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La Corte costituzionale ed il superenalotto

12 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
07/10/2009

ConsultaOggi, è attesa la sentenza sul cd. Lodo Alfano.
I giornali incorrono pronostici e chiacchierano di incostituzionalità, incostituzionalità parziale, inammissibilità, infondatezza, e quant’altro, costringendo i loro cronisti a ripetere l’esame di diritto costituzionale come se fosse una sessione di superenalotto.
Dal punto di vista costituzionale, dal punto di vista di uno studioso di diritto costituzionale, appare difficile sostenere l’incostituzionalità del Lodo Alfano.
Non perchè questa legge sia conforme alla Costituzione.
Non sembra esserlo.
Ma perchè le ordinanze che hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale evocano dei parametri che rendono molto complesso l’accoglimento della questione di illegittimità costituzionale.
Il più ficcante di questi parametri è l’art. 138, Cost., che chiederebbe, secondo le prospettive dei giudici milanesi, una legge costituzionale per introdurre la sospensione dei processi in favore del Primo Ministro.
Tuttavia, è un parametro costituzionale molto scivoloso, che costringerebbe la Corte a introdurre una forma di riserva di legge costituzionale non necessariamente evocata dal testo costituzionale ed è un parametro su cui la Corte si è pronunciata molto raramente: l’ultima volta, salvo errori, con la sentenza 372/2004, a proposito del riconoscimento di altre forme di convivenza more uxorio diverse dal matrimonio operata dallo Statuto della Regione Toscana e la sentenza fu, non a caso, di inammissibilità.
Eppure, politicamente parlando, la sentenza di incostituzionalità appare non improbabile dopo avere ascoltato gli interventi di Gaetano Pecorella, presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati e quindi avvocato istituzionalmente scomodo: una carica dello Stato non può difendere un’altra carica dello Stato dinanzi alla Corte costituzionale senza confondere le ragioni del libero foro con considerazioni politiche, e di Ghidini, che ha reso molto complicato per la Corte respingere la questione di legittimità costituzionale nel momento in cui ha affermato la superiorità del Presidente del Consiglio rispetto alle ragioni della giustizia per effetto della investitura popolare.
Il ragionamento di Ghidini, nella sostanza, ha costretto la Corte costituzionale in un angolo: se la Corte respingesse la questione di legittimità costituzionale riconoscerebbe il valore taumaturgico del voto popolare e questo sarebbe davvero troppo.
In questa situazione pare possibile quotare l’incostituzionalità del Lodo Alfano, almeno a 2,10, tanto per fare un numero.
Ma l’aspetto singolare è che questo non dipende dalle ragioni dei giudici milanesi, che avrebbero meritato un ben diverso fiato, ma dalla difesa del Premier, che lascia immaginare una congiura di palazzo, in cui si gioca un atout apparentemente azzardato: se la Corte accoglie la questione, gli avvocati del Premier acquistano un prestigio inimmaginabile perché ottengono l’avallo costituzionale sul plusvalore di legittimazione democratica del voto popolare. Se non l’accoglie, gli avvocati del premier vincono il premio Bruto perché potranno sostenere di essere i veri artefici della caduta del dittatore.
Da tempo, si parla di congiure e Arlecchino Calderoli ha mostrato più volte di vedere le mani di Letta su questa vicenda, che davvero sembra perfetta per le caratteristiche da gentiluomo del consigliori di Berlusconi.

Torero o torello?

8 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
09/09/2009

Pfizer-ViagraIl Corsera pubblica i verbali degli interrogatori di Tarantini.
Ha rifornito il Presidente del Consiglio di numero trenta signorine per diciotto serate.
Ha fatto sì che il Vice presidente della regione Puglia godesse dei favori di altre signorine.
Ha organizzato una cena elettorale per il comunista a vela.
Tutto questo si sapeva.
Non si conosceva la chiosa dell’indagato alle proprie dichiarazioni.
Tarantini ha voluto precisare che la sua volontà, il suo disegno strategico era di organizzare, attraverso le donne e la cocaina, una rete di amicizie influenti.
In questo modo, ha svelato la sua linea di difesa: Io non ho corrotto nessuno, perché non ho chiesto particolari favori, ho chiesto solo amicizia.
Come Don Corleone e gli amici di Don Corleone avevano l’obbligo di dimostrare la loro amicizia quando il Padrino lo chiedeva.
Può essere una linea defensionale per Tarantini.
Sicuramente non lo è per il Presidente Torello.

