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Cecco

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
24/09/2007

Castiglioncello sta scomparendo.
Inghiottita del cemento del suo porto turistico.
Non esiste quasi più.
Sono solo vecchi e bambini che girano per la pineta.
Ho amato Castiglioncello.
Ho passato lì tutte le mie estati.
Estati che iniziavano a giugno e finivano ad ottobre.
Estati che sono finite quando ero troppo grande per andare al mare con la mamma.
Ad aspettare la 124 del babbo che arrivava la sera.
Con il suo odore di caldo.
Di strade statali.
Di temporali ad Orciano.
Passavo le mie giornate in barca, sui flying junior del circolo.
O appoggiato al molo.
O sdraiato nel sole del Miramare, dove Sordi chiaccherava con Mastroianni e Matroianni, con Spadolini.
E Spadolini erano la barca dell’architetto, la pancia del ministro o le dita del chirurgo.
A seconda.
Esisteva allora uno strano tipo.
Girava con dei pantaloni da cavallerizzo.
Con lo sbuffo.
Degli stivali alti.
Da  nazista, nei nostri occhi di bambini.
Una camicia bianca.
Lercia.
Un foulard annodato al collo.
Per risparmiare un pò di unto al colletto.
Lo chiamavamo Cecco.
E si imbestialiva.
Bastava urlare Cecco che subito lui gridava:
"I’r_budello_di_to’_mà / I’becco_di_tù_pà / Ti pigjlio_pe’lle_trombe_d’ì_culo / E_ti_sbatacchio _’n_mare
[spazio per riprendere fiato]
A_me,_i_fiorentini_non_mi_sono_mai_garbati"
Non si chiamava Cecco.
Cecco era il cane del suo vicino.
Un cane che abbaiava sempre e non lo lasciava dormire.
Che era riuscito ad uccidere.
Con un appostamento di polpette avvelenate.
Un cane che morendo gli aveva lasciato il suo nome.
Perché dopo che lo aveva ucciso, tutti lo chiamavano come il cane e nessuno più sapeva il suo nome.
E’ morto.
Operaio di sodiera, che cercava di sembrare un milord.
E l’unica cosa che ha lasciato è la sua silhouette sull’insegna di un negozio di abiti usati.
Il mischiatutto, mi pare.
Dove noi ragazzi compravamo i primi vestiti freak.
Dove  ho acquistato la mia prima giacca di tweed irlandese.
Chiuso adesso.
Come quasi tutto quello che ricordo.

Dorme

4 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
22/09/2007

in un lago di orsacchiotti.
I pugni chiusi.
Abbracciata al suo angelo custode.

Un cane di nome Gesù: come una bella bambina può finire nel pio istituto per le fanciulle pericolanti

5 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
21/09/2007

Quando mia nonna è nata, a Firenze non c’erano né la luce elettrica né il gas.
E’ nata in pieno centro storico, in quelle strade che hanno conosciuto la penna di Pratolini e di Palazzeschi.
Accanto a lei viveva Tanfucio Neri e ricordava il calore fumoso della sua voce.
Quando il mio bisnonno morì, erano talmente poveri che lo portarono al campo santo su una seggiola.
Il bisnonno, fra l’altro, non era il suo babbo, ma  il signore che aveva accolto sua madre dopo che era stata cacciata di casa dalla suocera, per ragioni che – immagino per ragioni estetiche – non sono mai state esattamente illustrate ai nipoti.
Era una meravigliosa famiglia di anarchici.
Vecchio stampo.
Pare che il bisnonno si fosse innamorato di Bakunin da giovane, quando l’angelo nero si fermò a Firenze e fece il giro di tutte le famiglie che potevano soddisfare – gratis ma non amore dei – la sua notevole fame e la sua straordinaria sete.
Alla mia  nonna, qualcuno, si dice un parente di campagna, ma non si è mai capito quale, regalò un meraviglioso cucciolo.
Uno splendido bastardino.
Intelligentissimo.
La nonna lo chiamò Gesù.
E gli insegnò a rincorrere i preti.
Si è sempre raccontato di questi poveri preti che passavano da via Pietrapiana.
Del grido dei ragazzi: "Gesù, Gesù, dagli ai preti".
Il cane naturalmente rincorreva il povero prete.
Che, altrettanto naturalmente, scappava.
Finché un anziano prelato non fu morso.
Con più forza degli altri.
O forse, colpito nella sua dignità – pare che Gesù lo avesse addentato nel culo -, prese il morso con meno carità cristiana.
Di fatto, accadde che il prelato si rivolse ai carabinieri, i carabinieri portarono la nonna dal giudice, il giudice stabilì che la nonna doveva essere educata nel pio istituto per le fanciulle pericolanti.
Arrivata a questo punto, la nonna, che finora aveva riso nel ricordare il suo cagnolino, diventava triste.
Ricordava la mattina nella quale il cancello del collegio si era chiuso davanti alla sua mamma e le suore avevano tagliato le sue treccie bionde.

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