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Tag Archive for: politica

Meglio ballare in un capannone abbandonato o tirare i sassi in autostrada?

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
09/01/2023

Ieri, che era l’8 gennaio 2022, due opposti gruppi di tifosi della Roma e del Napoli si sono scontrati lungo l’autostrada A1 bloccando il traffico fino a che la polizia non è riuscita a riportare la pace.

La notizia ha – giustamente – fatto scalpore. Desta una certa impressione sapere che ci sono dei tifosi di una squadra che si fermano in un’area di servizio, rompono le barriere che la separano dall’autostrada, vi fanno irruzione mentre passano i pulmini dell’altra squadra e li accolgono con una sassaiola. Egualmente stupisce non poco immaginare i pulmini assaltati che si fermano facendo scendere i propri viaggiatori che si scatenano in una rissa direttamente sul sedime stradale che unisce l’Italia, che è il simbolo del dopoguerra e del tentativo di unire il nord al sud.

Non è solo cronaca anche perché il tifo organizzato non sembra solo criminalità da misure di polizia come i DASPO: assomiglia sempre di più alla criminalità organizzata con cui sembra avere non poche contiguità.

Ma quello che davvero fa pensare è il silenzio del Governo, quello stesso Governo che ha reagito a tutela della proprietà privata contro le invasioni musicali dei rave con un decreto legge sulla cui conversione ha posto la fiducia, adesso, tace.

Non si dedica a una norma sul genere art. 434 ter, c.p., che punisca oltre a chi invade arbitrariamente terreni che non gli appartengono per organizzarvi raduni musicali anche chi lo fa altrettanto arbitrariamente per scatenarsi contro la tifoseria avversaria.

No. Tace.

Ed è triste pensare che fra gli elettori di destra ci sono più tifosi che appassionati di musica techno.

Ma chi fa più paura: uno che tira i sassi sulle macchine che passano in autostrada o uno che si sfonda le orecchie in un capannone abbandonato?

P.s.

In foto, muro di casse che è una foto (ma soprattutto un libro) di Vanni Santoni.

Grillo e Conte il giorno prima dell’esame (Incollato alla colite)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
19/07/2022

La crisi di Governo impegna lo sguardo verso il Movimento 5 Stelle.

Uno sguardo di irrequieti aruspici, non di quieti osservatori della vita politica.

Non vi è molta logica nel loro comportamento, non ha molto senso a pochi mesi dalla fine del Legislatura, ma nell’immediato ridosso della sessione di bilancio, minacciare una crisi di Governo.

Non ha molto senso riunirsi per un percorso partecipato in cui scegliere una linea politica collettiva e restarci per oltre quattro giorni, quando il problema è dimostrare di essere patiscenti affidabili di un accordo di maggioranza.

Eppure il Movimento 5 Stelle è essenziale a questo accordo di maggioranza perché Draghi si rende perfettamente conto che una coalizione PD – Insieme per il Futuro – Calienda – Renzi, Lega e Forza Italia rischierebbe di essere sbilanciata sui capricci di Salvini e non intende cadere nella trappola del Conte I.

In questa situazione, l’osservatore che cerca di comprendere l’evoluzione della crisi è costretto a rivolgersi a segni quasi intangibili, memoria del raffreddore di Breznev.

L’elevato ha cambiato l’immagine del profilo di whatsapp: ha messo un vasetto di coccoina.

L’avvocato del popolo ha passato una notte all’ospedale, fra sabato e domenica, per una intossicazione alimentare.

A chi si rivolge Grillo con l’immagine della colla?

La versione politicamente corretta è ai parlamentari del Movimento, che sarebbero troppo attaccati alla poltrona, una versione molto comoda per giustificare la furia demolitrice di Conte, che ha poco a che vedere con il termovalorizzatore di Roma e parecchio con la scissione di Insieme per il Futuro.

Forse è più facile immaginare che l’incollato sia Conte e che sia lui a dover cominciare a pensare che la sua presenza non sia più indispensabile e neppure troppo gradita.

L’intossicazione alimentare del poveretto ricorda troppo il mal di pancia che prende durante gli esami quando si subisce la domanda che mai avremmo desiderato perché non lo abbia capito lui per primo.

E immaginare una pochette incollata alla propria colite non è una bellissima immagine.

L’incontinente e la rana (A proposito delle dimissioni di Palumbo)

0 Comments/ in jusbox, profstanco / by Gian Luca Conti
01/03/2021

Qualche giorno fa in una trasmissione tipicamente fiorentina di una radio tipicamente fiorentina, un professore dell’Università di Siena ha espresso delle opinioni particolarmente aggressive verso una parlamentare di Fratelli di Italia.

