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Tag Archive for: il professore va al congresso

Consultazioni: Sergio Mattarella dal punto di vista di Antonio da Mestre

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
04/04/2018

Le consultazioni iniziano oggi e la situazione politica è talmente complessa che molti italiani, come Antonio da Mestre e Alvaro da Pisa, vorrebbero essere al posto di Mattarella.

Per la prima volta, da molti anni, le consultazioni per la formazione del governo sono al centro delle discussioni nei bar della penisola e i vari Gigi da Palermo danno consigli all’allenatore, come se si trattasse della nazionale ai tempi di Ezio Sella.

Le tesi di fondo che si contrappongono sono due.

La tesi pentastellata: il partito che ha ottenuto più voti ha diritto di formare il governo perché ha ottenuto più voti.

La tesi leghista: la coalizione che ha ottenuto più voti ha diritto di formare il governo perché ha ottenuto più voti.

La prima non tiene conto del fatto che il Movimento 5 Stelle non può essere considerato un partito politico, perché manca di una ideologia. Se manca una ideologia è difficile dire di avere preso più voti degli altri partiti, perché è difficile capire cosa hanno votato i cittadini che lo hanno votato.

Il Movimento deve sciogliere non pochi nodi al proprio interno per poter dire di avere conquistato la maggioranza dei voti, perché allo stato è articolato come la Democrazia Cristiana degli anni sessanta.

La seconda non tiene conto del fatto che una coalizione ha senso quando è in gioco un premio di maggioranza che garantisce la governabilità. Senza questo premio di maggioranza non significa nulla. Sono tre partiti che contano per i voti che hanno conquistato e soprattutto per i seggi che gli sono stati distintamente assegnati.

Nel sistema che si è venuto a creare con la Terza Repubblica, le consultazioni devono fare a meno dei partiti politici e delle ideologie sottostanti.

Ma se è così, il Capo dello Stato si trova davanti a un compito davvero complesso, perché non deve negoziare con delle piattaforme ideali ma con delle persone reali, con i loro vizi e le loro caratteristiche.

Un compito nel quale i vari Mimmo da Macerata e Carlo di Aosta fanno quello che fanno tutti gli atleti da bar: applaudono se stessi se la loro squadra vince seguendo il canone Io lo avevo detto e infamano l’allenatore se perde, senza cambiare assolutamente canone.

Oltre Facebook / Cambridge Analytica…

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
21/03/2018

Il caso Facebook / Cambridge Analytica parla di cose vecchie e anche un po’ scontate.

L’uso da parte dei signori della rete dei dati relativi agli utenti per promuovere prodotti è noto.

Il fatto che le politiche in materia di privacy di Facebook abbiano consentito fino al 2014 agli sviluppatori di applicazioni di acquisire tramite le loro applicazioni dati relativi agli utenti e utili per la loro profanazione è forse meno noto ma comunque notorio.

Il fatto che un manager di una società che opera in maniera obliqua possa offrire a un cliente che desidera gettare discredito su di un avversario politico uno scandalo a fondo sessuale non è altro che una questione rilevante per il codice penale.

Eppure questa vicenda ha bruciato molto denaro in borsa e i mercati finanziari non operano per caso.

Il fattaccio che è venuto alla luce riguarda l’uso da parte di Cambridge Analytica di un numero imponente di profili di utenti che avevano rivelato le loro opinioni spontaneamente compilando dei test psicologici per influenzare delle manifestazioni elettorali.

Abbiamo così “scoperto” che su Facebook gli utenti tendono a costruire delle filter bubble e che queste filter bubble operano come echo cambers determinando il sorgere di cocoon informativi.

Cass Sunstein ha scritto un libro su questo, tradotto in Italia da Il Mulino con il titolo #Republic.

In altre parole, le persone vogliono leggere le notizie che gli interessano, chiudendosi in delle stanze in cui ricevono solo ciò che vogliono leggere (filter bubble), che in queste stanze le opinioni più estreme tendono ad affermarsi: i suprematisti ariani quando parlano fra suprematisti ariani sono più estremisti di quando manifestano le loro opinioni in pubblico (echo chambers) e che questi bozzoli di informazione (cocoon), in cui gli utenti della rete tendono a segregarsi scegliendo le loro amicizie, sono pericolosi per il pluralismo.

