparazione, ti viene semplicemente detto che devi tornare al prossimo appello. Ma con la cortesia che ti evita di sentirti umiliato dalla bocciatura e che consente a chi ti ha interrogato di proseguire senza dover ascoltare le tue proteste.

Sicuramente non era questo il caso, ma vale la pena segnalare questa possibilità, visto che l’intercettazione è stata captata a Firenze e chi teorizzava questo modo di respingere gli studenti più pigri era il maestro dell’autore della frase incriminata, almeno secondo certe fonti orali.

L’anatomia dello scandalo

Lo scandalo è nelle parole di uno dei decani della materia: il prof. Augusto Fantozzi. Si dovrebbe creare una cupola che sia di garanzia per tutti coloro che intendono accedere alla carriera universitaria.

Qui il discorso è particolarmente complesso e rischia di essere più controcorrente di un salmone a pois.

Chi decide di fare la carriera universitaria decide di investire qualche decina di anni della sua vita su una strada che potrebbe non arrivare in nessun luogo e lo fa perché ci crede.

Ci sono due cose che deve dimostrare: di essere in grado di affrontare un problema scientifico in maniera seria e originale e di essere in grado di insegnare ai suoi studenti in maniera seria e comprensibile.

Il resto sono, onestamente, baggianate che possono essere considerate secondarie rispetto a questi due doveri.

Non si dimostra di essere degli scienziati e dei professori in pochi giorni e un concorso, probabilmente, rischia di essere illusorio, perché premia la persona che ha avuto la fortuna di trovare una traccia fortunata e non quella che ha studiato seriamente per tutta la vita ma è incappato in una giornata di febbre alta.

Dal punto di vista di un maestro, un concorso rischia di travolgere anni di lavoro e di premiare una persona che appena vinta la cattedra scompare, perché fare il professore è come fare il prete: ci si può ammazzare di fatica ma si può anche non fare nulla per tutta la vita incassando uno stipendio magro ma certo.

Per il precario che si gioca tutto con il concorso è ancora peggio. Ha investito tutta la sua energia intellettuale seguendo un maestro che gli ha consigliato degli ambiti di ricerca, ha suggerito dei metodi di analisi, ha corretto i suoi lavori via via che venivano scritti e, infine, ha fatto in modo che venissero pubblicati e, possibilmente, anche letti.

In ambito giuridico, ma il discorso vale per ogni settore non bibliometrico e forse anche per quelli bibliometrici, è facile demolire in buona fede il lavoro di un giovane. Ci sono scuole che hanno un approccio al diritto completamente diverso da quello di altre scuole. Per alcuni, il diritto costituzionale è scienza della politica e per altri è diritto processuale, per fare un esempio. Se un cultore del diritto come processo incappa in una commissione di cultori del diritto come storia politica, rischia di ricevere un giudizio negativo.

Questo giudizio negativo non riguarda il giovane studioso ma la scuola alla quale appartiene. Chi è stato indirizzato verso lo studio dal suo maestro ed è stato seguito dal suo maestro, deve anche essere tutelato dal suo maestro quando affronta le prove concorsuali.

Nessun maestro, né oggi e nemmeno ai tempi di Accursio o di Giustiniano, ha una verità vera e inoppugnabile. Ma ciascuno deve essere in grado di comprendere le ragioni degli altri e di giustificare le proprie.

Se si fa questo, non si partecipa a una cupola.

Si partecipa a una comunità scientifica, che è il mestiere di ogni docente universitario.

Non è più tempo di gentiluomini

I concorsi universitari sono da tempo oggetto di attenzione penetrante da parte della magistratura, sia di quella inquirente che di quella amministrativa, ed è giusto che dove ci sono dei fatti che integrano fattispecie di reato queste siano portate alla luce e che dove vi è un andamento delle operazioni concorsuali viziato da violazioni di legge o da eccessi di potere, questi concorsi siano annullati dal giudice amministrativo.

Vi sono delle precisazioni, però, anche in questo caso.

La prima è che se un giudizio è espresso in termini larvatamente positivi può darsi che la sua sostanza sia invece fortemente negativa. Le parole nell’accademia hanno un significato diverso da quello che hanno nel linguaggio comune e non sempre la magistratura, che non frequenta i consigli di dipartimento, è abituata a comprenderne le sfaccettature.

La seconda è che la magistratura, in questo paese, sta assumendo un ruolo sempre più dilagante, di supplenza sia del sistema politico che di quello amministrativo.

Nei concorsi universitari di un tempo era impensabile il ricorso al giudice, perché si sapeva che chi ci giudicava meritava fiducia per la sua levatura intellettuale e per le sue conoscenze del settore. I maestri erano maestri e la loro opinione meritava il massimo rispetto perché avevano davvero letto tutto e lo ricordavano anche, oltre che saperlo raccontare.