La cena dell’astensione

21 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
02/07/2009

ConsultaLa notizia era sull’Espresso di venerdì passato.
Un giudice della Corte costituzionale organizza una cena, alla quale invita il Presidente del Consiglio dei Ministri, assieme al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e al ministro della Giustizia, nonché ad un collega.
L’evento diventa oggetto di una interrogazione parlamentare dell’on. Di Pietro e la risposta del ministro Vito diventa una classica bagarre parlamentare.
Lo sfondo è la discussione della costituzionalità del Lodo Alfano, ovvero della legge che stabilisce la (temporanea) immunità delle più alte cariche dello Stato.
L’oggetto della questione è interessante dal punto di vista del diritto costituzionale.
Prima di tutto, dal punto di vista della giustizia costituzionale.
L’art. 51, primo comma, n. 2, c.p.c. stabilisce che non possono svolgere funzioni giurisdizionali coloro che hanno rapporti di commensalità con una delle parti del giudizio.
Questa disposizione si applica al sistema della giustizia amministrativa (in questi termini, Cons. Stato, Ad. Plen., 25 marzo 2009, n. 2).
Il sistema della giustizia amministrativa è il necessario completamento del sistema della giustizia costituzionale per effetto dell’art. 22, primo comma, legge 87 del 1953.
Tuttavia, la Corte costituzionale può adottare delle norme per disciplinare il proprio funzionamento ai sensi dell’art. 22, secondo comma, legge 87 del 1953.
L’art. 29 delle Norme Integrative adottate dalla Corte costituzionale stabilisce che ai giudizi di competenza della Corte costituzionale non si applicano le cause di astensione e di ricusazione previste per gli altri giudizi.
La logica di questa norma è la necessaria astrattezza del processo costituzionale, conseguenza del tono costituzionale delle sue competenze: le cause di astensione e ricusazione presuppongono un coinvolgimento personale dei magistrati che non è ipotizzabile in un giudizio che ha per oggetto l’attuazione della Costituzione.
Fin qui, un manuale di giustizia costituzionale.
Cui si potrebbe aggiungere che la forza gerarchica delle norme integrative è una naturale conseguenza della posizione della Corte costituzionale nel sistema.
Tutto questo rischia di perdere la sua carica assiologica per una cena.
Non perché lasci immaginare che la questione di legittimità costituzionale possa essere oggetto di una cena alla presenza delle consorti.
Ma perché l’indipendenza della magistratura costituzionale è anche lontananza dalla politica e dalle personalità politiche: estraneità alle logiche conviviali che segnano il passo di altre sintesi.
Vi è anche un secondo aspetto che può essere rimarcato: il punto di vista delle convenzioni costituzionali.
Le elezioni parlamentari di Mazzella, Silvestri, Napolitano e Frigo sono state svolte cercando un accordo su personalità che potessero garantire una seria conduzione del proprio ruolo.
Che avessero un colore politico, inevitabile nelle designazioni da parte del Parlamento, ma che garantissero un alto profilo tecnico.
Per questa ragione, sono state elezioni caratterizzate da un vasto consenso trasversale, ben sottolineato all’epoca sia dai presidenti dei due rami del Parlamento che dal Capo dello Stato.
Questa convenzione costituzionale può essere travolta dalla cena di inizio maggio, che invece mostra una organicità sospetta di due giudici rispetto ad una precisa parte politica.
Infine, la cena – o meglio la notizia della cena – può avere un impatto deflagrante sul funzionamento interno della Corte.
Due giudici hanno dimostrato una commensalità che giustificherebbe la loro astensione o una ricusazione, in un giudizio comune.
I colleghi di questi due giudici – gli altri tredici membri della Corte – non avranno difficoltà ad ottenere il loro silenzio nella camera di consiglio che giudicherà del Lodo Alfano: qualunque sia l’opinione che Mazzella manifesterà sarà un’opinione sospetta, targata politicamente dalla convivialità con l’oggetto del processo.
Una Corte nella quale è possibile togliere la parola ad un giudice perché sospetto di parzialità è un giudice pericoloso.

