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Tag Archive for: non solo bregovitch

Il gobbo (Lo sguardo del malocchio)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
19/07/2023

Lo vedevo quasi ogni mattina.

Curvo lungo il marciapiedi.

Puntuale da rimetterci l’orologio: vederlo mi diceva quanto ero in ritardo per il treno.

Mi ha sempre fatto venire in mente il vecchino delle cento lire che aveva lo stesso problema alla schiena ed era costretto a guardare in terra, sicché mia madre, che non era particolarmente versata nel politicamente corretto, lo aveva soprannominato così: come se cercasse una monetina sfuggita di tasca a uno sconosciuto passante.

Un ricordo tenero, perché tenera era mia madre e ogni volta che la ricordo mi sembra di sentire il suo profumo.

L’ho ammirato incondizionatamente perché ogni mattina, qualsiasi tempo ci sia, esattamente alla stessa ora, fa il suo giro: carne, frutta / verdura, pane.

Finché, una sola volta, ha alzato gli occhi da terra, ha incontrato il mio sguardo e lo ha trafitto.

Mai avevo visto occhi così intensi, vivi e malvagi.

Lo sguardo del malocchio.

Da quel giorno, non l’ho più visto ma una sottile malinconia ha iniziato a curvare le mie spalle.

L’orgoglio di Coppo

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
05/07/2023

Vedere da vicino i mosaici del Battistero è un’esperienza emozionante.

Fanno impressione i particolari.

La loro minuzia.

In un luogo destinato a essere buio: le finestre erano coperte da lastre di alabastro, e incendiato dalle fiamme delle candele.

Nessuno avrebbe mai visto questi particolari. Eppure ci sono e ci sono perché li ha voluti l’autore dei mosaici.

Ci vuole un grande e buono orgoglio per disegnare e realizzare dei particolari che non si vedranno mai e che rivelano l’essenza della perfezione.

Una cosa è perfetta non in ciò che si vede ma in ciò che non si vede e che inconsapevolmente si percepisce.

Assomiglia al motto di Thaon di Revel: non avere segreti e non avrai paura.

Anche nella vita ciò che conta è la perfezione di quanto non si vede.

Non si vede ma si percepisce.

Antropogie mutilate (L’inizio della storia)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
29/08/2022

L’Amazzonia è il cuore del mondo. Un’enorme Silva Magica. Più Magica di un sogno nella scuola del cavaliere azzurro. Forse è questa la sua importanza, essere il testamento della memoria ancestrale di una intera razza, contenere le radici spiritualmente ancestrali di ogni uomo, la memoria di ciò che siamo stati prima di immaginare con le parole e disegnare cerchi per spostare il mondo.
È uno spazio infinito perché ogni popolo che lo occupa si costruisce come un universo e come un universo non pensa che possano esistere altri universi. Il proprio degli universi è l’unicità, un dogma etico.
E, in fondo, conta poco la sua importanza per la sopravvivenza dell’oceano o la sua incredibile e magica potenza.
La verità è che questo luogo sa essere giovane e antico nello stesso tempo, sa muovere ricordi che nessuno possiede se non come tatuaggi dello spirito, ricordi infiniti che si muovono come fiumi di nubi.
Ciascuna nazione ha bisogno di distinguersi dalle altre. Lo fa con tatuaggi, colori e, le più antiche, con mutilazioni permanenti del corpo che modificano definitivamente ed irreparabilmente.
L’appartenenza è una mutilazione con almeno due significati, uno più profondo dell’altro.
Prima di tutto, il bisogno di distinguersi dagli animali. Nessun animale è capace di modificare per sempre il proprio corpo e l’uomo, questo uomo giovane che è ancora capace di dormire su un albero, ha bisogno di sentirsi diverso, di creare una narrazione, di cominciare a ricreare sentimenti e trasformarli in storia attraverso l’arte. Anche quando l’arte è mutilazione.
Il secondo è che questo piccoli uomini sanno di esistere all’interno della loro nazione, di avere un significato che li rende diversi da ogni altro uomo che percorre questo inferno e di avere bisogno di appartenere alla loro famiglia fino a modificare per sempre il proprio corpo e questo è l’inizio dell’amore, un amore che è solo appartenenza e che esiste come storia condivisa: è il mio popolo che mi permette di leggere la realtà e di attraversarla consapevolmente.

