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Tag Archive for: tristezza

Chi li ha sciolti? (Un miliardo di sms)

8 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
02/01/2008

Gli sms di auguri sembrano essere stati oltre un miliardo.


Nella sola Italia e solo per il nuovo anno.


Molti affatto inutili. Il semplice frutto di un acritico send to many.


In ogni caso, gli sms di auguri sono diventati una singolare forma letteraria.


Uno strumento che consente di non perdere completamente il contatto con la lingua scritta.


Taluni meritano di essere segnalati:


Un 2008 proficuo (ovvero vantaggioso. Ma sotto quale profilo? Economicamente proficuo, moralmente proficuo, sentimentalmente proficuo?)


Auguri sinceri (e’ una precisazione che non puo’ non far pensare)


Un. 2008 ricco di successi (si sara’ accorto che non faccio il cantante?)


Ricco di tante belle novita’ (ma se sto benissimo cosi’?)


In questo 2008, ti auguro di ricevere in ogni momento, in ogni luogo, in ogni circostanza il meglio che c’e’ (sara’ mica il caso di toccarsi?)


Etc.


In tutti questi casi, una cartolina prestampata – con un costo non eccessivamente superiore – avrebbe fatto assai miglior figura.

Il natale delle puttane

6 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
26/12/2007

E’ facile notare la devalutazione delle signorine di generosi costumi.


Dove era una atmosfera decadente e letteraria, un’ aria di sanatorio che poteva colorare il prezzo dei baci con l’erotismo della tisi, oggi sono ragazze africane, colorate nei loro abiti da troie maltinte, con la stessa aria fuoriposto che avrebbe una cassiera di banca vestita di foglie di palma.


Di solito, salgono su treni improbabili, verso le sette di sera, mangiano cose lontane e di primo prezzo, cantano, si cambiano senza pudore in mezzo alla carrozza, mutano la tuta da ginnastica che copre molte delle poverta’ del mondo con quell’abbigliamento che qualche protettore folle ed ironico ha fornito, più come segno di appartenenza – temo – che come strumento di seduzione.


Tornano sullo stesso treno, riavvolgendo il nastro delle loro vite spiaggiate ai bordi di qualche vialone.


Tornano alle sei del mattino, cercando l’acqua dei bagni intasati per lavarsi, per avere un motivo di sfiorarsi il corpo.


Senza cantare, senza cambiarsi, il sonno di bambine appoggiato nel calore sporco del treno.


Ecco, in questo mattino di postnatale non ci sono.


Non saprei se perche’ ieri sono restate a casa o se perche’ stamani hanno tirato gli straordinari.


So che non le ho viste e che stupito della loro assenza ho percorso due volte il treno che di solito mi porta a lezione e che stamani mi accompagna da un amico.

Una giusta distanza

4 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
05/12/2007

Il cinema è il luogo delle giuste distanze: dal tuo vicino, dallo schermo, dalla storia, dalle immagini, e così via.
Il cinema è lo spazio di una esperienza lontana, necessariamente d’altri, di una narrazione solitaria.
I cinema sono bellissimi quando non c’è nessuno ed è possibile sedersi esattamente al centro della sala e lasciarsi avvolgere dalla storia come da una coperta.
Se in un cinema vuoto, entra un altro spettatore è una piccola delusione.
Se l’altro solitario spettatore decide di sedersi accanto al primo solitario spettatore è una tragedia.
Se il secondo solitario spettatore è di quelli che hanno bisogno di commentare, viene inevitabilmente voglia di alzarsi ed andare via.
Ma si resta.
Un pò per cortesia.
Un pò per curiosità.
Così se il film è inutilmente buonista: il tunisino brutto ma buono si innamora della maestrina italiana bella e brava finché vittima dei pregiudizi di un paese viene condannato per il suo omicidio, i commenti diventano la cosa più interessante.
Soprattutto se il secondo spettatore, una donnetta sulla cinquantina, forse non del tutto compos sui, alla scoperta del cadavere della maestrina se ne esce con un: Ben gli sta, così impara a andare con i marocchini …
Inutile dire che era tunisino e che i marocchini non sono più tunisini di quanto gli italiani non siano francesi.