In un paese normale

14 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
20/05/2009

MillsIl signor Mills è stato condannato a 4 anni e sei mesi.
Da tempo, ma solo ieri sono state depositate le 400 pagine di motivazione.
Avrebbe ricevuto del denaro per testimoniare il falso in un processo.
Cose che capitano.
E nemmeno di rado.
La stampa tuona.
Il ritornello è In un paese normale…
In un paese normale, il Presidente del Consiglio accusato di subornazione si dimetterebbe.
In paese normale, il primo ministro non potrebbe essere sottratto alla giustizia penale.
Di Pietro potrebbe superare se stesso solo chiedendo a Berlusconi di fare seppuku con l’aiuto di Bondi.
Onestamente in questa vicenda ci sono anche delle cose che non tornano.
Mills sarebbe un brillante avvocato di affari che avrebbe messo in piedi una catena di società off shore ricollegabili a Berlusconi.
Attraverso queste società, Berlusconi avrebbe acquistato i diritti televisivi dei film stranieri trasmessi da Mediaset e ceduto gli stessi a Mediaset.
In questo modo, Berlusconi avrebbe fatto dei guadagni molto ingenti, sia dal punto di vista fiscale, che in danno degli altri azionisti di Mediaset.
In pratica, MIlls sarebbe un brillante truffatore.
Tuttavia, questo malandrino di talento quando preparava la dichiarazione dei redditi nel 1996 si sarebbe trovato in imbarazzo per giustificare una somma.
Avrebbe fatto quello che fa qualsiasi avvocato privo di scrupoli: scritto (come se un avvocato scrivesse a cuor leggero) al suo commercialista per chiedere consiglio, in modo che questo non potesse che denunciarlo al fisco inglese.
Un tipo dell’intelligenza di Mills e della sua preparazione professionale non sapeva che nel Regno Unito vigono (e sono rispettate) delle norme sul genere della nostra disciplina antiriciclaggio che impongono a qualsiasi professionista che sia a conoscenza della provenienza illecita di una somma di denaro di comunicare questa circostanza al Fisco?
In un paese normale, questo non succede.
In un paese normale, un avvocato del genere di Mills sa organizzare delle truffe pulite e sa come farsi corrispondere quanto dovuto in maniera trasparente.
Di sicuro, non è così idiota da scrivere al suo commercialista di essere in difficoltà con un pagamento illecito.
Le due cose stanno davvero male assieme.
La conclusione è che è davvero molto difficile credere che Mills sia colpevole.
Oppure che Mills è consapevolmente colpevole all’interno di un complotto pluto-giudaico-massonico.

Piange

8 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
23/02/2009

PiangeAula di tribunale.
Fredda di crocefissi.
Avvocati che scivolano agguantati alla sicurezza delle loro cravatte di falsa seta.
Seduto come in ginocchio l’imputato.
I secondini lo stringono in un muro di silenzio: Voi che capite, mi spiegate cosa succede?
Un giudice legge muti articoli di legge: Voi che capite?
La donna vuota nel vuoto della porta.
Avvinghiata all’usciere: Lei che capisce?
Piange.
Piange senza trattenersi.
Piange inciampando nei singhiozzi: Pago io le spese di custodia cautelare … Fruga in un portafoglio di povertà e miseria, di spiccioli e pane, per far vedere che può farlo.
La messa finisce, come un rosario alle sei del mattino.
Le cravatte si fermano, senza smettere i sorrisi di falsa seta.
Un giudice legge la muta condanna: Voi che capite? Lei che capisce?
In piedi come in ginocchio, lui viene portato via.
Nei singhiozzi di lei.
Nella danza delle toghe che si scambiano di posto.
Con sicura indifferenza.
Solo una sigaretta, chiede lui.
Solo una sigaretta.
E sparisce nelle spinte di un corridoio.
Rincorso da un pianto accartocciato come un pacchetto di MS.
Ai margini.