I maestri di oggi non sono più così. Sono gli epigoni di pensieri deboli, specialisti di microsettori, entomologi del diritto o, per usare un’espressione d’altri: cesellatori di cocomeri.

Se non si prova rispetto per chi ci giudica, si ricorre al giudice.

Probabilmente nelle materie giuridiche i giudici possono giudicare della preparazione dei docenti universitari e valutare se meritano di insegnare le materie che anche loro hanno studiato.

Forse il Tar del Lazio è più attendibile di una commissione del Miur per valutare l’idoneità dei professori di diritto tributario.

Ma sicuramente non di quelli di meccanica razionale e, forse, affidare anche il governo della università alla magistratura potrebbe essere pericoloso.

Lo stupro di Firenze e le verità di due carabinieri infedeli per una notte

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
14/09/2017

Le verità dei carabinieri sono spesso inquietanti.

I carabinieri rassicurano ma la loro presenza spaventa e non sono stati pochi i marescialli dell’Arma che hanno subito processi più o meno inquietanti, fra Firenze e il suo contado.

Lo stupro di Firenze, in realtà e purtroppo, poteva accadere solo a Firenze e, forse, questo aspetto non è al centro delle pagine dei giornali che si occupano di una verità ambigua: il capopattuglia che non si accorge dell’ubriachezza al limite del coma etilico delle due ragazze o il suo compagno che dice di avere fatto solo quello che gli veniva ordinato.

Lo stupro di Firenze è accaduto a Firenze perché a Firenze si sono concentrati migliaia di ragazzi americani che non vengono per studiare, ma anche per divertirsi e si divertono bevendo fino a perdere qualsiasi controllo (e limite) per il semplice fatto che non sanno bere e non hanno mai bevuto quando erano con le loro famiglie.

E’ la tragica conseguenza sia di un comportamento che, allo stato delle notizie di cronaca, appare ingiustificabile sia di due culture che faticano ad assimilarsi e anche a convivere.

Il pronto soccorso di Santa Maria Nuova – nel centro di Firenze – trabocca di studenti americani ubriachi a un livello inaccettabile per la nostra cultura e questo accade ogni notte.

Trecentosessantacinque notti all’anno.

La presenza delle università straniere a Firenze dovrebbe essere una occasione straordinaria per lo sviluppo culturale della città.

Ma non è sempre così. Spesso questi studenti sono semplicemente degli strumenti che producono reddito per i gestori delle discoteche e degli altri locali notturni in cui passano le loro notti etiliche.

Lo stupro di Firenze merita di essere severamente punito e i suoi colpevoli ne risponderanno dinanzi all’Autorità giurisdizionale.

Un episodio sostanzialmente isolato

Il montante di vomito alcolico che le notti fiorentine lasciano al servizio municipale di spazzamento delle strade invece è la realtà di tutte le mattine nel centro storico e anche questo merita un severo intervento, magari applicando quelle misure di prevenzione e sicurezza che erano tante care ai carabinieri di Pinocchio e all’Italia Umbertina.

Il primo è un male criminale e come tale deve essere trattato.

Il secondo è un male politico e come tale, purtroppo, non è trattato.

Empatie di avvocati (La proprietà si prescrive?)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
07/09/2017

Gli avvocati sono animali strani.

Più simili a un mostro di livello intermedio di Munchkin che non a servitori della giustizia.

Ci sono avvocati che studiano seriamente il diritto.

Altri che sono affascinati dal fatto e che ne sanno leggere ogni piega.

Soprattutto però ci sono avvocati che non capiscono nulla, che dicono che la proprietà si prescrive e non si vergognano di urlarlo.

Non capiscono nulla di diritto, perché studiare costa fatica e non è per tutti.

Del fatto, perché non c’è niente di divertente negli affari degli altri se gli affari degli altri sono il tuo mestiere.

La differenza fra i due generi si intuisce abbastanza facilmente.

Da come scrivono, da come parlano, da come si muovono.

Persino da come si comportano, gli uni con gli altri, mentre aspettano di combattersi, perché chi litiga per mestiere è più una bestia che un essere umano.

Un uomo di buon senso potrebbe pensare che per vincere in una controversia si debba essere dei buoni avvocati, ferrati in diritto e capaci di analizzare il fatto interpretandolo come un fenomeno giuridico.

Che chi ha studiato poco e non ha mai letto fino in fondo un documento sia destinato al fallimento.

Niente di più falso e di più umiliante.

La verità è che vincono i cialtroni.

Non perché la verità è il sorteggio del Pretore di Monsummano di cui parlava Calamandrei. Erano altri tempi e altre stoffe d’uomo.

Nè perché i giudici sono dei cani che premiano chi è cane come è loro. I giudici hanno vinto un concorso più difficile di quello per diventare avvocati e sanno quasi sempre quello che fanno.

