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Fiocco di Neve

2 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
04/10/2007

Non so come si chiami.
So solo che vive appoggiato ad un banchetto che vende trippa e lampredotto.
Nel pieno centro di Firenze.
Lo chiamano Fiocco di Neve o Chicco di Riso.
Perché è completamente stempiato.
Anzi, no.
Ha un terribile riporto che adagia sul colmo del capo.
Un riporto unto e bisunto.
Molto milordo.
Ed una forfora perenne, da campionato del mondo, che, quando si china, gli rende la testa simile ad una sfera di vetro con le gondole.
O con la casa di Babbo Natale.
Vive appoggiato a questo banchetto.
Aspettando che la pietà del gestore riempia il suo bicchiere.
Lo guarda a lungo.
E lo beve di un fiato.
Alla maniera di un alcolista cronico.
Oggi si è spostato.
Aveva i capelli tagliati di fresco.
Camminava con un energia strana nelle gambe.
Anche Fiocco di Neve potrebbe iniziare una nuova vita.

Piazza Savonarola

1 Comment/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
04/10/2007
Piazza Savonarola è una piazza idiota.
Quadrata.
In quello che fu il quartiere ottocentesco degli artisti.
E che oggi è un frinire di banche, studi legali, famiglie borghesi, o più che borghesi.
Piazza Savonarola sono i bimbi che si arrampicano sulla statua del predicatore rompicoglioni.
Immag044Di quel predicatore che bruciava i dipinti del Botticelli e che fu bruciato, alla fine, da una città che non è mai stata fortunata per i santi.
Piazza Savonarola è una realtà a strati.
Anziani con i badanti.
Bambini malati cronici che vengono portati con le loro carrozzelle da un ospedale non lontano.
Domestici, di ogni genere e colore.
Professionisti, più o meno affermati.
Bancari e banchieri.
I figli di quella borghesia che vive qui dalla fine dell’ottocento.
E così via.
Tutti questi strati si ricompongono intorno ad un chiosco.
Dove una sudamericana – improbabile e completamente alcolizzata – mischia mojito dalle sette di sera alle sei del mattino, bevendo birra Heineken in continuazione.
Piazza Savonarola sono le mamme che accompagnano i bambini.
E che si fermano a bere un aperitivo, fingendo che sia troppo forte, affettando di non essere abituate a bere.
E’ la mamma di una splendida bimba del colore del cioccolato.
Una donna coraggiosa.
Che quando si è accorta di essere incinta (è piuttosto robusta e se ne è accorta verso il quarto mese) ha convocato tutti e tre i partner del periodo fertile per dire loro che aspettava un bambino, ma non sapeva chi fosse il padre.
E uno di questi si è convinto di essere riuscito ad avere un figlio.
Le è stato accanto per tutta la maternità.
Fino al giorno in cui la pancia infinitamente sterminata ha prodotto la  bambina cioccolato.
Ed è andato via, direttamente dalla sala parto.
Senza più tornare.

Australia

3 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
04/10/2007

Ieri mi hanno scritto dall’Australia.
Mi ha scritto uno dei miei migliori amici.
E’ più giovane di me.
Non troppo.
Ma è più giovane.
Lo ricordo poco più che bambino.
In quei momenti in cui pochi anni separano un ragazzo da un uomo.
Ricordo una notte passata a parlare di tutto e di nulla.
Una orrenda bottiglia di grappa alla ruta che finimmo.
E che restituimmo per intero insieme ai nostri succhi gastrici.
E’ una di quelle persone in cui si può avere fiducia.
Incondizionatamente.
Persone rare.
E’ partito per l’Australia.
Ha deciso di emigrare.
Con la cartella di cartone di chi ha bisogno di realizzare i propri sogni.
Forse, nemmeno i suoi sogni.
Ma i sogni di sua moglie: giovane architetto in cerca di impiego, con una concreta prospettiva da desperate housewife.
Lui, in fondo, i suoi sogni li poteva realizzare anche da noi.
E’ un sistemista bravo e preciso.
Mi manca, anche se non ci sentiamo quasi mai.
Mi manca la sua dolce ingenuità.
Ed ammiro il suo coraggio.
Il coraggio di partire lasciando tutto alle spalle.
Per cercare lavoro.
Senza nessuna certezza, se non quella che se le cose vanno male sarà difficile ritrovare quello che si è lasciato.
Mi ha scritto che Sidney è un incrocio fra il centro di NY e l’america anni 50 di Paris Texas.
Quella america che Wenders ricostruisce come se tutto si fosse fermato negli anni 50.
E penso spesso a lui, nella speranza che i suoi sogni si avverino.

