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Cronache dal Feccia Nera (Saggezza di ghostbuster)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
26/10/2022


Trenitalia ci ha abituati a questo signori che abitano i treni dei pendolari rendendoli più vivibili.

Ci ha insegnato l’importanza del loro lavoro e la dignità con cui viene svolto.  Non ci ha però abituati ai loro insegnamenti e alla loro saggezza.

Ragazza, un po’ sguaiata, stretta nelle sue aderenze più adatte a un palombaro che a un sub:

-> Mi vorrei trasferire da Scienze della comunicazione a Lingue e letterature straniere… Mi sono appena iscritta e penso che non faccia per me… Ho bisogno di dare un perché al mio bisogno di esperienze…

Il Ghostbuster, come se fosse nel più gelido dei manieri scozzesi:

-> Deh, una intellettuale…

La saggezza si apprende più dai cessi che dalla pigrizia. Mi sovviene da pensare. Ma sono un vecchio.

Antropogie mutilate (L’inizio della storia)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
29/08/2022

L’Amazzonia è il cuore del mondo. Un’enorme Silva Magica. Più Magica di un sogno nella scuola del cavaliere azzurro. Forse è questa la sua importanza, essere il testamento della memoria ancestrale di una intera razza, contenere le radici spiritualmente ancestrali di ogni uomo, la memoria di ciò che siamo stati prima di immaginare con le parole e disegnare cerchi per spostare il mondo.
È uno spazio infinito perché ogni popolo che lo occupa si costruisce come un universo e come un universo non pensa che possano esistere altri universi. Il proprio degli universi è l’unicità, un dogma etico.
E, in fondo, conta poco la sua importanza per la sopravvivenza dell’oceano o la sua incredibile e magica potenza.
La verità è che questo luogo sa essere giovane e antico nello stesso tempo, sa muovere ricordi che nessuno possiede se non come tatuaggi dello spirito, ricordi infiniti che si muovono come fiumi di nubi.
Ciascuna nazione ha bisogno di distinguersi dalle altre. Lo fa con tatuaggi, colori e, le più antiche, con mutilazioni permanenti del corpo che modificano definitivamente ed irreparabilmente.
L’appartenenza è una mutilazione con almeno due significati, uno più profondo dell’altro.
Prima di tutto, il bisogno di distinguersi dagli animali. Nessun animale è capace di modificare per sempre il proprio corpo e l’uomo, questo uomo giovane che è ancora capace di dormire su un albero, ha bisogno di sentirsi diverso, di creare una narrazione, di cominciare a ricreare sentimenti e trasformarli in storia attraverso l’arte. Anche quando l’arte è mutilazione.
Il secondo è che questo piccoli uomini sanno di esistere all’interno della loro nazione, di avere un significato che li rende diversi da ogni altro uomo che percorre questo inferno e di avere bisogno di appartenere alla loro famiglia fino a modificare per sempre il proprio corpo e questo è l’inizio dell’amore, un amore che è solo appartenenza e che esiste come storia condivisa: è il mio popolo che mi permette di leggere la realtà e di attraversarla consapevolmente.

La suocera Abelarda

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
17/05/2022

Tutte le suocere assomigliano ad Abelarda.

La loro bruttezza spaventa perché è la stessa bruttezza che un marito rischia di trovarsi a letto andando avanti negli anni.

In effetti, prima di sposarsi, uno più che guardare la moglie dovrebbe guardare la suocera e domandarsi se è disposto a vedere quella giovane fanciulla in fiore appassire e diventare sempre più dannatamente simile a sua madre.

Ed è una cosa che non si può dire, ovviamente.

Il mio più antico amico ha una suocera che assomiglia eccezionalmente ad Abelarda, ne costituisce in un certo senso l’archetipo.

Me l’ha mostrata in fotografia e non sono riuscito a trattenere il ridere: amaro come Villaggio, volgare come Fantozzi, triste come Carlo Delle Piane.

Un ridere che è continuato nei giorni successivi sino a che non ha perso la pazienza ed è sbottato difendendo la suocera dal mio body shaming. Difendendola e aggredendomi per il mio bullismo.

Mi è dispiaciuto, ovviamente.

Mi è dispiaciuto perché non poche volte ho cercato di essergli utile, ho impiegato il mio tempo per risolvere le sue beghe quotidiane, per tentare di esserci quando poteva avere bisogno di me.

