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La Medea del Midì

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
25/01/2025

Il mito di Medea è estremamente complesso da decifrare: una madre che uccide i propri figli per vendicarsi del marito non può essere una figura positiva e Medea non ha ucciso solo i suoi figlioli.

Lo si poteva comprendere nell’Atene della Guerra del Peloponneso facendo uso di categorie assiologiche che noi non possediamo.

Medea è una semidea che decide di farsi donna per amore di Giasone.

Per Giasone abbandona la sua patria, la tradisce, perde la verginità, partorisce, uccide e quando viene abbandonata fa quello che non si deve fare. Massacra quei figli che erano gli eredi di Giasone, che sarebbero restati con lui, lo priva della discendenza.

Medea non accetta di essere una “fattrice”, può essere madre, ma non la madre dei figli di colui che ha amato e che non la ama più.

Nello stesso tempo, Medea compie il suo destino. Se ne è appropriata quando ha deciso di aiutare Giasone a conquistare il Vello d’Oro. Lì ha deciso di non essere chi avrebbe dovuto e di essere chi lei voleva essere. La nemesi è il tradimento di Giasone. Gli dei puniscono chi si ribella al proprio destino. Medea non lo accetta e sceglie la propria punizione più profonda, sceglie di diventare definitivamente folle come una donna che uccide il frutto del proprio seno. Con questo gesto, Medea si ribella una seconda volta al proprio destino: ha lasciato i luoghi in cui poteva essere se stessa, adesso abbandona se stessa, abbraccia la follia dell’omicidio più terribile perché per un genitore non esiste un dolore più grande del dolore del proprio figlio e se una madre uccide i propri figli, uccide se stessa.

Non c’è niente di moderno o di arcaico in Medea: c’è solo una tragedia dannatamente umana, la tragedia di una donna che si ribella al proprio destino e per non accettare le conseguenze della propria ribellione compie il più terribile dei suicidi decidendo di sopravvivere ai propri figli che uccide uccidendo la propria umanità.

Medea è una donna divisa: potrebbe essere una principessa di un luogo felice e vivere nell’ombra di un drago, ma Afrodite la condanna a innamorarsi di Giasone e diventa regina perché sa essere strega. Quando viene ripudiata, resta solo strega, una strega capace di completare il ripudio di Giasone ripudiando anche la propria umanità.

C’è ancora da studiare e, probabilmente, è anche inutile farlo: non capiremo mai chi era Medea per Euripide, ci limiteremo ad ascoltare la potenza di questo mito che era una fiaba per uomini diversi da noi, che pensavano diversamente, si davano risposte diverse a problemi antichi.

Insomma la sensazione che si ha rileggendo Medea è che se tutti i miti sono un modo con cui generazioni e generazioni di uomini condividono delle strategie di risposta alle questioni più profonde che si agitano nelle loro anime costruendo un inconscio collettivo, questo mito parla a generazioni che sono cenere da più di duemila anni.

Chiedere a Medea di parlare oggi è come usare lo stradario di Firenze per orientarsi a Milano: via Cavour è anche lì ma non è la strada che si sta cercando.

Fa ridere, allora, scoprire sul diario liceale di Bimba Piccola che ha preso sei nel tema in cui la professoressa di greco le ha chiesto di leggere attraverso il mito di Medea la storia di madame Pelicot.

Madame Pelicot è una vittima di una situazione familiare degradata e di un certo modo di intendere il sesso in cui un marito ritiene di poter offrire la moglie a terzi reclutati su siti in cui altri mariti offrono le proprie mogli che, consensualmente, accettano di essere offerte.

Ha avuto il coraggio di denunciare questa forma di violenza.

Ha avuto la forza di rivolgersi a Creonte che ha fatto quello che fa ogni Creonte: ha condannato applicando la legge nell’interesse della società.

Medea non si è rivolta a Creonte: quando si è accorta di essere tradita ha ucciso se stessa uccidendo i propri figli. Ha preso in mano la sua vita e ha deciso che niente doveva sopravvivere nella più estrema delle ribellioni.

