Duplice violenza a Venezia
Il comandante dei vigili urbani di Venezia, commendatore del sovrano ordine militare di san Giovanni di Gerusalemme, Rodi e Malta e grande ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica italiana, è stato invitato a una sfilata di moda organizzata nella Tesa dell’Arsenale da Giorgio Armani.
C’è andato indossando per l’occasione l’uniforme di gala e per ben cinque volte è stato palpeggiato da un giovane sconosciuto che fra i quattrocento invitati della festa ha prescelto l’alto ufficiale come oggetto della sua deprecabile abilità manuale.
Il malcapitato comandante ha avvertito del proprio disagio il direttore generale del Comune ed è tornato a casa, senza denunciare l’evento, sarebbe stato difficile provarlo in un eventuale giudizio penale, e senza sfidare a duello il fellone, forse non gli è venuto in mente e comunque è vietato dal codice penale, per non disonorare l’uniforme.
Una volta arrivato a casa ha scritto un post su Facebook per denunciare l’accaduto e manifestare la propria comprensione nei confronti delle vittime di violenza sessuale.
E’ stato sommerso di commenti sarcastici ed ha ritenuto di sopprimere il post rivolgendosi alle agenzie di stampa che hanno dato ampio risalto all’evento evidenziando come il poveruomo fosse stato vittima di due violenze: la prima da parte del giovine che lo aveva palpeggiato nelle parti intime e la seconda dei lettori dei suoi post che lo avevavano sbeffeggiato non ritenendo che un uomo, un comandante di polizia locale, un commendatore e un cavaliere potesse essere vittima di violenza e degradando l’episodio a innocente goliardia degna di esser narrata da Pietro l’Aretino piuttosto che dal Boccaccio o da Casanova.
La tentazione di fare ironia è forte: il richiamo di una delle barzellette meno politicamente corrette degli anni ottanta in cui un vigile viene appellato Uvbano da un omosessuale che gli chiede informazioni stradali e lo minaccia di pubblica sottomissione, Uvbano, Uvbano era il ritornello della storiella da intonare in falsetto, l’idea del vigile urbano a Venezia che dirige il traffico con la ciambella e la paletta fra gondole e vaporetti, la stessa immagine del perfido giovinastro che tasta il deretano del grand’ufficiale al merito della Repubblica come estremo gesto di scherno verso la pubblica autorità, o di un gruppo di sghignazzanti vitelloni che lo circonda attentando all’onore della sua uniforme e quando si gira sdegnato agita il dito disegnando cerchi per aria a chiedere vediamo se capisci chi è stato, sono tutti spunti che animano spontaneamente e perfidamente la tastiera.
Ma, fermo lo sdegno per l’accaduto, per il duplice accaduto, e la solidarietà verso il disonorato comandante, siamo davvero sicuri che in questo caso il silenzio sia omertà e non piuttosto rispetto per la divisa che si indossa, il giuramento che si è fatto, le funzioni che si è chiamati a svolgere?
Perché forse il comandante dei vigili urbani di Venezia, il cui curriculum fa bella figura nelle pagine internet del Comune, non ha letto il passo di Hobbes in cui il filosofo scrive che il Re tutto può tranne che rendersi ridicolo e questo, in una democrazia, come in uno Stato assoluto, vale per ogni funzionario, anche se ha ragione di rivendicare la propria dignità ferita denunciando che persino un pingue uomo di mezz’età può essere vittima di violenza sessuale perché questo è l’accaduto e non vi deve essere spazio per alcuna ironia.