Il mio maestro
L’accademia insegna delle relazioni che non sono sempre facili da spiegare.
Una di queste è la relazione fra l’allievo ed il suo maestro.
Vi sono maestri di molti generi.
Il genere più tipico lo si riconosce per Natale.
E’ il maestro che chiede ai suoi allievi di preparare l’albero a casa sua, di allestire il presepio o di caricare la macchina che parte per le vacanze.
Di solito, i suoi allievi sono delle perfette carogne, untuosi con chi li può comandare, arroganti con chi capita fra le loro mani.
Un altro genere lo si conosce ai concorsi.
E’ il maestro che ha sempre una allieva da sistemare.
Una di quelle che hanno scritto poche righe, su riviste di infimo ordine, ma che godono di protezioni ultraterrene.
C’è poi un genere tutto particolare.
Il maestro goliardico.
Lo si riconosce perché possiede una macchina molto potente ed abbastanza sportiva.
Di solito porta con sé gli allievi ai convegni.
Il problema è al ritorno.
Quando all’uscita dell’autostrada, in pieno nulla periferico, inchioda l’auto e dice: "ragazzi, voi potete scendere, qui è più comodo per tutti".
Naturalmente, questi generi si possono confondere e le varianti genetiche sono infinite.
Il mio maestro, però, non appartiene a nessuno di questi generi.
E’ una persona buffa, facile al sorriso.
Ha sempre studiato.
Cammina con una andatura veloce, di piccoli passi, le braccia affannate di borse pesantissime.
Una volta, ho cercato di aiutarlo e mi ha guardato con aria sorridente: "che fai? mi rubi la borsa?".
Gli ho sempre voluto bene, anche se i casi della vita ci hanno portati a non capirci.
Mi viene in mente perché ho appena finito di correggere le bozze del mio ultimo libro e mi sono sentito in dovere di dedicarglielo.
Con preoccupazione.
Odia le dediche.
Ma spero che mi capisca.