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Privilegi di tramonti

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
14/03/2016

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La osservo.
Come si guarda un tramonto quando si è consapevoli della sua eternità.
Bella, come un santo greco. Come la Madonna in un affresco di Andrea Del Sarto rimasto a riposare nell’abbandono quieto della clausura.
La gamba, la gamba destra non batte pari, poggia male. Odora di tumore. Profuma del sapore dell’acqua quando la notte porta l’alluvione e la città dorme prima di affogare.
Niente che ancora si vede, solo l’idea di un presagio.
Il privilegio del tramonto.
Perché non tutti i tramonti si assomigliano. Hanno anime diverse. Sono diversi modi in cui il sorriso stupefatto dell’alba diventa dolorosa nostalgia.
Ci sono tramonti che si esauriscono in una linea d’ombra, netti, precisi come bisturi. Di qui, la vita e di là, la morte. Così la morte quando ha la generosità del brigante.
Altre volte, il tramonto è il primo sole dopo la pioggia e profuma di arcobaleni. Ha il sapore della dolcezza di chi abbraccia dopo aver temuto di non poter più salutare quel sorriso lieve che sta svanendo accanto al comodino.
Ma più tristi di tutti sono i tramonti dei giorni di nebbia e pioggia. Quando il sole non ha nessuna nostalgia perché non ha mai visto il suo stupore. I tramonti di Brest e delle correnti che portano gli affogati prima di nascere.

Come pesci fuor d’acqua

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
04/03/2016

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In questo bar, l’unico pesce fuor d’acqua sono io che cerco di chiudere una convenzione mentre fuori infuria il sole, quel sole che esiste solo in provincia e vicino al mare.
Due ragazze, il genere di ragazza che esiste solo in provincia, fuma e be ve caffè perché ancora non è ora dell’aperitivo e il lavoro è una epidemia di cattivo gusto.
La strada è invasa di uomini di mezza età in livrea da ciclista, in forma come se l’unico lavoro possibile fosse il contenimento dell’addome.
Ed io mi vergogno di essere felice per loro, come un malato che guarda il sabato dalla finestra.

Tempus fugit

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
17/11/2015

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Una pendola giace in mezzo ai rifiuti,
Nel confine centrale di una casa che non è più una casa,
Crea bivacchi di noia e barricate di terrore per infinite notti che abbaiano di freddo,
Finché un giorno l’ufficiale giudiziario è sterminio della memoria e lei si lascia seppellire con la dignità di una eutanasia praticata in una macelleria clandestina,
Lei che una volta era solo cose da ricchi, che ancora sa, e lo sa perché c’è nata, che l’unica differenza fra un ricco e un povero è che il ricco non sa piangere e non piange, si allontana
Portando con sé, nel suo vagabondare sconcio della nudità d’una vita fuggita da mani di sabbia e vento, la pendola, la pendola ch’è diventata il suo passo
Un passo vicino a finire la carica.

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