La bottega dell’antiquaria (appunti di economia fedifraga)

6 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
26/11/2007

La bottega dell’antiquaria è un luogo molto tipico.
Dentro c’è una antiquaria.
Ma potrebbe esserci anche una disegnatrice di fiori di carta, una modellatrice di crete, una decoratrice di interni, una intrecciatrice di bigiotteria.
E mille altre cose inutili.
Di solito, la bottega dell’antiquaria non va bene.
Non può andare bene.
Vende cose già viste a prezzi carissimi.
Cose inutili e dal costo volgare.
Ci si domanda che cosa c’è dietro.
Qualcuno particolarmente scafato potrebbe pensare ad una lavanderia di denaro sporco.
Ma sarebbe troppo spregiudicato.
No.
C’è un marito.
Un marito che si è rotto le palle della moglie.
Che ha bisogno di trovarle qualche cosa da fare.
E che pur di non averla fra le scatole le paga i conti, ripiana il bilancio di fine anno, va dal commercialista, etc.
Guarda i suoi denari uscire dal portafoglio con un misto di rabbia e di gratitudine.
La bottega dell’antiquario è un perfetto esempio di economia fedifraga: l’utile (o meglio: il ristorno) è una moglie silente e grata.

Una sorpresa di ferragosto

3 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
12/11/2007

Un antico palazzo centrale.

Bello come sanno essere belli i palazzi che sono riusciti a restare incompiuti prima di diventare decadenti. Alcuni uffici, le stanze dei proprietari originari sparse, frazionate, disperse: come una raccolta di francobolli dopo un colpo di vento.

Il figlio del fabbricatore di angeli ha un attico. Poche stanze, con molto charme, affacciate sui tetti. Non e’ amato. Non era amato suo padre e nemmeno lui puo’ esserlo. Ma e’ un bell’uomo. Non alto, forse, ma con l’aria mite e gentile di chi non avrebbe voluto essere tanto fortunato. La moglie se l’e’ dovuta cercare lontano.

E’ bella lei. Molto olandese nel suo essere occhi grigi e capelli neri. Alta. Orgogliosa. Un bell’incedere fatto di mostrarsi senza vedere.

Hanno un figlio. Una decina d’anni, portati con tutta l’arroganza di chi sa essere orgoglioso del proprio sangue marchiato. Di chi sfida gli sguardi che conoscono la sua impresentabilita’.

Lei fa la stilista. Dice di fare la stilista. E si accompagna sempre con un’altra donna. Bella anch’essa. Lo stesso sguardo di straniera. Lo stesso modo di portare gli abiti come se fosse nuda e non le importassero gli sguardi, come se non si spogliasse per farsi guardare.

La sorpresa di agosto e’ lui che torna a casa ad un’ora imprevista. E trova lei e l’altra annodate nel talamo. Stupite ma orgogliose come conchiglie. Le butta fuori di casa. Due donne – ancora nude e capaci di restare bellissime – che attraversano il caldo deserto di un pomeriggio a mezzo agosto, rincorse da un nanetto imbestialito e urlante. Loro che sembrano fuggire per pieta’, per non umiliarlo con due sganassoni. Che ne sarebbero capaci e gli farebbero male. Parecchio.

Lo si e’ visto da solo per qualche mese. Solo, ma non senza il figlio insopportabilmente costretto a inventare una nuova arroganza, intagliata sul nuovo marchio che gli era stato donato.

Poi lei e’ tornata. Forse e’ voluta tornare, forse lui l’ha richiamata. Non si sa. Vivono di nuovo insieme. Esattamente come prima, ma quella che era una amica adesso e’ diventata una pelliccia da ostentare dinanzi a tutti, una frequentazione a meta’ fra il trofeo e lo scalpo (del figlio del fabbricatore di angeli).