Insomma, abbiamo scoperto che quando la Corte costituzionale affermava che la libertà di informazione è la «pietra angolare dell’ordine democratico» (Corte cost. 84/1969) diceva una cosa che sulla rete è molto meno vera che nella realtà fisica.

Nella rete, la libertà di informazione può essere pericolosa per la democrazia proprio perché è affidata a tutti (è decentrata e disintermediata, ma non per questo è resa più democratica) e non tutti sono in grado di esprimere pensieri interessanti per lo sviluppo di un discorso democratico.

L’applicazione delle regole sulla responsabilità dei provider

Il punto è che l’applicazione delle regole in materia di responsabilità degli internet service providers, in virtù delle quali il provider non è responsabile del contenuto che ospita, ai social media, che non sono internet service provider, perché organizzano i contenuti che ospitano e li orientano secondo le loro politiche aziendali, determina dei seri rischi per il discorso democratico.

E’ quello che hanno notato con intelligenza e acume da molto tempo studiosi come Sunstein o come Balkin, ma anche come Gillespie e l’elenco potrebbe essere lungo.

In questa situazione, i mercati hanno capito che i social media non potranno continuare ad operare come signori della rete, liberi di decidere le loro politiche, ma si dovranno in qualche misura sottomettere alla sovranità degli Stati e la sovranità degli Stati ridurrà i loro profitti.

O forse hanno capito che i social media non potranno fare a meno di anticipare le normative statali adottando delle politiche aziendali trasparenti e in grado di evitare disfunzioni come la censura collaterale, di cui si parla da molto tempo.

O magari hanno intuito che il potere dei signori della rete sta diventando l’oggetto di una forte critica sociale e che questa critica sociale spesso viene direttamente da coloro che operano all’interno delle organizzazioni aziendali messe a punto dai signori della rete.

Ma cosa sono i social media per l’art. 21, Cost.?

In realtà, i social media non sono mezzi di informazione nel senso tradizionale di questa espressione, ma sono semplicemente dei contenitori per la libertà di manifestazione del pensiero, funzionano in maniera molto più simile a spazi privati aperti al pubblico che vi si riunisce consapevole del fatto che in questi spazi si deve rispettare la disciplina imposta dal loro proprietario, esattamente come chi va in un bar deve rispettare le regole di polizia imposte dal suo proprietario, che gli può dire di bere meno o di parlare a voce meno alta e perfino allontanarlo se non è in grado di rispettare le regole della casa.

L’aspetto più interessante di questa vicenda è che non è emersa grazie alla rete, la rete non ha rivelato nulla di Cambridge Analytica e della sua influenza per le competizioni elettorali. E’ stato il giornalismo investigativo del New York Times e del Guardian che ha consentito all’opinione pubblica di venire a sapere quello che stava accadendo.

Come nel caso di Weinstein, che avrebbe facilmente ottenuto l’oblio delle notizie che lo riguardavano se queste fossero state postate su Facebook o su un blog, grazie alla regole del notice-and-takedown, che è tipica della responsabilità del provider.

Una rivoluzione imminente?

L’aspetto più interessante è che i giornali sono ancora vivi e per ora fanno ancora il loro lavoro.

La cosa, invece, più preoccupante è che la presenza dei giornali è minacciata seriamente dalla rete e la rete, al contrario della carta stampata, non è affatto trasparente.

Se questa preoccupazione diventasse condivisa, il mondo della rete diventerebbe il campo di una rivoluzione, forse meno cruenta di quella del 1789, ma non meno significativa per le sorti dell’umanità.

Su questo si deve riflettere. Non sulla profanazione della privacy degli utenti che sono stati chiusi nelle echo chambers in cui loro stessi desideravano essere rinchiusi.

Oggi, e da tempo, questo non è più possibile, mentre è possibile analizzare i big data costruendo i profili degli utenti senza violare la loro privacy e, forse, anche condizionando le competizioni elettorali con la scelta dei candidati da votare usando lo stesso algoritmo con cui Netflix ci consiglia una nuova serie, azzeccando quasi sempre i nostri gusti, ma senza farci vedere nulla di nuovo.

Fermate la Befana

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
05/01/2018

Davvero posso ritardare l’Epifania?

La Befana che arriva di notte può essere fermata a qualche valico e trattenuta per qualche giorno?