Penso più o meno questo mentre prendo atto del sei di Bimba Piccola che, non senza un certo spirito polemico, ha scritto che il tema non aveva senso perché madame Pelicot è una donna che crede nella civiltà delle buone maniere e del diritto, mentre Medea è stata una strega che tutto questo lo ha fatto a pezzi e cucinato nel suo calderone.

Ma soprattutto penso che Bimba Piccola avrebbe fatto meglio a scrivere che madame Pelicot e Medea sono due vittime del patriarcato, che così avrebbe fatto felice l’ignoranza della sua insegnante.

Però è la figlia del suo babbo.

 

Il delitto perfetto

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
28/08/2018

Di Maio ha definito come un delitto perfetto l’aggiudicazione della gara per lo stabilimento di Taranto dell’ex Ilva ad Arcelor Mittal.

Sarebbe un delitto perfetto perché non sarebbe stato tenuto nel dovuto conto l’interesse pubblico al risanamento ambientale ma questa omissione non consentirebbe l’annullamento in via di autotutela della gara.

Il delitto perfetto, il delitto della Rue Morgue sognato da Edgar Allan Poe, è il delitto in cui il colpevole non può essere punito, perché  il colpevole non è l’assassino.

Le parti in gioco, il colpevole e l’assassino, sono la politica e l’amministrazione: il livello politico, che è definizione dei valori che consentono di unire le persone in una comunità, e l’amministrazione, che è la trasformazione di questi valori in realtà, per mezzo di imparzialità e buon andamento, rispettando il principio di legalità dell’azione amministrativa.

Per Di Maio, si ha un delitto perfetto perché le regole dell’azione amministrativa impediscono alla politica di tornare sui suoi passi, malgrado vi sia una lesione dell’interesse al risanamento ambientale di Taranto.

Non è un delitto perfetto: è il principio di legalità e sarebbe davvero terribile uno Stato che consentisse al principio di legalità di cambiare di senso ad ogni avvicendamento politico.

Di Maio, però, non parla più di Ilva, sembra essersi arreso, sembra avere trovato nella retorica del delitto perfetto il motivo per giustificare il tradimento di una promessa elettorale piuttosto chiara.

Parla, invece, con lo stesso vigore, della concessione ad Autostrade e urla, insieme al suo ministro Toninelli, a gran voce che questa concessione deve essere revocata e che è il momento di tornare alle nazionalizzazioni.

Anche in questo caso, sembra di poter parlare di un delitto perfetto: perché la revoca della concessione a Autostrade per l’Italia non riguarda il livello della politica – il livello della costruzione dei valori e della comunità – ma il livello amministrativo: dipende dall’analisi della convenzione in essere e dalla comprensione pro veritate della gravità dell’inadempimento commesso dal gestore nel momento in cui il ponte Morandi è crollato.

Ma lo stesso vale anche per il proclama con cui Di Maio affida a Fincantieri l’opera di ricostruzione del ponte, senza considerare che, forse, è la convenzione in essere che regola chi affida i lavori che devono essere svolti e a quali condizioni e che comunque la scelta di un appaltatore non appartiene al livello politico.

Quando si parla di eccesso di potere, si parla anche di confusione fra politica e amministrazione, di un’amministrazione che si lascia condizionare dalla politica e di una politica che vuole scendere al livello dell’amministrazione.

E’ quello che Di Maio lamenta quando parla della gara sulla ex Ilva ed è esattamente quello che Di Maio fa quando parla di Autostrade: il suo ruolo dovrebbe essere di passare le carte all’Avvocatura dello Stato perché definisca le iniziative da intraprendere per tutelare l’interesse nazionale e, in questo, non c’è niente di politico.

C’è un contratto da interpretare.

Distinguere fra colpevoli e assassini è la base dell’eccesso di potere: Di Maio è il colpevole della revoca della concessione a Autostrade, se mai ci sarà, ma non è l’assassino, perché non può essere lui a disporla, deve essere il ministero delle infrastrutture, compiuti i necessari passi e rispettata la legalità procedimentale.