Il giovane Scaccabarozzi

1 Comment/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
03/10/2007

Il giovane Scaccabarozzi si è laureato prestissimo.
Con una media himalayana.
Ha vinto un premio prestigioso con una tesi dal titolo assurdo.
E’ diventato l’assistente prediletto del suo maestro.
Il giovane Scaccabarozzi, senza voler offendere la sua attenta suscettibilità di audace luminare del diritto, è sempre stato un perfetto leccapalle.
In quegli anni, lavorava in un sottoscala.
Accanto alla stanza del Professore, che naturalmente non era un sottoscala.
Con lo Scaccabarozzi lavorava un giovane avvocato.
Uno di quei tipi che scherzano sempre.
Alto quanto lo Scaccabarozzi è minuto, atletico quanto il fisico dello Scaccabarozzi è pallido e panciuto.
Un bell’uomo nella misura in cui lo Scaccabarozzi ha il fascino erotico di un repertorio di giurisprudenza del Foro Italiano.
Il Professore aveva una singolare abitudine.
Verso le otto andava sempre via da studio.
A cena, al cinema, ovunque.
Il Professore era un viveur.
Tornava verso le due a riprendere la macchina per tornare a casa.
Lo Scaccabarozzi appena il Professore usciva, chiudeva baracca e burattini e si catapultava dalla mamma, che gli preparava le fettuccine aglio e olio o il fegato con la salvia.
Tornava in studio verso mezzanotte, in modo da farsi trovare alla scrivania.
Chino sulle carte.
Pallido, illuminato da pochi watt, gli occhi consumati dalla febbre di piacere.
Il Professore lo trovava sempre lì.
Gli accarezzava il viso, con quella sua aria paterna – il Professore era bravissimo a sembrare un padre, quando era una merda – e lo invitava a tornare a casa, sapendo che lo Scaccabarozzi sarebbe restato.
Imperterrito uomo di marmo.
Un giorno, il suo collega, il giovane avvocato brillante che si è detto, si ruppe i coglioni della pantomima.
Caricò in macchina un orrendo troione dai viali.
Uno di quei mostri di rossetto e cerone che non si vedono quasi più.
Uno di quegli oggetti che portano addosso l’odore di mille sudori diversi.
Appena il Professore lasciò solo lo Scaccabarozzi, il collega spalancò la porta del sottoscala, infilò il troione nella stanza e chiuse la porta a chiave.
Fu così che lo Scaccabarozzi fu liberato dalle segretarie al mattino.
Chino sulle sue carte.
Il troione sdraiato per terra che russava il suo sonno osceno.
E fu così che la dedizione del povero Scaccabarozzi venne premiata con la notifica – a mezzo di pubblici proclami – di un decreto ingiuntivo per prestazioni corrisposte ma non godute.
Quel decreto ingiuntivo è stato affisso per anni all’albo degli avvocati.
Lo Scaccabarozzi non voleva ritirare la notifica.
In ogni caso, non passò molto tempo che la perfidia dello Scaccabarozzi, fra i cui pregi non vi è la disponibilità al perdono, fece in modo di allontanare il giovane avvocato dallo studio del Professore.

Un amico

5 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
01/10/2007

Lo conosco da molto tempo.
Ma non siamo amici.
E’ una delle persone delle quali si può dire: come mai ci conosciamo da così tanto tempo e non siamo amici?
Di solito c’è sempre una risposta.
Ed è una risposta corretta.
Dura ma corretta.
Ho avuto bisogno di parlargli.
Questioni professionali.
Un concorso.
Ho chiesto come stava.
Solito inizio di cortesia.
Mi ha risposto che stava male.
Mi ha colpito: io dico sempre che sto benissimo.
La verità, se non sto bene, è solo per gli amici.
Sono stato a costretto a chiedergli perché e se potevo essergli utile.
Mi ha allagato di parole.
La fidanzata – ha sessanta anni, ma chiama la compagna fidanzata – lo ha lasciato.
Da un giorno all’altro.
Gli ha inviato una mail dicendo che fra loro era tutto finito.
Non riusciva più a stare con lui.
Era indignato: dopo sette anni, non si può essere lasciati da un messaggio di posta elettronica.
Mi è venuto da rispondere che soprattutto era strano essere lasciati da un messaggio di posta elettronica a sessanta anni.
Ma sono stato educatamente zitto.
Mi ha detto di essere disperato.
Sai, mi dice, una donna alla mia età è importante. Ci si abitua. Ci si sforza di ricostruire una rete di affetti, quando tutto il resto è fallito.
Soprattutto, continua, adesso non ho più voglia di fare nulla. Prima mi piaceva uscire con le mie amiche, sapere che lei mi aspettava lo rendeva divertente. Adesso sono solo un termosifone caldo nel quale infilarmi. E non mi piace nemmeno più.
Ho manifestato tutta la mia comprensione.
Ho detto che lo capivo: non si può tradire senza amare, etc.
Ma ho capito la sua fidanzata.
Aveva assolutamente ragione.
Un messaggio di posta elettronica era più che sufficiente.