Mi piacerebbe che queste vacanze durassero ancora per qualche minuto.

Che non fosse già arrivato il momento di spengere le luci all’albero di Natale e di chiudere il presepio nella sua scatola.

Ma è arrivato e (fortunatamente?) nemmeno le grandi corporation della rete possono ritardare il calendario liturgico.

Chi li ha sciolti? (Negrobus)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
04/10/2017
Uomo diversamente colorato che usa l'autobus

Negrobus sul 22

Il Negrobus è l’immigrato da mezzi pubblici. Una particolare categoria di extracomunitario nota a tutti i pendolari.

Con l’avvertenza che i negrobus non sono solo originari dell’Africa subsahariana. Ci sono negrobus rom, cinesi e anche italiani.

La domanda che non riesco a non pormi ha per oggetto il biglietto che tiene fra i denti.

Nasce da anni passati sul Feccia Nera, il treno che unisce Pisa a Firenze ma anche Firenze a Pisa e consente a Montelupo, Empoli, San Miniato, Santa Croce, Pontedera e Cascina di non essere ingoiati da un universo parallelo.

Sul Feccia Nera i negrobus viaggiano solitamente senza biglietto.

Quando il controllore li ferma, scendono dal treno. Aspettano il successivo e prima o poi arrivano a destinazione senza mai fermarsi alla biglietteria.

Questo ha il biglietto e lo tiene in bocca ostentamente, come un osso.

Lo fa per dire:

Sono diverso da tutti gli altri e pago il biglietto

Oppure sta lanciando una sfida:

Chi ha il coraggio di controllare il timbro su un biglietto sbavato?

Voglio credere in Babbo Natale e nel Topino che compra i denti dei bambini

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29/09/2017
CicognaBabboNatale

Per il topino dei denti

Bimba Piccola ha perso due denti.

Non ha ancora finito di perdere i denti.

Li ha messi sotto il bicchiere e ha messo il bicchiere sopra il comò della Povera Mara che è un ponte fra dimensioni parallele.

Ha aggiunto un biglietto, per scriverlo ha chiesto la stilografica del padre, comunicando che siccome i denti erano due, uno sconto sarebbe stato accettato.

E’ una persona pratica.

Bimba Impertinente ha sorriso impertinente, scatenando la reazione di Bimba Piccola:

Voglio continuare a credere a Babbo Natale e anche al topino dei denti…

Nessuno ha detto nulla e non c’era niente da dire.

Dopo non molti minuti, la stessa bambina ha chiesto:

Per fare un figlio sono sempre necessari i maschi? Io ne farei anche a meno. All’inizio sembrano divertenti, però poi che noia…

Nessuno ha detto nulla.

Povera Livorno: il Nido del Cuculo può fare qualcosa?

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
21/09/2017

Livorno è pubblicizzata da uno splendido video della Società che gestisce gli approdi delle navi da crociere con lo scopo di attirare turisti da tutto il mondo.

Vale la pena guardarlo con cura.

Soprattutto se si conosce Livorno.

La protagonista è una ragazzina che si potrebbe chiamare Rugiada, come la storiella della tipa che scende da uno yacht su una banchina del Mediceo. Meravigliosamente leggiadra. Il rude ormeggiatore le chiede come si chiama e lei risponde Rugiada.

Boia, che culo. Se nascevi a Livorno, ti chiamavano Guazza…

Guazza vede tutte le bellezze della città.

La terrazza Mascagni che non è così. E’ accanto alle baracche dove si frigge il pesce h24, ma il puzzo di pesce fritto su Vimeo non si sente.

La teleferica per Montenero che non è così. E’ tutto alluvionato e fa ancora male al cuore andarci.

La terrazza del Grand Hotel Palazzo che non è così. Se ti giri, pare di essere a Beirut.

Il culmine si raggiunge quando Guazza si tuffa in un punto in cui la Capitaneria di Porto ha imposto il divieto di balneazione.

Ma si potrebbe continuare.

Livorno deve essere una città delle crociere?

Crea ricchezza alla città un flusso ininterrotto di turisti cheap che scendono in città per andare a Firenze, Pisa e San Gimignano.

Tutto in un giorno solo, con un ritmo da ironmen?