P.s.
L’immagine è di http://digilander.libero.it/kapibeatrix/suz.jpg

Separando il signor 1816 della Loggia P2 e Maximilian Robespierre

20 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
23/07/2008

sbarreIeri il Senato della Repubblica ha approvato il disegno di legge 903 Atti Senato, titolato Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato.
Dibattito breve, serrato.
Che ha permesso a Belisario dell’Italia dei Valori di ricordare l’iscrizione alla Loggia P2 del Capo del Governo, chiaramente emersa dall’indagine parlamentare a suo tempo svolta dalla Commissione di inchiesta guidata dall’on. Anselmi.
Che ha permesso alla lucidità di Ceccanti di ricordare le parole di Maximilian Robespierre, all’Assemblea nazionale costituente, il 25 giugno 1790: Perché i rappresentanti della nazione godano dell’inviolabilità bisogna che non possano essere attaccati da nessun potere particolare. Nessuna decisione deve poterli colpire se non viene da un potere uguale ad essi e non c’è nessun potere uguale ad essi di questa natura. Se voi non consacrate questi principi, rendete il corpo legislativo dipendente da un potere inferiore.
E’ un ricordo attentamente fuorviante, Robespierre parlava a favore della immunità parlamentare, che è istituto ben diverso dalla irresponsabilità delle più alte cariche dello Stato.
Si potrebbe parlare a lungo delle ragioni che possono condurre a ritenere incostituzionale il disegno di legge approvato dal Parlamento.
Si è detto che solo la Costituzione può definire un equilibrio fra sovranità popolare e principio di eguaglianza. L’argomento è solo retorico. Ogni legge è espressione di sovranità popolare e quasi tutte le leggi costituiscono attuazione del principio di eguaglianza, non foss’altro perché devono essere improntate ad un criterio di ragionevolezza.
Si è detto che solo la Costituzione può definire il modo in cui i più alti poteri dello Stato interagiscono fra di loro, limitando le attribuzioni del potere giudiziario. E’ come dire che il codice di procedura penale, nella parte in cui prevede i limiti all’esercizio della azione penale, deve essere costituzionalizzato. Non è così: i limiti all’esercizio della azione penale possono essere stabiliti dalla legge, ma deve essere una legge improntata a valori costituzionali, esattamente come ogni altra legge.
Si è anche detto che il disegno di legge accomuna cariche (il Capo dello Stato, il Capo del Governo, i Presidenti delle due camere) che sono molto diverse fra di loro. E’ vero che sono diverse fra di loro, ma è anche vero che si tratta di cariche che svolgono una funzione costituzionalmente irrinunciabile, sicché può non essere irragionevole un trattamento unitario delle loro garanzie. Può non essere inopportuno un unico status comune a tutte le cariche dello Stato.
Si è detto pure che è incostituzionale un automatismo, che ogni immunità dovrebbe essere prerogativa del potere cui appartiene, che dovrebbe motivatamente assumersi l’onere di pronunciarla e renderla perciò fonte di responsabilità politica. E’ argomento che prova troppo: non potrebbe adattarsi al presidente della repubblica che è un ufficio monocratico e che perciò non potrebbe mai dichiarare la propria immunità secondo questo schema.
Si è detto infine che il Capo del Governo è primus inter pares, sicché la sua immunità deve estendersi anche ai ministri. Non è vero. La nostra costituzione materiale ha disegnato un ruolo del capo del governo che è assai diverso da quello dei suoi ministri.
Il punto non è questo.
La legge che prevede la temporanea sottrazione alla azione penale delle più alte cariche dello Stato può essere astrattamente ragionevole e probabilmente non incostituzionale.
Diventa incostituzionale nel momento in cui è asservita alla sottrazione al processo di una persona fisica precisa e ben individuata.
Di una persona che conosce il proprio capo di accusa e che pretende di essere assolta non perché non ha commesso il fatto, ma attraverso il ricorso alla sovranità popolare.
Un parlamento può prevedere l’immunità delle più alte cariche dello Stato.
Ma non può prevedere che il suo Capo del Governo sia sottratto ad un processo già incardinato.
La "vera" incostituzionalità del disegno di legge è la sua intima ragion d’essere: la sovranità popolare che sacrifica l’indipendenza della magistratura non in via generale ed astratta ma ad personam.