L’indignazione si è sparsa ovunque. Perfino le costituzionaliste hanno pubblicato un comunicato stampa per esprimere solidarietà all’On.le Meloni.

Oggi, l’emittente ha annunciato che il giornalista, Raffaele Palumbo, che aveva condotto la trasmissione ha rassegnato le proprie dimissioni.

Non è una buona notizia.

Il prof. Gozzini ha sicuramente sbagliato: si è espresso sulla persona formulando un giudizio umanamente pesante e non sulle idee della persona che meritano una severa critica.

Nessuno, però, ha avuto modo di osservare che se una persona studia per tutta la vita, finisce per amare chi ha studiato e se uno ama Bertold Brecht, il che può essere feticismo, ma in fondo lo è anche amare Dante, non lo può sentire citato a sproposito.

Non può non esprimere una severa indignazione nel confondere l’avvento al potere di Hitler e della sua corte dei miracoli con l’incarico e la fiducia parlamentare a Draghi.

Non è un’attenuante, perché resta il principio: una cosa è non essere d’accordo con delle idee politiche, un’altra cosa è l’offesa individuale, che lede la dignità personale.

Ma aiuta a comprendere e dispiace che nessuno abbia ricordato le infinite polemiche di Sgarbi, finite troppe volte dinanzi alla Corte costituzionale con la pretesa di sentir coprire dall’usbergo dell’art. 68, Cost. le più insolite offese ai più disparati personaggi.

Ciò che però disturba di più però sono le dimissioni di Palumbo.

Palumbo è stato vittima di una vera e propria campagna di odio perché ha consentito al suo ospite di esprimere le proprie opinioni e questo è molto più intollerabile della incontinenza di Gozzini.

La Meloni incarna un movimento politico che aggrega la disperazione radicalizzata.

Questo spaventa e questo deve essere denunciato, molto più di un non più giovane professore universitario di sinistra che preso dallo sdegno per una citazione obiettivamente ruffiana e soggettivamente infelice si è espresso in termini incontinenti.

Credo che la solidarietà per Palumbo sia un dovere, non solo di tutti gli ascoltatori di Controradio, ma di tutti coloro che hanno a cuore la libertà di manifestazione del pensiero.

La politica della loffa

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
04/02/2021

C’è un che di alvarovitalesco nell’apertura di Zingaretti al Movimento 5 Stelle e, contemporaneamente, a Draghi.

Di quel suono vitale e terribile che il Pierino di Alvaro Vitali rendeva comico e sornione.

Con certezza, il Movimento 5 Stelle non può vedere bene Draghi al Governo. Dopo avere abbracciato la Lega e il partito di Bibbiano, adesso non può arrivare all’amplesso anche con l’Eurotower. Assomiglierebbe troppo a un atto contronatura vissuto senza vedere il partner.

Troppo anche per le spalle di Casalino.

In questa situazione, il Movimento 5 Stelle è destinato a spaccarsi su un fronte meramente apparente: l’idea che il Governo Draghi possa essere un Governo politico. Draghi sa benissimo che se fosse un Governo politico, ovvero basato su di un accordo di coalizione, sarebbe schiavo dei partiti che hanno concluso tale accordo. Di conseguenza costruirà un Governo politico perché capace di guidare una linea unificante per tutti i partiti, i quali, in questo modo, possono rinviare le elezioni fino al termine della Legislatura, pensare alle prossime elezioni del Capo dello Stato, scaricare sulle spalle di un Governo altro da loro le tensioni allocative generate dal Recovery Plan, ma non politico perché collegato ai partiti politici.

Tutte cose che Zingaretti sa perfettamente, ma che non dice né sussurra a Di Maio.

Lo illude di un nuovo Governo politico fondato sul loro accordo di coalizione.

La verità,  la loffa verità, è che in questo modo porta il Movimento 5 Stelle alla rottura e spera di guadagnare più dai suoi spezzoni che dalla sua alleanza.

Una verità piuttosto imbarazzante e che può essere gestita solo con l’ipocrisia del silenzio. La stessa strategia di chi diffonde il più tremendo degli odori che un vivo possa generare senza neppure la cortesia di un preavviso sonoro.

La cosa 3

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16/08/2020

Una delle vocazioni più profonde del partito comunista italiano era il principio maggioritario: l’idea che la volontà della maggioranza correttamente espressa attraverso gli organi di partito e le procedure previste a questo scopo fosse indiscutibile.

