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Gli ultimi istanti

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
13/12/2021

Non c’è da dire niente negli ultimi istanti di vita di un uomo.

Gli si sussurra quello che vorremmo fosse il nostro saluto nella speranza che ci possa sentire.

Gli si racconta di una leggenda indiana secondo cui sono i figli che scelgono i loro genitori prima di nascere, scelgono da quale ventre uscire e quale soffio di vita li animerà.

Gli si dice che si ricorda quel momento, quel momento in cui lo abbiamo scelto come il miglior padre che si potesse mai avere.

Gli si dice tutto questo, sperando che ascolti, mentre le sue dita stringono ancora le nostre e ci ricordiamo di quando ci ha insegnato a camminare e lo abbiamo scelto, ancora una volta, come il miglior padre che si potesse avere; di quando ci ha accompagnato a scuola, il primo giorno, con il grembiule nero e la goletta bianca; di quando ci ha comprato tre bic extrafini per il primo esame al quale abbiamo preso il massimo dei voti; di tutte le passeggiate che abbiamo fatto perché a lui piaceva camminare e a me piaceva parlare con lui del futuro; del fatto che niente di quello che abbiamo costruito lo avremmo costruito se non avessimo avuto la sua impronta a guidare i passi sul sentiero.

Gli si dice che nessun errore è stato davvero un errore, che sappiamo che ci ha voluto bene in ogni istante della sua vita e che non abbiamo mai smesso di pensare che fra tutti i padri, quel giorno, in cui lo abbiamo scelto, abbiamo scelto davvero il migliore.

Senza piangere, senza piangere, senza piangere perché a lui non sarebbe piaciuto.

Moana (Ancora addio)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
01/11/2021

Moana Pozzi è un VHS sgranato dal ricordo manuale di un adolescente a cui non piaceva il calcio.

E’ stata bella, bella e troia, in un tempo in cui gli uomini potevano essere maiali restando gentiluomini e le donne a cui piaceva il sesso erano ancora puttane.

Ha fatto del suo essere porca un mestiere e ha saputo vivere quel tempo rivendicando il diritto di poter provare piacere nel fare cose che le altre donne potevano fare solo con mariti sovrappeso in letti stanchi di lenzuola che sapevano di sudore, calzini e canottiere Cagi anche d’inverno.

I suoi uomini sono stati giocattoli. Sex toys, non gigolò. C’è una soluzione di continuità fra questi due concetti: il gigolò è un uomo che sa dare piacere mantenendo la sua ars amatoria collegata allo spirito, che ha trovato una donna che gli chiede di essere amata anche se per finta, che gli chiede di essere accompagnata a cena e fatta sentire come ci si può sentire con un uomo che sa essere elegante prima di essere scopata da quello stesso uomo, che non indossa né calzini né canottiera, il toy boy è un uomo che dà il piacere che la donna gli viene chiesto da una donna che si domanda se la sua attrezzatura manterrà le promesse.

Tardelli, Craxi, gli altri uomini con cui si dice che sia stata – ma non lo si sa e non sarebbe da gentiluomini saperlo – hanno provato la terribile angoscia che si prova quando si incontra una donna come lei.

Il sesso fine a se stesso, il sesso che si consuma per piacere, il sesso senza altro che il sesso, il sesso che diventa competizione perché si sa di non essere soli fra quelle gambe, che quelle gambe sono come il cielo stellato: un multiverso che ospita mille uomini contemporaneamente anche se provengono da tempi profondamente diversi, è pura angoscia.

Lascia amarezza, solitudine e rabbia perché un uomo, se è un uomo come Craxi, o come Tardelli, un uomo che ha una vita oltre ciò che separa le gambe dal busto, pretende che la sua vita sia apprezzata insieme alle virtù amatorie, pretende che le sue capacità fisiche diventino una esperienza erotica unica perché la donna che sta amando è capace di sentirle insieme a tutto ciò che quell’uomo ha costruito con la sua vita.

