Occhi vuoti d’anima
Occhi che aspettano di essere riempiti
Che esistono in funzione di chi li fissa
Che una volta sono occhi amati
Un’altra occhi desiderati
Ovvero curiosi, divertiti, umiliati, piangenti
Ma sempre e soprattutto vuoti d’anima.
Il silenzio sfinisce
Addolora le mani il silenzio della Musa e dei suoi fardelli
Addolora il pianto e trascina i piedi mentre il vento è una furia che scuote la mente
Il dannato osserva la sua Musa mentre tace
Ne assapora il silenzio, si lascia condannare dal suo nascondersi, lo vive come un harmattan
Oramai conosce il colore dei deserti e trova la sua strada nella sabbia
Strada di sete e naufragi
Il silenzio è sfinita sabbia mentre il dannato sa che la sua sete si può dissetare dal suo grembo
Quel grembo che è stato madre e amante e nel quale la sua anima si unisce al corpo dissecandosi
Questo silenzio che è vergine come le latrine di un postribolo.
Il Consiglio del dipartimento di giurisprudenza, per la seconda volta in meno di quattro mesi, non è riuscito a raggiungere nella sua composizione ristrettissima, ovvero limitata ai soli professori ordinari, la maggioranza assoluta che era necessaria per assegnare un posto da professore ordinario. Read more →
E’ passato un esatto mese dalla morte di mio padre.
Un mese in cui il suo pensiero non mi ha lasciato spesso.
Anzi.
Forse sono stato più tempo con lui in questi giorni che in tutta la mia vita.
Ho pensato molto a quella mano che mi stringeva e che, all’improvviso, ha smesso di stringere.
Al perché di quell’abbandono.
Perché vivere è egoismo.
E’ imporre la nostra vita a chi ci ama.
Pretendere di essere amati.
Morire, allora, è l’istante in cui si decide di non essere più egoisti.
Che non si può più imporre la nostra vita.
Si accetta di morire perché ci si rende conto che siamo solo una mano che stringe.
Penso questo mentre lascio che il Sole, quel Sole che a dicembre continuava a morire, tocca di nuovo il mio tavolo.
Penso questo mentre penso che anche io troppe volte ho imposto la mia vita.
Perché ci vuole coraggio a smettere di stringere una mano.
Fame di diabetico, il bisogno d’amore, sete di alcolizzato
Gangrena
Non amata imputridisce carne
L’animo si abitua al delirio
Fame_sete, allegre compagne di chi discende nel proprio inferno
Divorano la mente
Popolano la carne
Prevalgono come neve che assidera abbracciando senza la crudele pietà dei sogni
Ribellione è seppellire il proprio cuore.
Come sulla pescaia: il rifiuto della piena
Si aggancia alla speranza di non essere ancora e di nuovo travolto dalla corrente
La sua intera vita è quella speranza
La sua definitiva morte il precipitare di quei pochi metri
Eppure non è così
Non è così per chi osserva da lontano
Non è così perché la vera morte è vivere lottando contro la corrente della verità.
Gli uccelli di mare sono quasi tutti bianchi, non blu, azzurri o verdi:
Hanno il colore del mare in tempesta, vogliono poter essere scambiati per schiuma quando si posano fra le onde di una burrasca
Lì hanno bisogno di nascondersi e di non essere visti,
Non temono che qualcuno li possa predare. Maltempo non è stagione di caccia,
Ma perché a nessuno piace essere visto mentre si arrende al fato.
Penelope è una reggia vuota del suo re
Sono quelle stanze occupate da mille persone
Penelope sa benissimo come si riconosce un re
Un re pone il suo onore nel meritare fiducia. Ha il coraggio di esserci quando si ha bisogno di lui
Un re marinaio sa condurre la sua nave verso il porto, sa che navigare è riportare tutti i marinai che hanno messo la loro vita nelle sue mani alle loro case e lui per ultimo
Ulisse sapeva navigare, aveva il coraggio delle colonne d’Ercole, il coraggio di andare oltre il confine del mare e, soprattutto, di tenere la rotta quando il mare ribolle di sirene che chiedono solo di dimenticare una direzione, abbandonare la bussola, lasciarsi trasportare dalle onde, scomparire
Ulisse sapeva come si tradisce, sapeva usare l’astuzia dell’attesa, trasformare l’intelligenza in un tranello e in un inganno, perché un re vince le guerre, conquista il bottino di sangue che è la schiavitù di chi si è lasciato ingannare, di chi ha voluto l’inganno pur di finire una guerra, la morte per non aspettare la vita che si consuma dentro un assedio
Penelope aspetta il suo re nelle stanze del castello, finisce i suoi occhi al telaio, tesse come se non ci fosse nessun assedio, come se la nave di Ulisse non si incrociasse nel deserto mediterraneo con i lutti di Enea, non naufragasse nella ricerca di acqua, non soccombesse alla sordità dei banchetti di Didone
Si prostituisce all’assenza perché chi occupa la reggia non è un re ma sa offrire lo spazio di una gioia nel vuoto incavo della sua vagina secca di sale e lontane tempeste. Ama quei pretendenti. Di ognuno ama qualcosa. Di tutti ama il destino: morire di freccia, per mano di Re, morire perché la gioia di una regina deve soccombere al ritorno del suo signore
Nemmeno Omero, però, ha scritto cosa hanno fatto Ulisse e Penelope dopo quella strage danzante, dopo quelle frecce che hanno trafitto il cuore di coloro che avevano amato Penelope, di coloro che Penelope non aveva mai amato e ai quali aveva prostituito il suo bisogno di essere sazia e sola, di essere regina e vedova di un niente che sbiadiva il ricordo della sua anima
Non lo ha scritto perché non c’era più niente da raccontare. Perché Ulisse non ha solo trafitto il cuore di chi era colpevole di non essere amato. Perché alla fine Ulisse non poteva restare a Itaca, Itaca non poteva contenere i mari che lui portava dentro
Ulisse non è tornato a Itaca per restarci, è tornato perché aveva bisogno di Penelope per completare il suo viaggio. Per partire verso un dove che non conosce né ritorni né approdi.
Il fotografo di matrimoni non voleva fare il fotografo di matrimoni ed è morto giovane.
Di qualcosa che non ha nome ma fa molto male. Anche a uno che amava il gioco e si stonava di bingo.
Odiava i matrimoni perché diceva che c’è una sottile distanza, un impercettibile confine fra gli istanti.
Ogni decisione è poco più di un attimo. Ma ci sono attimi nei quali si decide per tutta la vita.
Può andare bene e capita di essere felici ma può andare anche molto male ed essere infelici per tutta l’eternità. Può, infine, andare ancora peggio e passare la propria vita a rimpiangere di non avere deciso per paura di decidere.
Si deve scegliere con attenzione perché ci sono scelte che possono rovinare per sempre. Ma non con troppa attenzione perché niente è così importante da non meritare di essere giocato.
Odiava i matrimoni per questo. Perché lui sapeva vedere il futuro delle scelte degli altri attraverso il mirino della sua Yashica e non c’è niente di divertente nel fotografare la nascita di un inferno.