Una impostazione ingenua, forse, ma nobilmente laica: nessuno può imporre la propria volontà agli altri e nello stesso tempo nessuno si può sottrarre alla volontà della maggioranza del partito al quale appartiene.

L’idea che questa tradizione abbia intrapreso un dialogo costruttivo diretto allo sviluppo di convergenze trascendenti con riferimento alle ideologie ma convergenti per quanto riguarda i valori – se si sono ben comprese le dichiarazioni di Zingaretti e Di Maio, criptiche come una risposta della sibilla cumana a un quesito sul compromesso storico – con il post movimento fa riflettere.

Riflettere, naturalmente, è un eufemismo.

Il post movimento fonda le proprie decisioni su una visione massimalista del principio maggioritario. I suoi organi indicono una consultazione: decidono quando si terrà e quale sarà il quesito su cui gli elettori dovranno esprimersi con un si o un no. A quel punto decide il voto di chi c’è c’è malgrado la formulazione del quesito influenzi non poco la risposta mentre la decisione sul tempo della consultazione influenza la partecipazione.

Si tratta di un plebiscito indistinto che rammenta il processo a Socrate piuttosto che l’assoluzione di Barabba.

E’ tutto qui il problema? Se questo fosse il problema, si potrebbe osservare che l’autonomia dei partiti politici organizzare diversamente la propria democrazia interna e che è nella logica della firma di governo parlamentare vedere soggetti ontologicamente diversi stringere alleanze che talvolta possono risultare particolarmente solide.

La questione riguarda il tipo di politiche che il non movimento può elaborare. Una logica referendaria di costruzione del consenso è nemica di politiche di lungo respiro che hanno bisogno di elite ben radicata nella loro legittimazione politica ed ideologica.

La Repubblica della ricostruzione post pandemica per ora non ha visto altro che slogan, provvedimenti normativi incomprensibili anche per gli addetti ai lavori e un diluvio di finanziamento a pioggia assolutamente insensibili al merito dei beneficiati.

È la naturale conseguenza di un sistema di costruzione del consenso che parte dal basso e l’alleanza fra un partito democratico mai corso orfano di ideologie e carisma e il non movimento degli scontenti incontentabili non è in grado di fare molto di più di quello che ha fatto sinora.

Tutto questo rammenta le discussioni fra D’Alema e Amato, Turco e Bertinotti intorno alla possibilità di costruire un soggetto dopo sinistra che potesse unificare la tradizione socialista che era stata appena spazzata via da una tempesta giudiziaria che andrebbe indagata con serenità di storici, i post comunisti in cerca di una identità come transgender a cui è stata sbagliata l’operazione e i vetero comunisti fermi al 1956 ma in realtà più nostalgici di un missino a Predappio.

L’unica cosa che so può imparare da quel periodo è che tradizioni diverse possono dialogare ma non confondersi. Il partito democratico però non può dialogare con un post movimento costretto a ricorrere gli scontenti incontentabili per non scomparire quando la rappresentanza del Parlamento sarà ridotta di un terzo di gioco elettorali assomiglieranno a una roulette per ipovedenti.

Il Semestre europeo, il barbiere e la domenica pandemica

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
05/04/2020

La domenica comincia con la barba del sabato

Ci si abitua a queste strade abitate dalle ambulanze e dalle passeggiate dei cani, a questo silenzio irreale spezzato da qualche nota di pianoforte in case senza serenità, ad ascoltare il quartetto alla fine dei tempi al posto delle nozze di Figaro.

E’ una sorta di lunga domenica e la domenica di chi lavorava la terra, quando lavorare la terra era duro lavoro di braccia che addomesticavano cose d’altri e non passatempo di orti pensili, iniziava con la barba del sabato.

Con la coda dal barbiere del paese, l’attesa del pennello e del borotalco, il piacere della lama come una carezza.

Ci si preparava alla domenica.

Non a questa lunga domenica, nessuno ha avuto il tempo per prepararsi a questa lunghissima domenica, nessuno sa neppure quando finirà una domenica in cui le messe sono proibite, soprattutto nessuno sapeva che il giorno dopo sarebbe stata domenica e così il giorno dopo, fino a un quando che è impossibile da prevedere perché il virus non rallenta, il silenzio è un silenzio di ambulanze che lo violentano come se fosse notte, come se fosse sempre domenica.