Perché i palazzi, anche quelli di giustizia, hanno un’anima e vince chi è riuscito a impregnarsi di quest’anima, a farla propria.

Gli avvocati bravi sono troppo orgogliosi della propria tecnica per soffermarsi a dialogare con l’anima della giustizia.

I cialtroni, invece, hanno l’umiltà di farlo.

L’umiltà, non la bravura, né l’intelligenza, vince le cause e l’umiltà che vince, talvolta, è davvero umiliante.

Il referendum costituzionale e il Buontalenti di Badiani

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
16/11/2016

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Badiani è una gelateria e non ha niente a che fare con il referendum costituzionale.

Il suo Buontalenti è uno dei gelati più buoni di Firenze, anche se i suoi commessi non sono simpatici quanto questa crema, anzi, e non sono poche le persone che lo evitano per questa ragione.

Una delle tappe del mio roadshow sul contenuto del referendum costituzionale è passata vicina a Badiani: l’alto magistrato in pensione che sosteneva le ragioni del No dal punto di vista di Magistratura Democratica ha spiegato che la riforma non si poteva votare.

Di più, non si doveva nemmeno perdere tempo a leggerla.

Difatti, la riforma costituzionale deve essere rigettata perché proviene dal Governo e il Governo non potrebbe presentare un progetto di riforma della Costituzione.

E’ la solita citazione di Calamandrei, slegata dal contesto, che era l’inizio della discussione in aula sul progetto di costituzione varato dalla Commissione dei 75, quando l’assenza del governo si giustificava perché l’assemblea costituente non discuteva su di una proposta del governo ma su di un testo elaborato da una commissione appositamente costituita.

Ci si scorda però che quel governo aveva un ministero per la costituente e la commissione dei 75 aveva iniziato i suoi lavori su una serie di proposte elaborate dalle commissioni Forti, che erano commissioni governative.

In secondo luogo, la riforma costituzionale deve essere rigettata perché è stata votata da un Parlamento eletto in base a un sistema elettorale successivamente dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale.

Sono due argomenti che sul piano costituzionale non dicono nulla: nessuna disposizione della Costituzione vieta l’iniziativa legislativa al Governo in materia costituzionale e la sentenza della Corte 1/2014 che ha dichiarato incostituzionale il sistema elettorale ha precisato che non vi sono effetti di alcun tipo per il Parlamento eletto in base a quelle norme.

Sono argomenti che assomigliano molto al non assaggiare il Buontalenti di Badiani perché i commessi sono antipatici.

Ovviamente non è così: vale la pena assaggiare il Buontalenti di Badiani, perché è buono, e vale la pena interrogarsi sul merito della riforma costituzionale perché potrebbe essere molto meglio delle sue critiche.

Scorretto come un presidente del tribunale della razza

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
15/11/2016

 

Ha fatto un certo scalpore, un certo lubrico scalpore, la richiesta di un giudice della Corte costituzionale (Paolo Maria Napolitano) di rimuovere dal corridoio nobile della Consulta il busto di Gaetano Azzariti che ne fu Presidente dal 1957 al 1961.

La richiesta era motivata dal fatto che Azzariti aveva presieduto la Commissione per la difesa della razza, che ebbe il compito secondo la legge 1024/1939 di giudicare sulle richieste di cittadini ebrei secondo il codice civile di essere dichiarati ariani e perciò sottratti alla persecuzione razziale.

Un compito non elegante portato avanti con ragionevole sollecitudine: fra il 1939 e il 1943 furono esaminate circa 150 istanza, 100 delle quali furono accolte. Il prezzo della salvezza era la assunzione della paternità o della maternità da parte di un ariano in luogo di chi risultava dallo stato civile (diffusamente: M. Boni, Gaetano Azzariti: dal Tribunale della razza alla Corte costituzionale, in Contemporanea: rivista di storia dell’800 e del ‘900, Il Mulino, Bologna, anno XVII, n. 4).

Lo svolgimento di questo compito non ha impedito ad Azzariti di essere uno dei collaboratori principali del Togliatti ministro di grazia e giustizia, di essere nominato nelle Commissioni Forti e, infine, di essere inviato da Gronchi alla Corte costituzionale.

Si potrebbe essere scandalizzati e scandalizzato si è mostrato il sindaco De Magistris, che ha tolto il suo nome dalla strada che gli era stata intestata da una precedente amministrazione, con una spiacevole damnatio memoriae. Il busto, invece, è rimasto dov’era nel corridoio della Consulta.

Un alto magistrato di formazione liberale può essere prima il presidente della Commissione per la difesa della razza, poi della Corte costituzionale e, fra i due, del Tribunale superiore delle acque pubbliche?