Chi li ha sciolti? (Un benemerito generale)

12 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
24/06/2008

Logo smallSi legge su Libero di oggi una lettera al direttore Feltri del generale Pappalardo.
La tesi di fondo è che i magistrati non possono condizionare la politica per effetto del principio di separazione fra i poteri.
E’ una tesi difficilmente discutibile.
Il principio di separazione fra i poteri governa la nostra democrazia e ne salvaguarda la continuità istituzionale.
I toni del generale sono però davvero singolari.
Il generale, che è uomo politico e che fonda il suo programma sulla difesa dell’onore e del prestigio dell’Arma dei carabinieri, vede con rammarico l’assenza nella carta costituzionale di una disposizione che similmente a quanto accade in Turchia consenta all’Arma di intervenire  a difesa lì della laicità dello Stato qui dell’indipendenza delle istituzioni dalla magistratura.
La costituzione turca è sicuramente interessante, come interessanti sono le pronuncie con cui la corte suprema turca ha progressivamente vincolato i poteri kemalisti dell’esercito fondati sulla retorica del piccolo Mahmet.
Ma non è la costituzione italiana.
Invocare l’intervento dell’esercito in un conflitto politico fa venire i bordoni.
Leggerlo su un giornale, in un commento scritto da un generale dell’esercito, con vivace orgoglio, è preoccupante.
I conflitti politici sono materia parlamentare e – nella loro degenerazione patologica – vengono conosciuti dalla giustizia costituzionale.
L’esercito ha semplicemente un compito di difesa esterna.
L’Arma dei carabinieri ha funzioni di pubblica sicurezza e polizia giudiziaria.
Nessuno dei due può intervenire in un conflitto fra il potere politico ed il potere giurisdizionale.
Pena il colpo di Stato, che nel linguaggio costituente si chiama attentato alla Costituzione.
In realtà, le forze armate ed i loro organismi di vertice dovrebbero stare lontane dalla politica esattamente negli stessi termini in cui vi devono stare lontani i giudici.
Con una differenza non da poco: mentre i giudici hanno a loro disposizione solo gli uscieri, che in una logica rivoluzionaria non costituiscono un grosso pericolo, i generali comandano i soldati e questi possono essere piuttosto efficaci in un attentato alla Costituzione.

Il Cermis di Calipari (Post lungo e noioso)