Eppure la domenica è sempre l’occasione per ripensare a se stessi, alla propria vita, al proprio affannarsi, e questo vale anche per questa strana domenica delle salme e per questa nostra repubblica prostrata dal silenzio delle strade e di chi la governa guardando al futuro con il cannocchiale della paura, facendo della precauzione un principio di governo dell’economia.

E’ il momento di ripensare alla nostra idea di sviluppo e di coesione nel quadro di una governance condivisa non solo dell’economia, fa paura un governo che pensa all’indebitamento come strumento di sviluppo senza individuare le missioni e i programmi che dovranno guidare il rilancio dell’economia, che pensa all’innovazione senza individuare che cosa ha bisogno di essere innovato, che non si accorge che la proposta tedesca di sospendere per un anno il cd. semestre europeo non è un favore ai paesi più colpiti. E’ il modo per evitare alle economie più forti della zona Euro di condividere i propri bilanci, di mostrare come in quei paesi la sovranità nazionale si muoverà egoisticamente per rilanciare la propria economia consentendo alle proprie imprese di aggredire come lanzichenecchi affamati i membri più impoveriti del mercato comune, quelli che saranno costretti a vendere i propri figli più piccoli per dare un futuro ai figli più grandi.

Aprile, nel semestre europeo, è il mese in cui tutti i paesi della zona Euro devono comunicare alla Commissione Europea i propri programma di stabilità e di riforma e mai come in questo aprile di morte e pandemia è stato necessario avere contezza reciproca di quanto ciascuno può fare per venire incontro alle esigenze del proprio paese, mai è stato necessario come in questo aprile dimostrare di essere capaci di pensare insieme al futuro e questo non è un problema di obbligazioni sovrane e di MES, è il punto di partenza per capire quali strumenti attivare e come attivarli.

Rinunciare a questo meccanismo, pensare che questa rinuncia sia un dono è miopia, perché di domenica si pensa al lunedì, si prepara la settimana, si organizza l’agenda e si mettono in ordine le scadenze prima che si troppo tardi per non essere travolti dalla urgenza di una telefonata che rimette in discussione tutto quello che si era pensato di fare.

Spaventa un Parlamento che resta “aperto” solo per gli affari urgenti e che in questi affari urgenti ricomprende unicamente le interrogazioni a risposta immediata, che sono poco più di un rito quando le domande sono allegate all’ordine del giorno di seduta, e la conversione dei decreti legge.

Spaventa una Giunta per il regolamento che si preoccupa di organizzare i lavori dell’Assemblea e delle Commissioni rispettando il distanziamento sociale, piuttosto che cercare il modo di affrontare e discutere in termini costruttivi e di solidarietà nazionale la Decisione di Economia e Finanza, che dovrebbe essere adottata entro il mese di aprile e che, forse, non sembra nemmeno all’ordine del giorno della Conferenza dei Capigruppo.

In questo momento, dobbiamo pensare al futuro della repubblica, ripensare il nostro modello di sviluppo, approfittare di questa domenica e dei fondi che potrebbero essere stanziati per il futuro perché la crisi dell’economia possa essere superata cambiando un modello di sviluppo che ci ha portati alla pandemia. Solo per fare un esempio: quando potranno essere aperti di nuovo ristoranti e alberghi? Quando potranno tornare i turisti? Non lo sappiamo, ma forse sappiamo che il turismo delle città d’arte saccheggiate da stranieri in fila per una schiacciata consuma un patrimonio inestimabile senza dare niente in cambio. E’ un padre che vende i propri figli per un fiasco di vino all’osteria del paese.

Sono queste le cose che dovremmo pensare in questa domenica delle palme senza messe e in questa settimana santa senza vie crucis.

Programmazione (La crisi di Ferragosto non convince i capigruppo)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
14/08/2019

La crisi di Ferragosto ha fatto un passo in avanti quando la Presidente del Senato ha deciso di convocare l’assemblea ai sensi dell’art. 55, quarto e terzo comma, r. S.

Sul calendario decide l’unanimità dei capigruppo o la maggioranza dell’assemblea: la regola della maggioranza può essere disapplicata solo con l’accordo di tutti e se c’è l’accordo di tutti non c’è nessuna questione politica.

Sulla base di queste regole, la Presidente del Senato ha proposto le modifiche al calendario necessarie per inserire nella programmazione dei lavori la discussione della fiducia al governo. La Capigruppo non ha raggiunto l’unanimità. La Presidente ha convocato l’assemblea. Un senatore per gruppo ha potuto presentare le proprie proposte di modifica al calendario proposto dalla Presidente. L’assemblea ha deciso a maggioranza.

