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Tag Archive for: scaccabarozzi

Il giovane Scaccabarozzi

1 Comment/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
03/10/2007

Il giovane Scaccabarozzi si è laureato prestissimo.
Con una media himalayana.
Ha vinto un premio prestigioso con una tesi dal titolo assurdo.
E’ diventato l’assistente prediletto del suo maestro.
Il giovane Scaccabarozzi, senza voler offendere la sua attenta suscettibilità di audace luminare del diritto, è sempre stato un perfetto leccapalle.
In quegli anni, lavorava in un sottoscala.
Accanto alla stanza del Professore, che naturalmente non era un sottoscala.
Con lo Scaccabarozzi lavorava un giovane avvocato.
Uno di quei tipi che scherzano sempre.
Alto quanto lo Scaccabarozzi è minuto, atletico quanto il fisico dello Scaccabarozzi è pallido e panciuto.
Un bell’uomo nella misura in cui lo Scaccabarozzi ha il fascino erotico di un repertorio di giurisprudenza del Foro Italiano.
Il Professore aveva una singolare abitudine.
Verso le otto andava sempre via da studio.
A cena, al cinema, ovunque.
Il Professore era un viveur.
Tornava verso le due a riprendere la macchina per tornare a casa.
Lo Scaccabarozzi appena il Professore usciva, chiudeva baracca e burattini e si catapultava dalla mamma, che gli preparava le fettuccine aglio e olio o il fegato con la salvia.
Tornava in studio verso mezzanotte, in modo da farsi trovare alla scrivania.
Chino sulle carte.
Pallido, illuminato da pochi watt, gli occhi consumati dalla febbre di piacere.
Il Professore lo trovava sempre lì.
Gli accarezzava il viso, con quella sua aria paterna – il Professore era bravissimo a sembrare un padre, quando era una merda – e lo invitava a tornare a casa, sapendo che lo Scaccabarozzi sarebbe restato.
Imperterrito uomo di marmo.
Un giorno, il suo collega, il giovane avvocato brillante che si è detto, si ruppe i coglioni della pantomima.
Caricò in macchina un orrendo troione dai viali.
Uno di quei mostri di rossetto e cerone che non si vedono quasi più.
Uno di quegli oggetti che portano addosso l’odore di mille sudori diversi.
Appena il Professore lasciò solo lo Scaccabarozzi, il collega spalancò la porta del sottoscala, infilò il troione nella stanza e chiuse la porta a chiave.
Fu così che lo Scaccabarozzi fu liberato dalle segretarie al mattino.
Chino sulle sue carte.
Il troione sdraiato per terra che russava il suo sonno osceno.
E fu così che la dedizione del povero Scaccabarozzi venne premiata con la notifica – a mezzo di pubblici proclami – di un decreto ingiuntivo per prestazioni corrisposte ma non godute.
Quel decreto ingiuntivo è stato affisso per anni all’albo degli avvocati.
Lo Scaccabarozzi non voleva ritirare la notifica.
In ogni caso, non passò molto tempo che la perfidia dello Scaccabarozzi, fra i cui pregi non vi è la disponibilità al perdono, fece in modo di allontanare il giovane avvocato dallo studio del Professore.

Il prof. Aurelio Scaccabarozzi

6 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
25/09/2007

Per lunghi anni, sono stato l’assistente del prof. Aurelio Scaccabarozzi.
Uomo apparentemente mite e, soprattutto, gaffeur inimitabile.
Ricordo un esame.
Gli esami si svolgevano secondo una liturgia consolidata.
Gli assistenti, fra cui io, facevano le prime due domande.
Il prof. Scaccabarozzi, l’ultima.
La prima parte dell’esame terminava con un biglietto che lo raccontava al professore.
L’esame che racconto aveva per protagonista una perfetta capra.
Non aveva studiato nulla.
Non capiva niente.
Soprattutto era una capra a cui mancava una esatta metà del volto.
Imbarazzante carenza.
Ricordo il mio sforzo di non mostrare nessuna emozione.
Sul biglietto scrissi le domande, commentai con un "non sa nulla, deve tornare" aggiunsi di prestare attenzione all’aspetto fisico.
Lo Scaccabarozzi, ammucchiato di carte e libretti, si vide arrivare libretto e studentessa contemporaneamente. Non alzò la testa, lesse il biglietto.
Poi, però, il suo sguardo si sollevò sulla poveretta.
Fece un salto sulla sedia e disse: "oh lei, che ha fatto?"
La studentessa, "nulla, ci sono nata".
Lo Scaccabarozzi, "allora va bene così".
La studentessa, "no, non va bene per nulla".
L’esame terminò con ventisette e un "avevo paura di rivederla" che il professore mi sussurrò, quasi scusandosi, mentre offriva il rituale caffé degli assistenti a metà mattina.
Fu allora che decisi che quando sarei diventato professore avrei fatto tutti gli esami personalmente.
E così faccio ancora oggi.

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