12 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
20/06/2008

CalipariMario Lozano non sarà processato in Italia per avere ucciso Nicola Calipari.
Così ha deciso la Cassazione con sentenza non più impugnabile.
Lo Stato italiano non ha giurisdizione nei confronti di un militare straniero, si legge sui giornali.
La questione è, molto, più complessa.
Prima di tutto, la giurisdizione italiana non riguarda, naturalmente e per regola generale, fatti commessi all’estero da cittadini stranieri.
La giurisdizione penale segue il territorio.
Le eccezioni sono tassativamente indicate e riguardano i soli delitti che offendono direttamente lo Stato (artt. 7 e 8, c.p.) ovvero il caso in cui il colpevole sia presente in Italia e abbia offeso interessi tutelati dall’ordinamento italiano (art. 10, c.p.).
Il fatto che Mario Lozano abbia visto un processo iniziare e bloccarsi non perché il reato era commesso all’estero e il colpevole non era in Italia (così Cassazione penale  sez. I,  11 luglio 2003,  n. 41333, a proposito dell’omicidio di Maria Grazia Cutuli in Afghanistan) ma in virtù delle norme contenute nel Trattato di Londra significa che il suo reato è stato considerato astrattamente perseguibile dal nostro ordinamento giuridico.
E’ un passo significativo ed importante perché in precedenza questo era avvenuto solo per gli omicidi perpetrati dalla dittatura argentina nei confronti di cittadini italiani, in quanto considerati "delitti politici": La qualificazione di un delitto come politico data dall’art. 8 c.p. va letta alla luce dell’art. 10 Cost., secondo il quale l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale, tra le quali si pone in particolare la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, che obbliga gli Stati al rispetto di alcuni diritti fondamentali nei confronti di ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione. Ne consegue che vanno definiti come politici i delitti di oggettiva gravità, commessi in danno di cittadini italiani residenti in Argentina, in esecuzione di un preciso piano criminoso diretto all’eliminazione fisica degli oppositori al regime senza il rispetto di alcuna garanzia processuale e al solo scopo di contrastare idee e tendenze politiche delle vittime, iscritte a sindacati, o partiti politici o ad associazioni universitarie, in quanto tali delitti non solo offendono un interesse politico dello Stato italiano, che ha il diritto ed il dovere di intervenire per tutelare i propri cittadini, ma anche i diritti fondamentali delle stesse vittime (Cassazione penale  sez. I, 28 aprile 2004,  n. 23181).
In altre parole, il reato commesso da Lozano è stato considerato un "delitto politico" e la sua azione il momento di un piano criminoso che aveva come scopo la lesione dei diritti fondamentali di un cittadino italiano.
Ciononostante, il signor Lozano non è stato processato, poiché, secondo la legge della bandiera, che si è formata in età napoleonica ed ha il rango di consuetudine internazionale, anche per i fini di cui all’art. 10, Cost., lo Stato italiano difetta di giurisdizione nei confronti di militari stranieri.
Il Trattato di Londra prevede che i militari devono essere processati dallo Stato cui appartengono per tutti i reati commessi in ragione delle missioni che sono loro affidate.
In occasione del Cermis, quando un aereo in addestramento ha tranciato una funivia, determinando una strage, il giudice per le indagini preliminari di Trento ha affermato: Ai fini della convenzione di Londra del 19 giugno 1951 sullo statuto dei militari Nato (resa esecutiva con l. 30 novembre 1955 n. 1335) è esclusivamente l’autorità giudiziaria che deve stabilire se l’atto che costituisce reato è stato commesso nell’esecuzione del servizio, con la conseguenza che è attribuita priorità di giurisdizione allo Stato di origine del militare anziché allo Stato di soggiorno (Uff. Indagini preliminari  Trento,  13 luglio 1998, Ashby e altro, in Cass. pen. 1999, 3588).
In questi casi, la giurisdizione italiana si può attivare solo se: (i) vi è una richiesta del ministro della giustizia al paese della bandiera di rinunciare all’esercizio della giurisdizione in favore del nostro Stato e (ii) il paese della bandiera rinuncia all’esercizio della giurisdizione acconsentendo al processo penale italiano.
Tutto questo non si è verificato e la Cassazione non ha potuto che prendere atto del proprio difetto di giurisdizione.
Ma se queste sono le premesse giuridiche della sentenza che rinuncia a perseguire il signor Lozano, questa sentenza assomiglia molto ad una condanna degli Stati Uniti.
Essa, infatti, fa applicazione della Convenzione di Londra e perciò ritiene che le regole del diritto penale comune consentirebbero di processare il signor Lozano, il che è possibile solo se il reato che ha commesso è "politico" nel senso in cui erano "politici" gli omicidi commessi dalla giunta militare argentina ai tempi del mondiale del 1978.
Non solo.
Siccome la Convenzione di Londra si può applicare solo a reati commessi nell’esercizio delle mansioni affidate al militare, questa sentenza riconosce che l’omicidio di Nicola Calipari è avvenuto nell’ambito degli ordini ricevuti dal signor Lozano.
Insomma, se Lozano è stato assolto, non sono stati assolti gli Stati Uniti.
Tutt’altro.

L’High Court lascia Mosley con il sedere all’aria

1 Comment/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
09/04/2008

IlCulodiMosleyIl povero Max ha perso.
Aveva chiesto alla High Court di impedire la diffusione del video imbarazzante e la High Court ha risposto che sarebbe stato come chiedere alle onde di tornare indietro.
Il richiamo a King Canut è molto carino: il tizio, re di Inghilterra intorno all’undicesimo secolo, aveva cercato di legare le onde con delle catene perché non potessero più affondare la sua flotta.
Non ebbe successo.
Nemmeno il povero Max: il Giudice Eady ha stabilito che le immagini di Mosley, con il sedere a scacchi mentre si fa frustare, sono state talmente diffuse che Mosley ha perso ogni diritto alla sua privacy.
Francamente, è un provvedimento che lascia un po’ perplessi.
Il fatto che una immagine sia diffusa non significa che se è illecita non si debba impedirne la diffusione.
Se hanno pubblicato il sedere di Mosley in una infinità di media, questo non significa che sia sempre il sedere di Mosley e che Mosley abbia il sacrosanto diritto di decidere chi può vedere il suo sedere: cinque signorine armate di fruste o tutti i lettori del Times.
La decisione del giudice Eady lascia immaginare una usucapione della privacy che non può non lasciare perplessi.
E’ possibile temere un mondo in cui se si viene ritratti in termini non esattamente onorevoli e se queste immagini iniziano a circolare, il diritto alla privacy cessa di essere giustiziabile solo perché è stato violato.
In fondo, il compito della giustizia è proprio quello di far tornare indietro le onde del mare.