Anticipare a livello politico le scelte amministrative serve solo a precostituire un sintomo di eccesso di potere, ovvero a commettere un delitto perfetto: fingere di revocare, revocare con un provvedimento illegittimo in modo da consentire a Palazzo Spada di annullare la revoca, con buona pace di tutti: della politica che può affermare di avere fatto tutto quello che poteva, persino un provvedimento illegittimo, e delle Autostrade di Atlantia che possono riprendere i loro affari.

Avremmo voluto un mondo diverso, ma avremmo voluto anche un vice premier che non si fa ritrarre dal fotografo di corte dei Benetton (Oliviero Toscani) mentre attacca il loro impero economico, senza accorgersi dell’ironia di quel ritratto.

Fissata l’udienza sull’Italicum: 24 gennaio 2017

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
06/12/2016

Chi pensava che la Corte avrebbe atteso un tempo più sereno per decidere della legge elettorale di Renzi ha preso una formidabile cantonata

udienzaitalicum

La Corte costituzionale ha fissato l’udienza sull’italicum per il 24 gennaio 2017.

Un mese e venti giorni dopo il NO al referendum costituzionale.

Esattamente il contrario di quello che si era immaginato questa mattina, quando si diceva che il combinato disposto legge elettorale per il Senato – decisione della Corte costituzionale sull’Italicum sembrava diretto a rinviare lo scioglimento anticipato della legislatura.

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Alla fine della Cancellieri

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
22/11/2013

cancellieri2_er

Alla fine della Cancellieri, non sembra esserci un rimpasto.

Sarebbe stato il giusto prezzo da pagare per una difesa imbarazzante.

La seconda difesa imbarazzante del Governo Letta, che aveva già fatto ricorso alla ragion di Stato nell’affare Shalabayeva (su cui si è già avuto modo di scrivere sin troppo).

Per ora non se ne parla.

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Diverse innocenze: la sostanza di una presunzione

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
08/03/2013

In un processo molto fiorentino, quello che un tempo era considerato uno sceriffo e che poi è quasi scomparso dalla vita politica della città è stato finalmente assolto da una serie di reati che lo collegavano alle interferenze che il gruppo Ligresti avrebbe tentato di esercitare per massimizzare il valore urbanistico di un’area attorno alla quale si è scatenata una lotta fra i Ligresti, che avrebbero voluto realizzare gli edifici da destinare a sede di Regione e Provincia, i Della Valle che avrebbero voluto ottenere la disponibilità dell’area per il nuovo stadio di Firenze, considerato come città dello sport senza pagare il prezzo, Renzi che già allora (ma anche lunedì in consiglio comunale) riteneva 1.4Mln di metri cubi un pochino troppi qualunque fosse la destinazione.

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I am not a she_devil

7 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
04/10/2011

satanik2Amanda Knox è stata assolta dell'omicidio di Meredith Kerr e così l'assai meno carismatico Raffaele Sollecito.
Non hanno commesso il fatto.
O comunque non sono colpevoli.
Nel frattempo, quattro anni di prigione.
Quattro anni di universo alternativo nei primi trenta di vita.
E' esattamente a questo che si deve pensare quando ci si scandalizza del fatto che chi "ha" commesso un reato grave sia scarcerato prima del processo.

Irrituale (La testimonianza del Capo del Governo)