Mi è dispiaciuto perché ho capito che tutto questo non mi aveva guadagnato il diritto di prendere in giro la sua suocera Abelarda, che, peraltro, è Abelarda non più della mia.

L’amicizia è conoscere anche i difetti dei nostri amici, conoscerli ed accettarli, sapere che l’amicizia che riceviamo ha come prezzo il carattere dell’amico che ce la dona, ci obbliga ad accoglierlo per la persona che è e non per la persona che vorremmo che fosse.

Ho trovato ingiusto pretendere il collaborativo affetto di un amico, da una parte, e aggredirlo perché non si è disposti ad accettare una sua risata o una sua presa in giro, dall’altra.

Mi è sembrato di non meritarlo e, lo confesso, sono stanco di chiedere scusa per come sono e di dire a me stesso che merito di essere aggredito perché dovrei essere diverso.

Soprattutto sono stanco di chi non capisce che la stessa persona che prende in giro la suocera Abelarda è quella da cui si va quando si ha bisogno di scrivere una lettera, preparare una testimonianza, acquistare una casa, dar soddisfazione a una ex non troppo simpatica e maneggevole per i suoi problemi legali, peraltro straordinariamente complessi.

Sono la stessa persona e rivendico il diritto di chiamare Abelarda tutte le suocere del mondo e lo faccio perché so di essere Abelardo per chi un giorno nemmeno troppo lontano ormai sposerà le mie figliole.

Ma soprattutto so quello che ho dato e non merito in nessun caso di essere aggredito.

Da grande voglio fare il Rettore

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
25/03/2022

Fra le tanti mutazioni che interessano l’essere umano, una delle più interessanti è osservare la trasformazione in professore dell’assistente volontario.

Esseri mitissimi che sono solito scomparire nei corridoi se non per ossequiare reverenti anche il figlio del bidello improvvisamente diventano temutissimi Ustasha.

Ancora più interessante è la mutazione del professore in rettore.

Colui che fu un essere umano e che si è mutato in Ustasha, per tutto il tempo in cui è candidato, si trasforma in una sorta di Abbé Pierre.

Ricerca tutti i colleghi, manda mail ai bidelli, si presenta come il collettore di una democrazia che nasce dall’ascolto e scrive pagine e pagine di messaggi che ripetono tutte la stessa cosa: I tempi sono difficili ma sono anche opportuni per un forte cambiamento nella continuità.

La certezza è che se dovesse diventare rettore subirebbe una ulteriore mutazione: nei fumetti, il generale degli Ustasha è un vampiro o un maestro della notte.

Ma queste sono cose che dice uno che non sarà mai candidato a rettore.

Quello che invece viene da rammentare è che uno dei candidati a rettore, in questa campagna elettorale segnata da una primavera particolarmente piacevole, uno scrittore molto prolifico di messaggi elettorali, tanti e di straordinaria lunghezza, è stato a lungo preside.

In quel periodo, una delle sue attività predilette era appostarsi dinanzi all’ingresso del Dipartimento, in prossimità dei lungarni, e inserire nelle biciclette degli studenti e dei docenti dei biglietti che invitavano all’uso delle rastrelliere, minacciando pene corporee e la scomunica.

Mi viene da chiedermi e se questo dovesse arrivare al successo nella sua candidatura?

Inizio a temere che vorrebbe fare la stessa cosa con chi fa la pipì senza la precisione dei vent’anni.

L’incontinente e la rana (A proposito delle dimissioni di Palumbo)

0 Comments/ in jusbox, profstanco / by Gian Luca Conti
01/03/2021

Qualche giorno fa in una trasmissione tipicamente fiorentina di una radio tipicamente fiorentina, un professore dell’Università di Siena ha espresso delle opinioni particolarmente aggressive verso una parlamentare di Fratelli di Italia.

L’indignazione si è sparsa ovunque. Perfino le costituzionaliste hanno pubblicato un comunicato stampa per esprimere solidarietà all’On.le Meloni.

Oggi, l’emittente ha annunciato che il giornalista, Raffaele Palumbo, che aveva condotto la trasmissione ha rassegnato le proprie dimissioni.

Non è una buona notizia.

Il prof. Gozzini ha sicuramente sbagliato: si è espresso sulla persona formulando un giudizio umanamente pesante e non sulle idee della persona che meritano una severa critica.

Nessuno, però, ha avuto modo di osservare che se una persona studia per tutta la vita, finisce per amare chi ha studiato e se uno ama Bertold Brecht, il che può essere feticismo, ma in fondo lo è anche amare Dante, non lo può sentire citato a sproposito.