Moana ha saputo separare il cazzo dalla storia individuale dei suoi amanti e non deve essere stato facile per loro sentirsi paragonati a ometti che erano solo giocattoli, ma giocattoli molto più perfetti per Moana di loro, perché a una donna come Moana piace essere portata a cena in un locale elegante, piace leggere un libro impegnato, discutere di musica e ricordare il tempo in cui suonava il clavicembalo ma dopo avere fatto tutto questo torna Moana e cerca il suo piacere.

Lo sa separare dalla sua intelligenza e questo per un uomo intelligente diventa un paragone insostenibile perché mette in dubbio tutto quello che ha saputo costruire, con l’intelligenza e la cultura e non con il pisello.

Moana racconta molto al mondo delle pari opportunità. Dice che non solo gli uomini possono essere maiali restando dei gentiluomini, come quando si ritrovavano nelle case chiuse e le case chiuse assomigliavano al Circolo Canottieri Savoia o allo Yacht Club Italiano perché il pianoforte era suonato da Satie, ma anche che le donne possono essere puttane restando delle signore.

Anche se forse il mondo delle pari inopportunità che ci piacerebbe costruire è un mondo in cui le donne rinunciano a essere puttane e gli uomini non vogliono essere il verro padrone del recinto delle maiale.

Un mondo in cui una donna non è un corpo che dà piacere ma un anima che riempie il corpo mentre riceve piacere da un’altra anima, così lontana finché non diventa così vicina da essere orgasmo, ma non l’orgasmo meccanico di un giocattolo, ma l’orgasmo pneumatico di due psiche che riempiono i corpi – e questo, forse, si potrebbe scrivere solo nel greco antico di quegli intellettuali che avevano rinunciato al genere delle pari opportunità per parlare di corpi e anime, di veneri celesti e veneri pandemie.

Vale la pena ricordare Moana, racconta bene lo spirito di quegli anni in cui l’amore è stato liberato dalla Democrazia Cristiana, ma solo se serve per capire che l’amore di Moana era una cosa terribile, per lei e per gli altri, che le donne come lei sono una maledizione per chi le incontra e per loro stesse che si incontrano ogni giorno e ogni istante.

Moana ha avuto la fortuna di morire giovane, di non conoscere il tempo in cui le donne diventano secche e si asciugano, di non vedere le proprie rughe nascoste da un trucco intelligente ma che rifioriscono come la ruggine che si può lavare ma torna sempre perché il ferro quando è ossidato non è più ferro.

Se fosse stata vecchia, forse, ci piace pensare così, avrebbe fatto sua la filosofia di queste righe: un boudoir non è solo un boudoir, è prima di tutto un talamo e quello che c’è nel boudoir sfiorisce nelle rughe che rifioriscono come la ruggine sotto il trucco sapiente della penombra, mentre ciò che si è costruito nel talamo trova in quelle stesse rughe il calore di una poesia di Yeats.

Ma questo è ottimismo perché – di solito – le donne come Moana non leggono Yeats, non sanno nemmeno chi è.

Uno sventurato volo pindarico (La verità del Sole)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
27/10/2021

Pindaro ha sognato a lungo di volare.

Di staccare i piedi da terra e conoscere il cielo da vicino.

Perché chi ama il volo vuole vedere le stelle, avvicinarsi alla sostanza dei sogni, vivere dove si può toccare il Sole.

Pindaro si era innamorato del Sole, del suo calore, della dolcezza con cui scioglie la brina dopo una notte di Primavera.

Suo padre gli ha regalato la possibilità di avvicinarsi al Sole.

Come un padre che permette ai figli di realizzare i loro sogni.

Il Sole, però, è diverso da come Pindaro lo immaginava. Non scioglie la brina. Non scalda le ossa dopo una notte di mare, pioggia e vento.

E’ calore rovente che brucia le ali e che schianta Pindaro. Lo riporta a terra, ossa spezzate da un sogno.

La verità del Sole è che brucia chi vuole guardarlo negli occhi.

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