Io non sono un Rottweiler

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
05/07/2022

C’è qualcosa di terribile e stonato nella morte di Willy Monteiro Duarte.

Tre ragazzi si appartano al cimitero con le loro ragazze, vengono chiamati da un amico che è coinvolto in una rissa, lasciano le ragazze, corrono alle auto, si precipitano sul luogo della rissa, scendono dalle auto in corsa, iniziano a picchiare uno dei ragazzi che cerca di dividere quelli che stavano litigando “sul serio”, in trenta secondi lo uccidono.

E’ facile condannare questi ragazzi: sono dei ragazzacci che vanno a fornicare nei cimiteri, sono dei teppisti che frequentano scuole di combattimento a mani nude, sono privi di qualsiasi cultura e quando devono scegliere un nome per il proprio figlio lo cercano in una serie TV (Aureliano, da Suburra) invece che nella Legenda aura di Fra Iacopo da Varagine, Vescovo di Genova.

E’ altrettanto naturale considerarli con sagace ironia: non hanno le facce di chi risponde a una battuta con lo spirito di Chesterton o di Wodehouse e se sono in carcere per tutta la vita si può anche menarli per il naso con crudele mestiere di giornalista.

Ancora più semplice soffermarsi sulle condizioni sociali che ne hanno segnato l’infanzia e la maturazione: il carattere del cane dipende dai primi anni di vita e maggiori sono le occasioni di socialità con persone, bambini, anziani e altri animali, maggiori saranno le probabilità che il fanciullo divenga un adulto equilibrato. I fratelli Bianchi probabilmente non hanno letto molti libri, non hanno ascoltato neppure il Beethoven di Arancia Meccanica, non hanno avuto modo di essere seguiti da chi aveva a cuore uno sviluppo equilibrato della loro personalità.

Eppure nessuna di queste analisi coglie nel segno e in ciascuna di esse vi è un sottile filo di razzismo, come se, al di là del fatto penalmente rilevante come giudicato dalla Corte di Assise di Frosinone, due animali sfuggiti alla custodia dei loro padroni avessero divorato un innocente fanciullo, perché è questo che viene in mente paragonando le foto dei fratelli Duarte a quelle di Willy Monteiro Duarte. I primi sono i cattivi, somigliano a belve feroci, il secondo era sicuramente buono e ha il viso di un cucciolo teneramente affettuoso.

Il vero fallimento, però, con i fratelli Bianchi, come con il Pitone, il Vizia e il Morto – i tifosi della Fiorentina che lanciarono una molotov contro il treno dei tifosi del Bologna rovinando per sempre la vita a un ragazzino di quattordici anni – è che esistono delle persone nella nostra società per le quali l’aggressività fa parte del quotidiano, che possono scatenare la loro furia incontrollata da un momento all’altro, senza riuscire a trattenersi, e sono persone che potrebbero passare tutta la vita senza che nessuno si accorga di loro se non si imbattessero, a un certo punto, nell’attimo fatale che li sbatte in prima pagina, li fa diventare dei mostri per sempre.

Ma non sono mostri, non è giusto considerarli tali, non lo meritano neppure: il Pitone, il Vizia e il Morto, incontrati con moderazione, nell’officina di un loro amico, erano perfino simpatici.

La cosa che colpisce in uno dei fratelli Bianchi è l’aver pensato al nome di Aureliano ed è facile ironizzare sul tipo di cultura che Suburra evoca e sulle ragioni che consentono a una persona di desiderare che suo figlio si identifichi con quella cultura. Lo si è fatto qualche riga sopra.

Questo argomento però non è generoso sotto almeno due diversi aspetti.

In primo luogo, Aureliano Adami, ad avviso di chi scrive, è un personaggio di tragico spessore: il suo migliore amico, Spadino, è omosessuale e zingaro, lui si innamora di una prostituta extracomunitaria, la sua lotta per la salvaguardia del Lido di Ostia è, forse, più viscerale e sincera di quella di molti ambientalisti.

Ma il vero punto è un altro: Aureliano Adami non esiste, non è un personaggio reale, è la trasposizione che un colto sceneggiatore ha fatto di un delinquente della periferia romana, una trasposizione che non ha niente a che fare con la realtà, perché nella realtà sono pochi gli scrittori che conoscono i delinquenti e ancora meno quelli che li sanno capire come se fossero delinquenti a loro volta.