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
19/09/2011

work permits_Gend de Justice BWL’ultima del Capo del Governo è il netto rifiuto di prestare la propria testimonianza a Napoli, dinanzi ai giudici che indagano sulle attività di Tarantini.
Non avrebbe torto.
Per l’art. 205, secondo comma, c.p.p.: “Se deve essere assunta la testimonianza di uno dei presidenti delle camere o del Presidente del Consiglio dei Ministri o della Corte costituzionale, questi possono chiedere di essere esaminati nella sede in cui esercitano il loro ufficio, al fine di garantire la continuità e la regolarità della funzione cui sono preposti.”
La disposizione trova il proprio fondamento nell’art. 356 del codice di procedura penale del 1930, che stabiliva questo privilegio per i grandi ufficiali di Stato, i cardinali ed i principi reali.
La Corte costituzionale di Sandulli, Mortati e Branca con sentenza n. 76 del 1968 ebbe a riconoscere la ragionevolezza di questa disposizione, perché la stessa non costituisce un privilegio per determinate categorie di persone, ma ha come scopo quello di assicurare la continuità di una funzione: “la norma impugnata, quale che fosse all’origine l’intenzione del legislatore, si ispira attualmente non a un malinteso prestigio di persone che ricoprano certe cariche, ma, come le altre norme contenute nella stessa disposizione, a innegabili necessità e garanzie dell’ufficio di cui quei soggetti siano titolari: chi occupa certe posizioni al vertice dei poteri dello Stato svolge compiti nei quali, per la loro importanza e per la loro delicatezza, egli é spesso insostituibile; di modo che, se dovesse raggiungere luoghi lontani dalla sua sede od allontanarsi dal suo ufficio per testimoniare in giudizi eventualmente anche di scarso rilievo, ne soffrirebbe o ne potrebbe soffrire la continuità o la regolarità della funzione: altrettanto invece non é a dire né del comune testimonio, né del giudice istruttore, che, del resto, se la testimonianza deve essere raccolta fuori della sua sede, può essere sostituito da un magistrato del luogo”.
Quindi:
(i) la Procura di Napoli ha tutto il diritto di ascoltare come testimone il Capo del Governo;
(ii) il Capo del Governo può solo chiedere di essere ascoltato presso i propri uffici, anziché recarsi presso gli uffici del magistrato inquirente.
Se chiede di essere ascoltato presso i propri uffici si pone il problema dell’accompagnamento coattivo.
L’accompagnamento coattivo del Capo del Governo presso gli uffici del Capo del Governo presuppone che gli stessi siano messi a disposizione dal Capo del Governo e che siano richiesti dalla Procura di Napoli.
Il che sul piano materiale non pare per nulla semplice.
Ma il problema è un altro: perché il Primo Ministro non ha chiesto l’applicazione dell’art. 205, secondo comma, c.p.p.? Perché ha invocato una modalità di ascolto non consentita dal codice di procedura?
Forse per consentire alla Corte costituzionale che dovrà decidere sul conflitto fra Governo e Procura intorno alla testimonianza del Presidente del Consiglio di pronunciarsi in rito, con una sentenza del genere: Il Capo del Governo deve rendere la sua testimonianza, ma la deve rendere nei termini di cui all’art. 205, secondo comma, c.p.p., rimandando nella sostanza il tutto ad un momento più quieto.

Chi li ha sciolti (Acc, ho scordato il coltello)?

8 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
12/09/2011

2011_03_10_19_13_220Disgrazia piuttosto imbarazzante.
Un tipo lega insieme due donne consenzienti in modo che il respiro dell'una dipenda dalla capacità dell'altra di restare in piedi.
Una delle due non riesce a restare in piedi e cade.
Strangola la prima e si fa molto male.
Il tipo viene portato in prigione: omicidio volontario.
Avrebbe volontariamente causato la morte della prima e le lesioni della seconda.
L'accusa viene poi derubricata a omicidio preterintenzionale.
Il tipo avrebbe considerato la morte come una possibile conseguenza delle lesioni che ha volontariamente inflitto.
Probabilmente la sostanza giuridica della questione è diversa: omicidio colposo.
Le due disgraziate hanno affidato la propria vita al tipo confidando nelle sue capacità di esperto in nodi e giochi erotici.
Il tipo ha mancato al proprio compito perché non ha tenuto conto delle precauzioni necessarie nel caso di specie.
Insomma, nulla di diverso da una morte sul lavoro: dove l'imprenditore tradisce la fiducia del proprio dipendente perché non pone in essere le cautele opportune ad evitare il prevedibile incidente.
Tutto questo in termini giuridici.
Sul piano umano, resta – dolorosa – la domanda del genitore: quale solitudine può avere spinto mia figlia a cercare la propria fine in questo modo?
Certe morti uccidono più di altre.