Il trans di piazza Savonarola

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
08/10/2007

Se piazza Savonarola, è una piazza a strati, nel senso che vi si trova di tutto, ma veramente di tutto, nel suo strato più profondo c’è Mery, il trans.
Lo si può trovare a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Non esercita la sua professionalità in piazza.
Si limita a portarci i cani.
Due orrendi Chihuhua, lunghi non più di trenta centimetri.
Legati alla loro padrona con un guinzaglio a molla da dieci metri.
Mery fuma le multifilter.
Lunghissime, una dietro l’altra, tutte consumate fino a bruciare le dita.
Viene da Trani.
Ed è un personaggio dalle frasi storiche.
Sul genere: "non è importante come si nasce. Guarda me: sono un carciofo che è diventato un fiore".
Oppure: " i cani sono cani. Non si possono confondere i cani con i bambini".
O, ancora, "non sopporto gli anziani con i badanti. La solitudine è uno stato dell’anima che si deve affrontare con dignità".
La si vede sempre a parlare con le mamme dei bambini.
Fa gente e le piace farsi ascoltare.
Consiglia generosamente in caso di crisi coniugali, raccontando del suo uomo, che russa, le ruba le coperte.
La costringe a dormire seduta su un angolo del talamo.
Ma è un vero uomo.
Un torello, secondo quanto dicono i vicini che godono la colonna sonora dei loro amplessi a finestre aperte durante il periodo estivo.
Mery porta lunghi capelli ossigenati, un’ombra di baffi, i seni a balcone – a terrazza, si potrebbe dire -, i jeans attillati sul bacino per far vedere il successo della operazione di riattribuzione chirurgica del sesso.
Ed è triste.
Tristissima, nella sua continua ricerca di una credibilità borghese.

Australia

3 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
04/10/2007

Ieri mi hanno scritto dall’Australia.
Mi ha scritto uno dei miei migliori amici.
E’ più giovane di me.
Non troppo.
Ma è più giovane.
Lo ricordo poco più che bambino.
In quei momenti in cui pochi anni separano un ragazzo da un uomo.
Ricordo una notte passata a parlare di tutto e di nulla.
Una orrenda bottiglia di grappa alla ruta che finimmo.
E che restituimmo per intero insieme ai nostri succhi gastrici.
E’ una di quelle persone in cui si può avere fiducia.
Incondizionatamente.
Persone rare.
E’ partito per l’Australia.
Ha deciso di emigrare.
Con la cartella di cartone di chi ha bisogno di realizzare i propri sogni.
Forse, nemmeno i suoi sogni.
Ma i sogni di sua moglie: giovane architetto in cerca di impiego, con una concreta prospettiva da desperate housewife.
Lui, in fondo, i suoi sogni li poteva realizzare anche da noi.
E’ un sistemista bravo e preciso.
Mi manca, anche se non ci sentiamo quasi mai.
Mi manca la sua dolce ingenuità.
Ed ammiro il suo coraggio.
Il coraggio di partire lasciando tutto alle spalle.
Per cercare lavoro.
Senza nessuna certezza, se non quella che se le cose vanno male sarà difficile ritrovare quello che si è lasciato.
Mi ha scritto che Sidney è un incrocio fra il centro di NY e l’america anni 50 di Paris Texas.
Quella america che Wenders ricostruisce come se tutto si fosse fermato negli anni 50.
E penso spesso a lui, nella speranza che i suoi sogni si avverino.

Una separazione – Di nuovo

3 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
17/09/2007

A luglio, ho scritto di una separazione.
Ho cercato di raccontare del mio amico e della moglie.
Non ho scritto di come è iniziato il tutto.
Il poveretto, un giorno, un giorno che era il suo anniversario di matrimonio, ha deciso di tornare a casa prima del solito.
E’ entrato.
Ha fatto normalmente rumore.
Le mani impacciate da un mazzo di fiori.
Nessuno gli è venuto incontro.
Strano.
Ha iniziato a girare per casa.
Fino ad entrare in camera.
La porta socchiusa, che ha aperto.
Per trovare il nodo della moglie con l’amante.
Uno si potrebbe immaginare rabbia, solitudine, frustrazione, qualsiasi cosa.
Non quello che è successo.
Ha richiuso la porta.
Senza che si accorgessero di lui.
Senza che il nodo della moglie con l’amante si sciogliesse.
Si è seduto in salotto.
La testa fra le mani.
Piangendo.
Finché le risate degli amanti lo hanno raggiunto.
E lui le ha detto che gli dispiaceva.
Che gli sarebbe dispiaciuto se lei si fosse trovata a dipendere dal suo amante.
Lei che non ha mai lavorato.
E le ha staccato un primo assegno.
Si è connesso all’home banking ed ha disposto un addebito mensile permanente di tutto il suo stipendio meno cinquecento euro.
Poi è andato via.
Oggi è venuto da me.
Ancora più triste del solito.
Un amico, ci sono sempre degli amici in questi casi, gli ha detto che sua moglie era in rete.
Nuda.
In un sito per scambisti.
Mentre si divertiva con le labbra sul suo amante.
E cercava altri uomini per divertirsi anche con loro, insieme al suo amante.
Un annuncio decisamente per palati robusti.
Mi ha chiesto che cosa poteva fare.
Se poteva fare qualcosa.
Ho provato a dirgli che non era sua moglie.
Che poteva essere chiunque.
Mi ha mostrato un tatuaggio.
Con il suo nome.
Ho provato a sostenere che sicuramente sua moglie non ne sapeva nulla.
E che era stato l’amante.
Un modo per rubare immagini ad altre coppie.
Sicuramente.
Lei non poteva saperne nulla.
Si è messo di nuovo a piangere.
Disperato.
Continua ad essere convinto che lei lo ami.
Che non possa finire così.
A lungo ho ascoltato le sue lacrime.