E’ vero che la pubblicità ingannevole e il cattivo gusto non sono reati, ma, in altri tempi, una interrogazione parlamentare ci sarebbe stata proprio bene.

Visto che la società che gestisce il traffico delle crociere è partecipata dall’Autorità Portuale e le Autorità Portuali sono pubbliche amministrazioni a tutti gli effetti.

La speranza è che i ragazzi del Nido del Cuculo lo guardino prima possibile.

Il ministro, gli smartphone e Picasso

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
13/09/2017

La polemica di questa mattina riguarda l’annuncio del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca scientifica di considerare utili gli smartphone in classe.

Il solito esperto da Radio Tre si è detto sicuro che l’uso dello smartphone sia dannoso, perché scrivere su un palmare obbligherebbe il pensiero a un percorso puntiforme, il percorso delle dita sulla tastiera, abbandonando la dimensione fluida della calligrafia.

Forse non è esattamente così. E’ genericamente così.

C’è una grande differenza fra scrivere analogicamente e scrivere digitalmente.

Ogni strumento che si sceglie per scrivere consente al pensiero di seguire percorsi diversi e molto spesso chi è abituato a scrivere ha i suoi personali vezzi.

Si può pensare alla macchina da scrivere di Arthur Miller, alle matite Fila modello Tirone e perfettamente appuntate con cui scriveva Alberto Predieri, alle stilografiche di Chatwin e ai suoi taccuini.

Ciascuno ha un modo di scrivere e sviluppa il suo pensiero adattandolo anche a ciò che usa per scrivere.

La vera riflessione, la riflessione che, forse, sarebbe piaciuta a Steve Jobs, è l’importanza di educare alla consapevolezza dei diversi strumenti che si utilizzano e alla comprensione delle potenzialità che hanno.

Negare l’ingresso degli smartphone in classe significa non essere consapevoli che pensare “word” è molto diverso da pensare “gdoc”. Word, in fondo, è una macchina da scrivere che funziona molto bene ma che non è diversa da una Lettera 22 evoluta. Google doc permette di condividere ciò che si scrive mentre lo si scrive e questo è un modo di pensare scrivendo. Come ancora è diverso riflettere su un keynote o sviluppare una presentazione con Prezi, che si potrebbe prestare anche a un romanzo.

Hackpad, che adesso si chiama Paper e che viene sviluppato da Dropbox, è ancora un modo diverso di scrivere e di pensare a partire dal codice e come si può fare solo con uno smartphone.

Nessuno di questi strumenti è simile all’altro.

Non lo sono gli strumenti analogici, non lo sono quelli digitali. Sono diversi fra di loro e permettono cose diverse, un po’ come il corsivo francese e quello inglese, il gotico e il cancelleresco, per restare in ambito calligrafico.

Per questo il dibattito intorno alla proposta – dichiarazione del ministro dell’Istruzione è fuorviante rispetto al vero nodo della questione.

Educare ad esprimere il proprio pensiero è anche educare alla consapevolezza dei diversi strumenti che si possono usare per esprimere il proprio pensiero e a quali sfumature del proprio pensiero ciascuno di questi strumenti è più adatto a raccontare.

Picasso lo insegnava ai suoi allievi.

Prima di ogni altra cosa, si deve trovare la materia su cui dipingere, perché c’è chi ha bisogno della carta, chi degli affreschi, chi delle tele, chi semplicemente di pannelli di legno.

E Picasso era uno che si intendeva anche di calligrafia: quando doveva pagare qualcosa aggiungeva sempre un piccolo disegno alla sua firma sull’assegno in modo da essere sicuro che non sarebbe stato incassato…

Parole e significati: esistono i sinonimi divergenti?

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
12/09/2017

Poema ferroviario

In Mosca – Petuski, Erofeev spiega che vi sono più di cinquanta sinonimi divergenti in russo per definire l’ubriachezza.

Più di cinquanta modi di essere ubriachi, a ciascuno dei quali corrisponde una esatta parola.

Lo stesso vale per Neve, in finlandese, secondo il Wagner di Luna di ghiaccio e per la parola Pietra in croato, secondo Radio 3.

Queste parole fissano un concetto talmente essenziale per quella cultura da riflettersi in diverse sfumature che a loro volta diventano concetti e perciò lemmi.