Non può non esprimere una severa indignazione nel confondere l’avvento al potere di Hitler e della sua corte dei miracoli con l’incarico e la fiducia parlamentare a Draghi.

Non è un’attenuante, perché resta il principio: una cosa è non essere d’accordo con delle idee politiche, un’altra cosa è l’offesa individuale, che lede la dignità personale.

Ma aiuta a comprendere e dispiace che nessuno abbia ricordato le infinite polemiche di Sgarbi, finite troppe volte dinanzi alla Corte costituzionale con la pretesa di sentir coprire dall’usbergo dell’art. 68, Cost. le più insolite offese ai più disparati personaggi.

Ciò che però disturba di più però sono le dimissioni di Palumbo.

Palumbo è stato vittima di una vera e propria campagna di odio perché ha consentito al suo ospite di esprimere le proprie opinioni e questo è molto più intollerabile della incontinenza di Gozzini.

La Meloni incarna un movimento politico che aggrega la disperazione radicalizzata.

Questo spaventa e questo deve essere denunciato, molto più di un non più giovane professore universitario di sinistra che preso dallo sdegno per una citazione obiettivamente ruffiana e soggettivamente infelice si è espresso in termini incontinenti.

Credo che la solidarietà per Palumbo sia un dovere, non solo di tutti gli ascoltatori di Controradio, ma di tutti coloro che hanno a cuore la libertà di manifestazione del pensiero.

La morte di Caravaggio

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
22/11/2020

Caravaggio è morto nella febbre di una spiaggia, vicino a Porto Ercole.

E’ morto guardando il Sole, cercando di annullare il suo sguardo nella luce, di trasformarlo in calore, nel freddo sudato della febbre.

Solo di tutte le notti che aveva dipinto, cercando una luce che non mostrasse le unghie sporche di Bacco, un ragazzo di taverna che gli aveva trafitto il cuore mentre lui gli trafiggeva il culo.

La bellezza di Caravaggio aveva le unghie sporche anche quel giorno come ogni altro giorno che aveva vissuto e la febbre non era una malattia, era il suo modo di vedere, si faceva trafiggere dalla luce fino a trovare l’ombra della bellezza.

Bacco era su quella spiaggia a Porto Ercole e osservava la febbre di Caravaggio.

Da lontano, indeciso se salvare quello sguardo, accarezzarlo ancora una volta, accettarlo dentro di sé o se scappare lontano perché ci sono sguardi che attaccano la febbre, ci sono dei mal di vivere talmente belli che non si riesce a non star loro vicino fino a che non si comprende che il prezzo di quella vicinanza è lo stesso mal di vivere.

Caravaggio lo osservava, con i soliti occhi che trovano la notte della bellezza, sperava in un abbraccio che lo salvasse dal freddo della rena gelida di rugiada, che lo portasse vicino al Sole. Ma era troppo bella quella solitudine. Era troppo bello il quadro che la sua morte stava dipingendo.

I ritorni straziano il cuore e l’unica cosa che Caravaggio, Rimbaud e Casanova possono fare quando tornano è morire prima che le loro vite smettano di bruciare, consumarsi prima di essere fiamme che si spengono di consunzione invece di lasciarsi soffocare dal vento.

La quarantena di Bukovsky

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
21/04/2020

Negli ultimi quaranta giorni:

– ho mangiato regolarmente, bevendo molta acqua e curando l’equilibrio fra le diverse sostanze nutritive. Di solito, salto il pranzo e mi abbuffo a cena all’ora che capita, senza fare troppo caso a quello che c’è in tavola;

– non sono mai stato al ristorante. Normalmente, mangio più spesso in trattoria che a casa;

– non ho bevuto neppure un Martini cocktail. Non capita spesso che lo salti fra le sette e le otto del pomeriggio;

– ho dormito almeno otto ore, andando a letto prima di mezzanotte e alzandomi fra le sette e le otto. Nella vita normale, non vado a letto prima delle una e non mi alzo dopo le sei;

– ho ridotto drasticamente il caffè, che, insieme all’alcol e ai cracker, è la mia fonte principale di calorie.

Mi sento meglio?

Per nulla: l’insonnia, le trattorie e i Martini fanno parte della mia vita molto più di questa dieta quaresimale da piccolo Ignazio di Loyola e mi sento come un Bukovsky vegano, sul procinto di un matrimonio religioso con l’istruttrice di yoga.