Le tre cose, per un uomo che ritiene di essere soggetto soltanto alla legge, sono in fondo la stessa cosa. Perché Azzariti, come tutti i magistrati dei suoi tempi, o comunque molti fra loro, non era fascista quando serviva Rocco più di quanto non fosse comunista con Togliatti. Era un giudice e i giudici che applicava la legge, prima, e la Costituzione, poi. C’è un che di splendido e di terribile in questo. Come in una nobiltà boema: quando si scava si trova sempre qualcuno di imbarazzante.

Il Gaetano Azzariti di allora viene in monte oggi che tanti giudici corrono intorno al referendum costituzionale e quasi tutti dalla parte del No.

 

Se non fa parte del mestiere del giudice rinunciare alla sua applicazione anche quando ritiene la legge contro natura, così non fa parte del suo mestiere neppure sostenere che un disegno di legge è contro natura prima che sia applicato, perché ogni volta che un giudice esprime un giudizio politico minaccia l’imparzialità del suo ragionamento giuridico.

Il costituzionalista riluttante (o ipocrita?)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
10/08/2016

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C’è solo una cosa che nell’intervista la naturale prudenza del professore che è anche avvocato mi ha impedito di dire.

Forse la cosa più importante.

Perché il giudice amministrativo ha deciso di un ricorso che riguardava un atto, il Piano di indirizzo territoriale, destinato ad essere superato dall’atto amministrativo successivo, il Master Plan, che sarà adottato con una intesa secondo lo schema dell’art. 81, d.P.R. 616/1977?

Perché si è approfonditamente occupato della Valutazione ambientale strategica quando questa è destinata ad essere superata e amministrativamente dimenticata per effetto della Valutazione di impatto ambientale?

Perché non si è limitato a dire che non vi era interesse, come sarebbe stato naturale e forse più ragionevole?

Perché è un giudice e i giudici hanno bisogno di trovare legittimazione attraverso il suono pubblico delle loro pronunce, che fanno rumore quando possono apparire sulla stampa come eversive delle decisioni di poteri forti, i poteri economici nel loro collegamento ai decisori politici.

Solo che un esercizio di questo genere è in contrasto con una delle anime vere e più profonde della giustizia nell’amministrazione, l’essere un giudice speciale perché vicino, nel senso di contiguo, al potere che giudica, come insegnava Orsi Battaglini.

Il giudice amministrativo ha coraggio solo quando il suo ardimento non ha alcun effetto pratico, ma fa un gran clamore sui giornali.

Questo non ho detto perché sarebbe stato come dire che la giustizia amministrativa non esiste e a questo pensiero non mi vorrei arrendere.

Almeno sino a che sono avvocato e professore universitario.

La moglie di Scajola non è la moglie di Cesare: quando una mano lava l’altra, gli onesti sono monchi

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
12/05/2014

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Scajola è stato arrestato per un vicenda piuttosto torbida e inquietante.

Si è parlato del miracolo di San Vittore: in uno stesso giorno, arresti per Scajola e per la Expo.

Ma nell’arresto di Scajola c’è forse di più di qualche facile battuta.

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La sinestesia della giustizia (281 sexies)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
30/01/2014

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Causa complessa, ma non troppo

Giudice impenetrabile, ascolta le Parti a occhi chiusi, si avvede che hanno finito la discussione orale dopo un silenzio di dieci minuti

Chiede il verbale

Chiude il verbale nel fascicolo

Darà lettura del dispositivo nel pomeriggio

In udienza pubblica_a tribunale chiuso

Sinestesia della giustizia.

Alla fine della Cancellieri

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
22/11/2013

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Alla fine della Cancellieri, non sembra esserci un rimpasto.

Sarebbe stato il giusto prezzo da pagare per una difesa imbarazzante.

La seconda difesa imbarazzante del Governo Letta, che aveva già fatto ricorso alla ragion di Stato nell’affare Shalabayeva (su cui si è già avuto modo di scrivere sin troppo).

Per ora non se ne parla.

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Diverse innocenze: la sostanza di una presunzione

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
08/03/2013

In un processo molto fiorentino, quello che un tempo era considerato uno sceriffo e che poi è quasi scomparso dalla vita politica della città è stato finalmente assolto da una serie di reati che lo collegavano alle interferenze che il gruppo Ligresti avrebbe tentato di esercitare per massimizzare il valore urbanistico di un’area attorno alla quale si è scatenata una lotta fra i Ligresti, che avrebbero voluto realizzare gli edifici da destinare a sede di Regione e Provincia, i Della Valle che avrebbero voluto ottenere la disponibilità dell’area per il nuovo stadio di Firenze, considerato come città dello sport senza pagare il prezzo, Renzi che già allora (ma anche lunedì in consiglio comunale) riteneva 1.4Mln di metri cubi un pochino troppi qualunque fosse la destinazione.

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