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Il prof. Aurelio Scaccabarozzi

6 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
25/09/2007

Per lunghi anni, sono stato l’assistente del prof. Aurelio Scaccabarozzi.
Uomo apparentemente mite e, soprattutto, gaffeur inimitabile.
Ricordo un esame.
Gli esami si svolgevano secondo una liturgia consolidata.
Gli assistenti, fra cui io, facevano le prime due domande.
Il prof. Scaccabarozzi, l’ultima.
La prima parte dell’esame terminava con un biglietto che lo raccontava al professore.
L’esame che racconto aveva per protagonista una perfetta capra.
Non aveva studiato nulla.
Non capiva niente.
Soprattutto era una capra a cui mancava una esatta metà del volto.
Imbarazzante carenza.
Ricordo il mio sforzo di non mostrare nessuna emozione.
Sul biglietto scrissi le domande, commentai con un "non sa nulla, deve tornare" aggiunsi di prestare attenzione all’aspetto fisico.
Lo Scaccabarozzi, ammucchiato di carte e libretti, si vide arrivare libretto e studentessa contemporaneamente. Non alzò la testa, lesse il biglietto.
Poi, però, il suo sguardo si sollevò sulla poveretta.
Fece un salto sulla sedia e disse: "oh lei, che ha fatto?"
La studentessa, "nulla, ci sono nata".
Lo Scaccabarozzi, "allora va bene così".
La studentessa, "no, non va bene per nulla".
L’esame terminò con ventisette e un "avevo paura di rivederla" che il professore mi sussurrò, quasi scusandosi, mentre offriva il rituale caffé degli assistenti a metà mattina.
Fu allora che decisi che quando sarei diventato professore avrei fatto tutti gli esami personalmente.
E così faccio ancora oggi.

Le inventrici della fica

9 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
24/09/2007

Hanno la fronte alta.
Spaziosa, inutilmente.
Incedono, anziché camminare.
Dominano lo spazio.
Lo sguardo attentamente ritoccato.
La bocca che non sorride mai al di là delle estreme frontiere della chirurgia estetica.
I denti, odontotecnici fili di perle.
Convinte del potere della loro invenzione taumaturgica.
Attente a cercare di trasformarla nella definitiva scoperta di chi le circonda.
Arriva  un giorno, perché quel giorno arriva sempre, nel quale si scoprono vecchie.
E diventano belle.
Di una bellezza tragicamente patetica.
Di un dolore sfiorito.
Ma è difficile coglierle in quell’attimo.
Prima che la loro resa diventi insopportabilmente aspra.

Cecco

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
24/09/2007

Castiglioncello sta scomparendo.
Inghiottita del cemento del suo porto turistico.
Non esiste quasi più.
Sono solo vecchi e bambini che girano per la pineta.
Ho amato Castiglioncello.
Ho passato lì tutte le mie estati.
Estati che iniziavano a giugno e finivano ad ottobre.
Estati che sono finite quando ero troppo grande per andare al mare con la mamma.
Ad aspettare la 124 del babbo che arrivava la sera.
Con il suo odore di caldo.
Di strade statali.
Di temporali ad Orciano.
Passavo le mie giornate in barca, sui flying junior del circolo.
O appoggiato al molo.
O sdraiato nel sole del Miramare, dove Sordi chiaccherava con Mastroianni e Matroianni, con Spadolini.
E Spadolini erano la barca dell’architetto, la pancia del ministro o le dita del chirurgo.
A seconda.
Esisteva allora uno strano tipo.
Girava con dei pantaloni da cavallerizzo.
Con lo sbuffo.
Degli stivali alti.
Da  nazista, nei nostri occhi di bambini.
Una camicia bianca.
Lercia.
Un foulard annodato al collo.
Per risparmiare un pò di unto al colletto.
Lo chiamavamo Cecco.
E si imbestialiva.
Bastava urlare Cecco che subito lui gridava:
"I’r_budello_di_to’_mà / I’becco_di_tù_pà / Ti pigjlio_pe’lle_trombe_d’ì_culo / E_ti_sbatacchio _’n_mare
[spazio per riprendere fiato]
A_me,_i_fiorentini_non_mi_sono_mai_garbati"
Non si chiamava Cecco.
Cecco era il cane del suo vicino.
Un cane che abbaiava sempre e non lo lasciava dormire.
Che era riuscito ad uccidere.
Con un appostamento di polpette avvelenate.
Un cane che morendo gli aveva lasciato il suo nome.
Perché dopo che lo aveva ucciso, tutti lo chiamavano come il cane e nessuno più sapeva il suo nome.
E’ morto.
Operaio di sodiera, che cercava di sembrare un milord.
E l’unica cosa che ha lasciato è la sua silhouette sull’insegna di un negozio di abiti usati.
Il mischiatutto, mi pare.
Dove noi ragazzi compravamo i primi vestiti freak.
Dove  ho acquistato la mia prima giacca di tweed irlandese.
Chiuso adesso.
Come quasi tutto quello che ricordo.

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