Praticamente pronto per il funerale.

La città in cui viviamo (3156)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
26/10/2019

Il treno soppresso

La città in cui viviamo è anche una ragazza di ventuno anni che si suicida sotto un treno.

Il traffico che si blocca a causa degli accertamenti della polizia giudiziaria. E neppure un trafiletto sul giornale del giorno dopo, che era il 15 ottobre 2019.

Nemmeno una riga che ricordi quell’istante di dolore estremo che solo alla fine dell’adolescenza si può provare.

Perché era il giorno della cittadinanza onoraria a Richard Gere. Del sindaco che gli regala una maglia della fiorentina. Di un libro grande e bianco firmato con la calligrafia nitida di un giorno felice.

E il ricordo di quell’angoscia è solo nelle parole del capotreno ai pendolari del 3156 soppresso.

Richard Gere avrebbe detto commuters.

Il pianto della baldracca (Otto Dix)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
14/10/2019

Otto Dix sapeva disegnare.

Con coraggio.

Anche le baldracche. Le dipingeva come nature morte. Per raccontare di altro.

Hanno visi che raccontano le baldracche di Otto Dix, perché ci sono molti modi di guardare per una donna.

Lo sguardo che allontana è tipico della donna felice. Passa, semplicemente, attraverso.

Lo sguardo che accetta la conversazione degli occhi che la osservano. Esprime solo curiosità e non aggiunge nulla.

Lo sguardo malizioso che si allontana tornando. Lo si percepisce a distanza, timido ma rapace.

Ma gli sguardi delle baldracche di Otto Dix sono diversi. Sono gli sguardi offesi dalla conquista inutile. Che sanno di essere state di un uomo incapace di proteggere. Sfacciati.
Sbellacciati di rossetto disfatto. Con l’arroganza del trucco pesante alla fine di una notte oltraggiosa.

Questi sguardi sanno di andare verso la morte inghiottendo schiaffi e sperma. Non hanno nessuna confidenza con le mani che – vedendo quello sguardo – perdono ogni rispetto e ogni ritegno. Appartengono a uomini che pretendono con la stessa compassione di un’onda che scopa uno scoglio.

Non era degenerata l’arte di Otto Dix. Era degenerato il mondo che lui vedeva e che non è cambiato per nulla.

Perché il segreto di quegli sguardi non è la lascivia del vuoto. E’ l’eredità del vizio.

Signorina è una espressione temeraria

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
23/07/2019

Alle sette, non manca già nessuno.
Il popolo della sala d’aspetto si è accomodato al suo posto.
All’apertura del cancello è sciamato come all’ingresso di scuola. La stessa inutile fretta. Incomprensibile perché le maestre assegnano il banco al cominciare dell’anno e così è qui dentro: il banco delle urgenze, il banco dei diabetici, il bando dei prelievi comuni e quello dei cronici.
Non c’è nessun bisogno di avere fretta, ma fa parte della stessa idea di assembramento il bisogno di passare avanti, di arrivare prima e qui il prima è mostra della propria sofferenza, della propria vecchiaia affamata di dolore. Quel dolore che fa sentire vivi perché la vita è speranza e il dolore apre il cuore alla speranza del sollievo. Chi soffre spera senza sosta di stare meglio, di riuscire a respirare senza affanno, chi ha sofferto non sta mai bene perché in quell’istante teme di tornare a stare male, sa che tornerà a stare male. Gode di questo spazio in cui può riuscire a passare avanti (sto un po’ peggio di voi) e magari a lasciare indietro chi sta peggio di lui/lei perché la sofferenza degli altri fa sempre compagnia e dà un grande sollievo, come una coperta carica di pulci per un mendicante che singhiozza di freddo.
L’ecosistema è tutto qui.
Manca solo la “signorina” dietro il banco.
Non ho idea di chi abbia avuto l’idea di definire “signorina” la cortesia più o meno sgraziata che siede davanti al computer dell’accettazione. E’ una definizione crudele.
Lo sottolinea il tipo che viene brontolato perché non si era accorto di essere chiamato, non aveva colmato lo spazio fra il suo banco e la cattedra nel tempo che gli era stato assegnato.
Accetta il rimprovero a testa bassa, ma poi alza gli occhi: “Signorina …, certo che signorina, nel suo caso, è davvero una espressione temeraria”
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