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Una separazione

18 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
17/07/2007

Non faccio mai l’avvocato.
Soprattutto non mi piace.
Non sopporto di entrare nei fatti degli altri.
Non tollero ricercare torti e ragioni.
Eppure qualche volta ci sono costretto.
Come oggi.
Stamane mi è toccato di accompagnare un mio amico nella causa di separazione dalla moglie.
Il tribunale è un insieme di corridoi vuoti.
Abitati dal caldo e da strani ed azzimati caimani.
Dal disordine dei fascicoli.
Dal dolore delle storie chiuse nei fascicoli.
Battute a macchina, con la distrazione di una dattilografa che non riesce a piangere dinanzi al dolore che le sue dita pigiano nella tastiera.
Il mio amico – potrebbe chiamarsi N – era disperato.
La moglie ha  un altro.
Glielo ha detto da molto tempo.
Ma non riesce a darsene pace.
Il corridoio lo ha guardato a lungo mentre aspettava.
La testa fra le mani.
Le mani dentro la testa.
La moglie lo guardava con pietà.
Come si guarda un uomo che non sa vivere il proprio dolore senza farlo vedere.
Come si guarda un disgraziato con gli occhiali da sole per sopportare la penombra.
Il giudice lo ha guardato a lungo.
Ha chiesto se voleva separarsi.
N ha risposto di no.
Che per lui era tutto a posto, anche se sua moglie aveva un altro.
Che avrebbe aspettato.
Che non c’erano problemi.
Il giudice ha detto che i problemi c’erano.
Perché se lui non voleva separarsi la separazione non poteva essere consensuale.
Allora lui ha risposto che si, voleva separarsi ed ha cominciato a piangere.
Come un bambino stanco che non riesce a dormire.
Con la stessa disperazione quasi assoluta.
E queste lacrime, sul suo vestito, che era il vestito del matrimonio, mi sono rimaste appiccicate addosso.
Mentre guardavo l’avvocato della moglie.
Una donna, vestita di bianco, perfetta per Forte dei Marmi.
L’aria un pò trascorsa.
Le caramelle di chi non riesce a non fumare.
L’abbronzatura che serve per poter portare un abito  bianco.
E mi sono chiesto – mi continuo a chiedere – come possa vivere di questo dolore.
Come possa vivere ogni sua giornata rincorrendo l’angoscia di amori che finiscono.
Di figli che entrambi i genitori vogliono.
Di cose che logorano il tuo corpo e non solo il tuo spirito.
Adesso torno alle mie pagine, alle mie riflessioni sulla dimensione costituzionale della proprietà.
Lontano.
Più lontano.
Da tutto questo.
E non riesco a non pensare che non sia umano abituarsi a quelle stanze, fare di mestiere quello che ho fatto per un amico, che non avrei mai fatto se N non fosse un amico, se non avessi ritenuto mio dovere accompagnarlo.
Se non avessi pensato che era necessario.
Umanamente necessario.
Però in fondo dovrebbe essere questo il mestiere dell’avvocato: essere amico di chi non ha amici ed accompagnarlo in un viaggio dentro alla propria miseria.
Forse.
Magari.
Ma non lo so.

Il terapista

4 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
11/07/2007

Stamani, come tutte le settimane sono andato dal medico della mia schiena.
E’ una schiena strana che ha bisogno di cure e di affetto, perché vuole diventare una canna di bamboo.
All’inizio questa cosa mi ha molto disturbato.
Poi ho capito che potevo sfruttarla.
E’ comodo poter dire ho mal di schiena e tagliare ogni discorso.
Soprattutto, è educativo, nel senso che educa lo spirito, essere costretto a fare ginnastica tutti i giorni, a prestare attenzione al mio corpo, a ascoltare i suoi messaggi.
Mi accompagna in questo viaggio interiore, in questo pellegrinaggio, il terapeuta.
Il terapeuta ha circa cinquanta anni.
Inizia a lavorare alle sei del mattino.
Siamo lentamente diventati amici.
Così sono diventato amico della sua sala di attesa.
I visi di una sala di attesa parlano continuamente.
Siamo quasi tutti malati cronici.
Ed ognuno reagisce in maniera diversa.
Tipicamente mi siedo con il computer in grembo e cerco di programmare la giornata di Ical.
Nel frattempo, osservo al di sopra dello schermo.
Lo schermo come una linea di ombra che mi separa dagli altri.
Stamane c’era una coppia che doveva decidere la terapia.
Nervosismo.
Tensione.
Sudore.
La malattia che non è ancora diventata una dolce compagna di viaggio.
Un modo per scoprire la propria capacità di vivere.
Mi hanno ricordato i primi giorni del mio male.
Quando ho scoperto che non si poteva curare e non lo accettavo.
Ho bruciato un amore su questa sensazione fredda di impotenza.
Non potevo amare se non ero capace di guarire.
Ho costruito – poi – due figlie sulla capacità di sopravvivere ad un dolore sordo e costante.
E ne sono felice.

Anche oggi

6 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
02/07/2007

sono salito sul treno di prima mattina.
Niente di nuovo.
Solo le faccie stanche di sempre.
Come sempre ho preso posto subito dietro la motrice.
E’ una abitudine.
Come sempre, ho tirato fuori il mio portatile dalla borsa ed ho continuato il lavoro del giorno prima.
Mi ha solo affascinato il carosello di zingare quando sono sceso.
Quegli abiti colorati che illuminano visi pieni di orgoglioso disprezzo.
Tutto qui, una immagine,
Sola.
In un post stanco.

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