Solidali con Clemente

9 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
17/01/2008

Possono il Presidente del Consiglio ed il Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura manifestare solidarietà a Clemente Mastella?
Possono farlo in un clima trasversale che esprime disagio verso la magistratura?
Ecco quello che è successo ieri in Parlamento:
Clemente Mastella: "Mi dimetto per senso dello Stato e lo faccio senza tentennamenti. In fondo, avrei potuto restare al mio posto; un Ministro della giustizia che non è in grado di difendere neppure la moglie dall’assalto violento e ingiusto di accuse balorde e non riesce ad evitarne neppure l’arresto ai domiciliari non è certo in grado di inquinare le prove, perché è talmente risibile il proprio potere che lo si può lasciare tranquillamente al proprio posto.
Mi dimetto, dunque, per aprire una questione fondamentale di emergenza democratica tra la politica e la magistratura, anche perché, come ha scritto Fedro: «gli umili soffrono quando i potenti si combattono»" (Prolungati applausi dei deputati dei gruppi Popolari-Udeur e Forza Italia – Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-L’Ulivo, Alleanza Nazionale, UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), Lega Nord Padania, Socialisti e Radicali-RNP e Verdi – Applausi di deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo e Comunisti Italiani e del deputato Razzi – Deputati si recano ai banchi del Governo per stringere la mano al Ministro Mastella).
Il discorso ha trovato un plauso trasversale.
Per Bondi: "Tutti comprendiamo ormai da tempo, infatti, che l’indipendenza della magistratura e la sovranità del Parlamento sono il fondamento della democrazia. Nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente un grande giurista, uno dei Padri della nostra Costituzione, Piero Calamandrei, aveva colto lucidamente il problema, quando sosteneva che lo stato della democrazia di un Paese è intimamente legato alla condizione della giustizia. Ciò perché il ritmo e il respiro della democrazia sono identici al ritmo e al respiro della giustizia e perfino al ritmo e al respiro del processo. Entrambi si fondano, infatti, sull’urto delle forze, sulla dialettica, sul bilanciamento dei ruoli, secondo regole precise e armoniche, attraverso le quali si raggiunge la verità nel processo e il bene comune attraverso la democrazia. Questi credo siano i valori che oggi accomunano tutti noi e tutti i membri del Parlamento."
Fini: "Non si può dare corso ad una politica dei due pesi e delle due misure. Soprattutto – e mi rivolgo in particolar modo ad alcuni colleghi dell’altra parte dell’emiciclo – vogliamo, per una volta, onestamente prendere atto di ciò che tutti sanno? Vi è una parte della magistratura che rivendica il diritto all’autonomia ed indipendenza – è un dogma della Costituzione -, ma non avverte il dovere dell’imparzialità. Vi è una parte della magistratura che agisce per ragioni di tipo esclusivamente politico o per protagonismo personale" (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia).
Maroni: "Signor Ministro, le esprimo l’amicizia personale e la solidarietà personale e politica, mia e del gruppo. Lei ha fatto un atto di accusa durissimo, senza precedenti, un atto d’accusa che descrive un atteggiamento della magistratura, quello che lei ha definito «una trappola scientifica», che anche noi, in particolare della Lega, abbiamo sperimentato. Chi l’ha preceduta, il Ministro Castelli, ha subito addirittura di più di quello che lei ha subito" [Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania, Forza Italia e UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro).
Sono cose che danno il senso di un profondo disagio.
Politica e magistratura sono sfere di potere autonome.
Ogni volta che interferiscono creano un attrito democraticamente molto sensibile.
Un consenso trasversale per l’interferenza della politica sulla magistratura fa paura.
Molta paura.
E’ come dire che la magistratura non ha il diritto di verificare se davvero la signora Lonardo ha commesso degli illeciti.
Ovvero che la signora Lonardo, siccome è moglie di un guardasigilli, non può subire gli strali dell’azione penale.
Di quella azione penale che la nostra Costituzione disegna come obbligatoria per legge.

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