Non è una maggioranza diversa da quella che il governo Conte deve mettere insieme il 20 agosto. E anche la maggioranza sul calendario è una maggioranza politica perché le scelte sull’agenda delle scelte possono essere più importanti delle scelte stesse. Ma è una politica che guarda al futuro con uno sguardo tattico e cinico. È difficile parlare di valori guardando l’orologio.

La parola che manca a questa crisi è “linee programmatiche”: Conte il 20 agosto presenterà al Senato le direttrici essenziali della sua azione di governo che riguardano la sopravvivenza aritmetica dell’esecutivo o uno scenario concreto di politica economica che proponga il rientro del debito pubblico?

Parlerà del fallimento del reddito di cittadinanza spiegando che se un cittadino apparentemente privo di reddito non chiede il sostegno del Stato, si ha che quel cittadino ha tremendamente paura dei controlli del fisco?

Racconterà che l’aumento dello spread sui titoli di Stato trasferisce ricchezza dalla fiscalità generale a coloro che si occupano di finanza?

Parlamentarizzare una crisi significa proporre ai rappresentanti della nazione le idee per il futuro della nazione e queste continuano a mancare.

Salvini e Padre Pio

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
07/05/2019

La non – notizia di oggi è che Salvini prega Padre Pio.

Il protettore degli studenti, dei maturandi, dei camionisti, degli spacciatori e di tutto ciò a cui Jacopo da Varagine non aveva pensato.

Salvini è un uomo intelligente e non privo di una certa disinvoltura opportunistica e la scelta di Padre Pio appare assolutamente indovinata.

Non perché Padre Pio rappresenti benissimo l’Italia della prima repubblica, quella che costruiva le autostrade e che andava a messa.

Ma perché, a Napoli, Padre Pio si mette negli angoli dove le persone altrimenti farebbero pipì e un santo pipifugo è quello di cui Salvini ha bisogno.

Quasi quanto della intelligenza elettorale di papà Verdini.

Il ricatto dei rider

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
27/04/2019

1971

Norma Rangeri sul Manifesto di questa mattina ha preso una posizione chiara a favore dei rider, i fattorini che portano piatti pronti dai ristoranti alle case dei loro clienti.

I rider hanno fatto notare ai clienti, ricchi e famosi ma anche piuttosto tirchi, che sanno dove abitano.

Il che suona come Voi non ci date la mancia e noi raccontiamo a tutti dove state di casa, così imparate

Per Norma Rangeri, non ci sarebbe niente di male in un fattorino che chiede la mancia e ciascuno dovrebbe sentire il dovere di remunerare spontaneamente il lavoro di chi sa non essere pagato in misura tale da poter vivere una esistenza libera e dignitosa secondo il contratto collettivo di riferimento.

Una posizione più che discutibile e molto vicina alla retribuzione compassionevole del cameriere nei paesi di lingua inglese.

La prima volta che sono stato in un albergo di lusso, il facchino mi prese la borsa malgrado le mie proteste, mi accompagnò alla camera, mi mostrò con cortesia tutto quello che dovevo sapere e, quando tirai fuori di tasca cinquemila lire, disse Questo è il mio lavoro chiudendo la porta sul mio imbarazzo.

La lotta per un contratto più giusto ed equo è ragionevole, legittima e, spesso, degna di ammirazione.

Il ricatto per la mancia è altro. E’ l’assalto dei miserabili al palazzo del re.

Dispiace leggere sul Manifesto la sua difesa ma un tempo in via Tomacelli c’era anche l’ufficio di Craxi e non solo la redazione del più puro fra i quotidiani della nazione.

La Madonna di Renzi

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
14/12/2018

Renzi, ieri, ha presentato il suo programma televisivo su Firenze parlando della Madonna.

Era al Teatro del Sale.

Uno dei luoghi privilegiati della gauche meno radical e più chic fiorentina.

Ha illuminato spiegando agli invitati del Picchi che gli Uffizi sono un luogo magico, in cui ciascuno sceglie il suo capolavoro.

Il capolavoro di Renzi è la Madonna con il Cardellino perché rappresenterebbe la sua carriera politica.

Che avrà voluto dire?

Identificarsi con un’immagine che si presta a facili battute è contrario al patrimonio genetico dei cittadini di un luogo in cui ci si comincia a prendere per il culo quando si esce dalla fica.

Ma chi scrive, quando – spesso – va agli Uffizi si ferma sempre davanti al Bacco di Caravaggio e non alla Madonna del Cardellino di Raffaello.

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