Non sono propriamente sinonimi, parole che hanno lo stesso significato di altre parole di cui possono prendere il posto per evitare ripetizioni, ma sinonimi divergenti: parole che ricordano uno stesso significato di altre parole e lo individuano con una diversa sfumatura.

Il contrario delle parole che possono avere più significati diversi e che affaticano i vocabolari di latino e greco del ginnasio, quando la fatica del tradurre era cercare di individuare un significato all’interno di un contesto in cui tutto poteva voler dire altro ed era semplice perdersi.

Mi sono interrogato a lungo sulla parola che può avere un così grande numero di sinonimi in italiano: la mia ignoranza mi ha impedito di svolgere la stessa indagine in lingue diverse.

In effetti, l’idea di ubriachezza identifica la cultura russa, come l’idea di amore è centrale nella Grecia classica, la neve individua una parte dell’anima del nord finlandese e la schiavitù della pietra è caratteristica del ruolo della Croazia nell’economia Ottomana.

Dopo tre o quattro notti insonni, sono arrivato alla conclusione che l’unica parola italiana con un così elevato numero di sinonimi divergenti si trovi esattamente al centro delle donne.

Il che dice molto della nostra cultura e, forse, anche di un Parlamento che invece di parlare di riforme elettorali si perde nelle discussioni sui vitalizi dei suoi membri, scambiando la Luna con il dito ma senza perdere il vero senso delle dita per il nostro vocabolario.

Empatie di avvocati (La proprietà si prescrive?)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
07/09/2017

Gli avvocati sono animali strani.

Più simili a un mostro di livello intermedio di Munchkin che non a servitori della giustizia.

Ci sono avvocati che studiano seriamente il diritto.

Altri che sono affascinati dal fatto e che ne sanno leggere ogni piega.

Soprattutto però ci sono avvocati che non capiscono nulla, che dicono che la proprietà si prescrive e non si vergognano di urlarlo.

Non capiscono nulla di diritto, perché studiare costa fatica e non è per tutti.

Del fatto, perché non c’è niente di divertente negli affari degli altri se gli affari degli altri sono il tuo mestiere.

La differenza fra i due generi si intuisce abbastanza facilmente.

Da come scrivono, da come parlano, da come si muovono.

Persino da come si comportano, gli uni con gli altri, mentre aspettano di combattersi, perché chi litiga per mestiere è più una bestia che un essere umano.

Un uomo di buon senso potrebbe pensare che per vincere in una controversia si debba essere dei buoni avvocati, ferrati in diritto e capaci di analizzare il fatto interpretandolo come un fenomeno giuridico.

Che chi ha studiato poco e non ha mai letto fino in fondo un documento sia destinato al fallimento.

Niente di più falso e di più umiliante.

La verità è che vincono i cialtroni.

Non perché la verità è il sorteggio del Pretore di Monsummano di cui parlava Calamandrei. Erano altri tempi e altre stoffe d’uomo.

Nè perché i giudici sono dei cani che premiano chi è cane come è loro. I giudici hanno vinto un concorso più difficile di quello per diventare avvocati e sanno quasi sempre quello che fanno.

Perché i palazzi, anche quelli di giustizia, hanno un’anima e vince chi è riuscito a impregnarsi di quest’anima, a farla propria.

Gli avvocati bravi sono troppo orgogliosi della propria tecnica per soffermarsi a dialogare con l’anima della giustizia.

I cialtroni, invece, hanno l’umiltà di farlo.

L’umiltà, non la bravura, né l’intelligenza, vince le cause e l’umiltà che vince, talvolta, è davvero umiliante.

Mi guardo i piedi e tengo le mani in tasca

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
09/06/2017

Mi guardo i piedi e tengo le mani in tasca.

Anche oggi che è l’ultimo giorno di scuola di bimba piccola, che era bimba piccola quando aveva tre anni e adesso ha finito le elementari: sa scrivere e far di conto, quasi come un avvocato.

Mi guardo i piedi e tengo le mani in tasca, perché ho il cuore pieno delle sue lacrime mentre saluta le maestre.

Ma soprattutto perché so che se lei è come me e lei è parecchio come me non bastano quelle lacrime per tornare indietro.

 

Non basta il cuore pieno di nostalgia per fermarsi, perché domani è davvero un altro giorno e domani saremo dove oggi non siamo mai stati.

Anche se fossimo ancora qui.

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