Pasolini pensava di saperlo fare e la sua storia ha dimostrato che si sbagliava molto.

Se è così, il fratello Bianchi che si appassiona a Suburra e si identifica in uno dei suoi protagonisti, non esprime una sorta di irreparabile adesione a una cultura inarrestabilmente proclive a delinquere, ma cerca uno dei pochi codici di comprensione della realtà che il suo côtè gli permette di utilizzare, dimostra di avere bisogno di pensare non come Aureliano, ma come Aureliano nello sceneggiato, come l’Aureliano che attraverso la serie televisiva diventa comprensibile e accettabile anche per le persone comuni o moderatamente colte.

E questo non è un Rottweiler, è una persona a cui solo una serie ha spiegato di non essere un Rottweiler e una serie è davvero un po’ poco.

Il mio cane ed io (io non somiglio al mio cane: è lui che deve assomigliare a me)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
24/05/2022

I cani sono come i figli e i figli sono come i cani.

I genitori assomigliano ai figli come i padroni assomigliano ai loro cani, il che, fra l’altro, vale anche per il rapporto di identificazione fra gli avvocati e i loro clienti.

Dietro la banalità di queste osservazioni, facilmente desumibili dalla lettura di Desmond Morris: fra la scimmia nuda e il suo libro sulla educazione del cane, non vi sono distanze particolarmente significative, c’è una porzione del mistero educativo.

Un padre e una madre educano il loro figlio. Il loro figlio finirà per assomigliare loro.

Egualmente un figlio educa i propri genitori. I genitori finiscono per assomigliare al proprio figlio.

Queste affermazioni sembrano speculari e in una logica politicamente corretta lo sono.

Ma non sono corrette: è nel mestiere di chi educa far sì che chi è educato impari a rispettarne l’autorevolezza e sia educato attraverso la sua sua autorevolezza.

Educare rinunciando alla propria autorevolezza è far male ai propri figli. Non solo a se stessi.

E vale anche per i cani e per i clienti degli avvocati.

Nonché per altre cose che è diventato inutile ricordare.

Cancrene di amore (Ribellione è seppellire il proprio cuore)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
11/01/2022

Fame di diabetico, il bisogno d’amore, sete di alcolizzato

Gangrena

Non amata imputridisce carne

L’animo si abitua al delirio

Fame_sete, allegre compagne di chi discende nel proprio inferno

Divorano la mente

Popolano la carne

Prevalgono come neve che assidera abbracciando senza la crudele pietà dei sogni

Ribellione è seppellire il proprio cuore.

Un sogno sul ponte

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
08/09/2021

I ponti appartengono al Diavolo. E’ il Diavolo che li costruisce. Chiede l’anima in cambio o il sacrificio di una vergine.

Il Diavolo unisce luoghi distanti e irraggiungibili, il viaggio è un luogo perfetto per perdere la propria anima.

Eppure senza ponti, i cuori restano distanti e non esiste solitudine più profonda delle otto miglia che separavano le pievi del Medioevo.

Profonda, gretta ed egoista.

I ponti sono necessari per liberarsi dalla schiavitù e il Diavolo aspetta gli schiavi che vogliono fuggire.

Gli offre la libertà più facile: scendere con il loro collare nel più profondo dei pilastri e restare lì, inchiodati a ciò che gli impedisce di essere liberi.

Il mio sogno è uno schiavo che in mezzo al ponte ha il coraggio di sfilarsi da solo il collare e gettarlo nel fiume.

Essere finalmente libero.

Ma so che non è facile perché, in fondo, ogni schiavo possiede il proprio padrone con tutto ciò che il suo padrone non potrebbe fare senza di lui e ne è felice.

E’ felice dell’intelligenza che si fa collare, del vizio che lo carezza, come un cane nelle mani che morirebbe se non trovasse e per il quale la peggior punizione è l’assenza di chi lo ha saputo addomesticare.

L’arte di addomesticare non è di tutti. E’ un’arte egoista. Un’arte che pensa di meritare l’incondizionata adorazione di un’intelligenza animale. Pochi sanno addomesticare un cane fino a farlo tornare randagio, anche se quella era la sua natura.

