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Non c’era solo Jacula

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
30/05/2022

Il fumetto per adulti è una forma di letteratura popolare molto interessante.

Le storie non dicono niente: sono definitivamente banali.

I protagonisti non tradiscono mai il loro carattere e il carattere dei protagonisti è solo un prologo per giustificare amplessi disegnati da matite grasse.

Parlano gli albi, i loro colori squillanti che appassivano al Sole delle edicole. Hanno lo stesso odore delle MS di quegli anni, secco, catramoso come la vilpelle dei treni carichi di sudore diretti verso il mare.

Sono tascabili per entrare in un borsello e salire in un’Alfa Sud.

Non esistono più eppure ci sono delle ragazze che ancora ancheggiano come quelle copertine.

Archetipi sopravvissuti agli anni in cui erano l’ispirazione manuale della leva obbligatoria.

Monadi fedeli a se stessi, anche quando fingono di essere diventate signore.

Perché il bello delle signore con il cuore di fumetto è che, prima o poi, viene sempre fuori il fumetto che sono state, un fumetto da nascondere in bagno, e chi ci è inciampato, una volta, due volte, tre volte, lo avverte con sollievo.

Meno male che non è cambiata, meno male che le sue promesse sono rimaste un assegno da cento lire stampato dalla Popolare di Bari, altrimenti c’era da farsi male.

Gli addii, con quelle anziane ragazze, hanno lo stesso imbarazzato sollievo della masturbazione maschile: svuotano un’urgenza feroce  e diventano subito vergogna di ciò che si è fatto perché un uomo non merita il piacere del suo polso.

Merita il piacere di una donna da poter osservare dopo l’amore dicendosi: Lei vale la pena. Lei è stata l’attesa di tutta la mia vita e quello che ho lasciato dentro di lei è, prima di tutto, il desiderio di trovarla accanto a me quando la furia dell’amore evapora illuminando ai piedi del letto le scarpe che aspettano di riprendere il cammino.

Poeti al Cacciucco

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
30/05/2022

La poesia livornese ha sempre un retrogusto di cacciucco con le lische.

Il poeta livornese non sa di essere un poeta e considera tempo sprecato ogni minuto che non dedica a prendere il Sole con le infradito e i Ray Ban a specchio.

Lo si riconosce perché una catenina d’oro con un Cristo inchiodato a un’ancora gli lascia un tatuaggio sull’abbronzatura altrimenti perfetta.

Non importa perché non la toglie mai.

Saverio della Saverio demolizioni è uno di questi gentiluomini e gira sempre con un cane di medie dimensioni. Un bastardo cresciuto a cacciucco con le lische e che è del tutto incapace di avere rapporti di normale cordialità con gli altri cani che incontra.

Quando il botolo si scaglia contro un cane di taglia decisamente grande, che, peraltro, non doveva essere livornese perché ha continuato la sua passeggiata con tutta la flemma di cui può essere capace un lord inglese sulla Somme, Saverio si è scagliato contro il padrone del cane:

Non lo potevi comprare più piccino? Non vedi che il mio cane si innervosisce quando incontra i cani più grandi di lui

Il nobiluomo lo fissa quasi con affetto e gli dice

Oggi è la giornata della poesia: a tutti i poeti manca un verso e ciascuno deve regalare a chi incontra un verso perduto

Saverio resta interdetto.

In effetti, il suo verso perduto è pretendere di avere ragione anche quando si ha completamente e dannatamente torto.

Il mio cane ed io (io non somiglio al mio cane: è lui che deve assomigliare a me)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
24/05/2022

I cani sono come i figli e i figli sono come i cani.

I genitori assomigliano ai figli come i padroni assomigliano ai loro cani, il che, fra l’altro, vale anche per il rapporto di identificazione fra gli avvocati e i loro clienti.

Dietro la banalità di queste osservazioni, facilmente desumibili dalla lettura di Desmond Morris: fra la scimmia nuda e il suo libro sulla educazione del cane, non vi sono distanze particolarmente significative, c’è una porzione del mistero educativo.

Un padre e una madre educano il loro figlio. Il loro figlio finirà per assomigliare loro.

Egualmente un figlio educa i propri genitori. I genitori finiscono per assomigliare al proprio figlio.

Queste affermazioni sembrano speculari e in una logica politicamente corretta lo sono.

Ma non sono corrette: è nel mestiere di chi educa far sì che chi è educato impari a rispettarne l’autorevolezza e sia educato attraverso la sua sua autorevolezza.

Educare rinunciando alla propria autorevolezza è far male ai propri figli. Non solo a se stessi.

E vale anche per i cani e per i clienti degli avvocati.

Nonché per altre cose che è diventato inutile ricordare.

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