Una separazione

18 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
17/07/2007

Non faccio mai l’avvocato.
Soprattutto non mi piace.
Non sopporto di entrare nei fatti degli altri.
Non tollero ricercare torti e ragioni.
Eppure qualche volta ci sono costretto.
Come oggi.
Stamane mi è toccato di accompagnare un mio amico nella causa di separazione dalla moglie.
Il tribunale è un insieme di corridoi vuoti.
Abitati dal caldo e da strani ed azzimati caimani.
Dal disordine dei fascicoli.
Dal dolore delle storie chiuse nei fascicoli.
Battute a macchina, con la distrazione di una dattilografa che non riesce a piangere dinanzi al dolore che le sue dita pigiano nella tastiera.
Il mio amico – potrebbe chiamarsi N – era disperato.
La moglie ha  un altro.
Glielo ha detto da molto tempo.
Ma non riesce a darsene pace.
Il corridoio lo ha guardato a lungo mentre aspettava.
La testa fra le mani.
Le mani dentro la testa.
La moglie lo guardava con pietà.
Come si guarda un uomo che non sa vivere il proprio dolore senza farlo vedere.
Come si guarda un disgraziato con gli occhiali da sole per sopportare la penombra.
Il giudice lo ha guardato a lungo.
Ha chiesto se voleva separarsi.
N ha risposto di no.
Che per lui era tutto a posto, anche se sua moglie aveva un altro.
Che avrebbe aspettato.
Che non c’erano problemi.
Il giudice ha detto che i problemi c’erano.
Perché se lui non voleva separarsi la separazione non poteva essere consensuale.
Allora lui ha risposto che si, voleva separarsi ed ha cominciato a piangere.
Come un bambino stanco che non riesce a dormire.
Con la stessa disperazione quasi assoluta.
E queste lacrime, sul suo vestito, che era il vestito del matrimonio, mi sono rimaste appiccicate addosso.
Mentre guardavo l’avvocato della moglie.
Una donna, vestita di bianco, perfetta per Forte dei Marmi.
L’aria un pò trascorsa.
Le caramelle di chi non riesce a non fumare.
L’abbronzatura che serve per poter portare un abito  bianco.
E mi sono chiesto – mi continuo a chiedere – come possa vivere di questo dolore.
Come possa vivere ogni sua giornata rincorrendo l’angoscia di amori che finiscono.
Di figli che entrambi i genitori vogliono.
Di cose che logorano il tuo corpo e non solo il tuo spirito.
Adesso torno alle mie pagine, alle mie riflessioni sulla dimensione costituzionale della proprietà.
Lontano.
Più lontano.
Da tutto questo.
E non riesco a non pensare che non sia umano abituarsi a quelle stanze, fare di mestiere quello che ho fatto per un amico, che non avrei mai fatto se N non fosse un amico, se non avessi ritenuto mio dovere accompagnarlo.
Se non avessi pensato che era necessario.
Umanamente necessario.
Però in fondo dovrebbe essere questo il mestiere dell’avvocato: essere amico di chi non ha amici ed accompagnarlo in un viaggio dentro alla propria miseria.
Forse.
Magari.
Ma non lo so.

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