Sindrome Deltchev (La prescrizione di Cofferati)

6 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
30/08/2011

urlLa costante richiesta al compagno Cofferati di rinunciare alla prescrizione pone una questione di sistema.
Primo: ho sbagliato persona, non è il compagno Cofferati, ma il compagno Penati che dovrebbe rinunciare alla prescrizione.
Secondo: confondere Penati con Cofferati, che merita le più ampie scuse per l'equivoco, non è solo una questione di assonanza ritmica fra i due cognomi.
E' un equivoco morale.
Bersani, Violante, Casson pongono la superiorità morale del partito democratico come l'aspetto principale della questione.
Forse non è questo l'aspetto principale.
La superiorità morale dei comunisti era un artificio retorico erogato a piene mani da Togliatti per giustificare una politica quanto mai complessa e moralmente discutibile: il costante compromesso con le forze politiche più reazionarie pur di arrivare al potere e di evitare la conventio ad excludendum.
In realtà, predicare una superiorità morale significa essere in grado di svolgere un discorso morale e comparativo, ovvero un discorso il cui autore ritiene di essere superiore agli altri.
E' una posizione moralmente inaccettabile: nessun essere umano ha il diritto di ritenersi superiore ad un altro essere umano.
Soprattutto, però, è un modo per evitare un nodo politico.
Il problema vero è la scelta di un partito popolare di essere il punto di riferimento di esigenze prettamente capitaliste, di essere il catalizzatore di istanze portate avanti dal mercato, di muoversi sul terreno delle banche (D'Alema), dei gruppi assicurativi (Consorte e Fassino), dei grandi interessi immobiliari (Penati).
Questo partito legge il financial times molto più dell'Unità del compagno Gramsci.
Predica la propria superiorità morale per giustificare i propri compromessi, esattamente come faceva Togliatti per votare a favore della costituzionalizzazione dei patti lateranensi.
Per questo Penati fa venire in mente Cofferati.
Ma tutti e due fanno pensare che questo partito non dovrebbe discutere di morale, dovrebbe lasciare la morale ai preti, che hanno un vangelo per giustificarla, e preoccuparsi di essere il punto di riferimento dei lavoratori nella loro lotta contro il capitale.
Penati può rinunciare o meno alla prescrizione.
E' un suo problema.
Il problema del partito democratico è un altro: smettere di essere un luogo di affari e riprendere lo spazio che un tempo occupava il massimalismo socialista nella storia della nostra stanca repubblica.

Il processo del mare

5 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
03/05/2011

carl-schmitt-the-enemy-bigger-cropLa lotta contro il nazifascismo, intesi come forme di terrorismo e come crimini contro l'umanità, è terminata con un processo fortemente ambiguo.
Uno dei criminali processati e condannati è stato Carl Schmitt, che sulla sostanza politica di questo processo, sulla sua intima contraddizione rispetto ai principi dello Stato liberale e della democrazia, ha fondato molta della sua riflessione successiva, fino a definire i valori con l'espressione Punto di aggressione e a teorizzare la tirannia degli stessi.
Eppure è stato un processo.
Le democrazie vincitrici hanno voluto celebrare la sostanza della loro vittoria nella forma dell'attuazione del diritto.
Questo processo, non meno della costituzione delle Nazioni Unite, ha segnato simbolicamente la volontà di entrare in una nuova era.
Nell'età in cui i Costituenti hanno potuto sintetizzare l'essenza del nuovo clima internazionale con la formula di cui all'art. 11, Cost.: L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
E' questo il punto di aggressione da cui osservare la morte di Osama Bin Laden.
Un cittadino straniero che altri cittadini stranieri hanno sorpreso nel sonno di una cittadina straniera, aggredito, ucciso, portato a bordo della loro base galleggiante e gettato in mare dopo un funerale militare.
Siamo lontani dal processo di Norimberga.
Molto.
Non c'è stato nessun processo ad Osama Bin Laden.
C'è stata la sua morte, festeggiata ed ostentata.
Ma il punto è quale è la sostanza di un ordine internazionale in cui uno Stato può "legittimamente" colpire ed uccidere coloro che ritiene essere i suoi nemici ovunque si trovino?
Uno Stato, al di fuori di una guerra, può esercitare la sua forza senza ricorrere alle forme della giurisdizione?
La morte di Bin Laden segna non solo la fine dell'età avviata dal Processo di Norimberga, ma anche e soprattutto dei sogni che si erano sviluppati a partire dalla Società delle Nazioni e che l'Organizzazione delle Nazioni Unite sembrava aver reso concreti.

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