Ushuaia non è a Ibiza

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
28/08/2021

Ushuaia si trova nella Terra del Fuoco ed è all’imboccatura del canale di Beagle, il passaggio più interno fra l’Atlantico e il Pacifico. Il più esterno è il Drake Passage e il più spettacolare è lo Stretto di Magellano.

Un posto per veri marinai, persone che sfidano se stesse per trovare lo spettacolo di una natura crudelmente incontaminata, di un mare che inonda il ponte di onde forti come incubi e di un vento incessante, un fischio negli orecchi che accompagna per giorni e giorni, anche dopo che si è arrivati in Cile, anche dopo che si è raggiunto il Messico.

Ma Ushuaia è anche un rifugio sicuro. Uno spazio in cui chi osserva Capo Horn può decidere di restare perché per arrivare a Capo Horn ci sono molti ponti da tagliare, molte cose da abbandonare e chi arriva a Capo Horn sa che può tornare solo se lo attraversa, se riesce a mettere la prua su Beagle, Magellano o Drake.

Ushuaia è il tempo in cui si raccolgono le forze prima del balzo, in cui si osserva il meteo, in cui ci si interroga con i vicini di barca e di ormeggio, il luogo in cui, alla fine, si può anche decidere di restare per tutta la vita perché a Ushuaia i venti non hanno un nome diverso dalla loro direzione che è quasi sempre NNW, con una forza superiore a 8, gran lasco su Capo Horn, traverso dove il mare si incrocia e, infine, bolina stretta per risalire. Significa che quando si parte, non si può tornare indietro. Che tornare indietro è faticoso quando andare avanti e, quindi, potrebbe non avere senso.

Questo è Ushuaia, il porto in cui si può decidere di restare per tutta la vita, perché una volta partiti non si può più tornare indietro.

Ma Ushuaia è anche un albergo di lusso a Ibiza, un posto per ricchi, in cui si può spendere più di 8.500Euro per una settimana, un posto da ombrelloni con l’aria condizionata e nel quale si pagano le cameriere per spruzzarle di champagne.

Mi domando se chi va all’Ushuaia di Ibiza sia mai stato nella vera Ushuaia o, semplicemente, sappia della sua esistenza e so che vale anche il reciproco, che chi conosce la vera Ushuaia non sa niente dell’albergo di Ibiza.

Un marinaio di Ushuaia potrebbe andare nell’albergo mentre nessuno in quell’albergo vorrebbe arrivare a Ushuaia o controllerebbe sul suo telefono che ore sono in quel lontano, irraggiungibile porto, per far respirare la propria nostalgia.

So che il marinaio di Ushuaia a Ibiza sarebbe solo come un naufrago vinto dagli incubi che ha ascoltato dalla voce del Capo. Una volta mi sarebbe piaciuto sperare che il turista di Ibiza, invece, era solo una persona che non aveva mai incontrato nessuno capace di raccontargli di Ushuaia, che se lo avesse incontrato, quelle parole lo avrebbero incantato e si sarebbe trasformato.

Ma non è così: ognuno ha il suo naufragio, nessuno è migliore o peggiore e il segreto di ogni naufragio è l’allegria.

Uccelli di mare

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
24/08/2021

Gli uccelli di mare sono quasi tutti bianchi, non blu, azzurri o verdi:

Hanno il colore del mare in tempesta, vogliono poter essere scambiati per schiuma quando si posano fra le onde di una burrasca

Lì hanno bisogno di nascondersi e di non essere visti,

Non temono che qualcuno li possa predare. Maltempo non è stagione di caccia,

Ma perché a nessuno piace essere visto mentre si arrende al fato.

La reazione anomala

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
10/09/2020

Le sperimentazioni del vaccino contro il covid sono state interrotte a causa di una reazione anomala.

Nessuno dice quale sia stata.

Nessuno tranne Spinoza che sostiene che Berlusconi abbia manifestato l’irrevocabile volontà di andare in Procura e confessare tutto, ma proprio tutto.

Fa venire in mente Panoramix e la sua pozione.

Il povero volontario (Previdentissimus?) che cambia colore in continuo.

Il bello della peste è che fa ridere i sani mentre si ammalano.

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