Girolimoni

2 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
29/09/2007

Non so quasi nulla di Girolimoni.
Solo una immagine rubata ad un film.
Un uomo su una carrozza in mezzo alla folla che urla e beve da un fiasco di acido muriatico.
Credo fosse un poveretto – un oste, un carrettiere, un emarginato? – che si trovò ad essere prima accusato ingiustamente di un delitto vergognoso eppoi scarcerato.
Ho negli occhi un uomo che dopo avere visto che cosa i suoi simili – il mare di patate animate descritto da Palazzeschi nel processo all’omino di fumo – potevano diventare si rifiuta di vivere.
Mi è rimasta l’ammirazione per la magistratura: chi accetta il peso di sorreggere una accusa che si può rivelare ingiusta, di esprimere una condanna che può essere sbagliata, merita la mia massima considerazione.
Non riuscirei mai a sostenere il peso del giudicare. Fatico a fare gli esami, figurarsi se riuscirei a decidere della libertà di un uomo.
Girolimoni mi è tornato in mente non solo perché uno dei miei migliori amici mi chiama sempre così quando guardo una ragazza più giovane dei miei quaranta anni.
Non solo perché provo nostalgia per questo mio amico e per tutta la nostra adolescenza consumata ad interrogarci sul perché le ragazze della nostra età considerassero solo i ragazzi più grandi di noi, mentre a noi le bambine non piacevano.
Ma per una conversazione rubata su un treno.
Lui, un magistrato di provincia, molto stimato: Non sai cosa mi è capitato.
L’amico: Cosa ti è successo?
Il giudice: una donna, disperata, si è rivolta ai carabinieri: il padre, anziano, molestava le figlie minorenni
L’amico: Accidenti!!
Il giudice: una situazione di povertà, emarginazione ai limiti dell’assurdo: cinque persone in due stanze. Un casermone popolare. Promiscuità. Sporco. Un vecchio davvero laido. Le bambine dormivano con lui …
L’amico: Che hai fatto?
Il giudice: Ho emesso una ordinanza con cui gli ho proibito di dimorare nel comune di residenza.
L’amico: Bravo
Il giudice: Dopo qualche giorno, si era subito prima della mia partenza per le vacanze, mi si è presentata la figlia. In lacrime. Non era vero nulla. Si era soltanto stufata del vecchio. Non lo voleva più in casa. Ma ora non sopportava il peso di averlo mandato via. Delle chiacchere dei vicini. Della sua disperazione. Del suo vagabondare, senza fissa dimora
L’amico: Bel tipino
Il giudice: Ho subito revocato l’ordinanza. Per fortuna
L’amico: Per fortuna?
Il giudice: Si, per fortuna: il vecchio si è ammazzato il giorno dopo, appena tornato a casa. Si è impiccato. Sai che casino se si ammazzava mentre era sottoposto alla mia ordinanza.
Mi sono alzato.
E Girolimoni ha cominciato a tornarmi in mente.
Con assiduità.

Una donna

9 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
27/09/2007

Estate.
Capalbio.
Classica estate di Capalbio.
Le solite persone.
I soliti poderi.
Le solite spiaggie.
Una cena.
Tutti si conoscono.
Lui e lei non si conoscono.
Sono stupiti di non conoscersi.
Una conversazione cortese e lenta.
Il giardino per guardare le stelle, annusando la notte.
Lei è affascinante.
Occhi grigi, capelli neri.
Esile, quasi efebica.
La solitudine del giardino diventa imbarazzante, lei chiede di essere accompagnata a casa.
Lui la accompagna.
Un vecchio podere, il camino mai acceso, dei divani, una poltrona.
Odore di vacanze.
Di polvere e vacanze.
Lui si siede.
Lei si spoglia.
Lentamente.
Inizia a toccarsi.
Spiega che preferisce così, che si eccita solo toccandosi, che adora toccarsi mentre viene guardata.
Lui è perplesso.
Abituato a vedere senza guardare, si sforza di guardare.
Una volta, due volte, poi ancora.
Ma è stanco.
E si addormenta.

Il prof. Aurelio Scaccabarozzi

6 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
25/09/2007

Per lunghi anni, sono stato l’assistente del prof. Aurelio Scaccabarozzi.
Uomo apparentemente mite e, soprattutto, gaffeur inimitabile.
Ricordo un esame.
Gli esami si svolgevano secondo una liturgia consolidata.
Gli assistenti, fra cui io, facevano le prime due domande.
Il prof. Scaccabarozzi, l’ultima.
La prima parte dell’esame terminava con un biglietto che lo raccontava al professore.
L’esame che racconto aveva per protagonista una perfetta capra.
Non aveva studiato nulla.
Non capiva niente.
Soprattutto era una capra a cui mancava una esatta metà del volto.
Imbarazzante carenza.
Ricordo il mio sforzo di non mostrare nessuna emozione.
Sul biglietto scrissi le domande, commentai con un "non sa nulla, deve tornare" aggiunsi di prestare attenzione all’aspetto fisico.
Lo Scaccabarozzi, ammucchiato di carte e libretti, si vide arrivare libretto e studentessa contemporaneamente. Non alzò la testa, lesse il biglietto.
Poi, però, il suo sguardo si sollevò sulla poveretta.
Fece un salto sulla sedia e disse: "oh lei, che ha fatto?"
La studentessa, "nulla, ci sono nata".
Lo Scaccabarozzi, "allora va bene così".
La studentessa, "no, non va bene per nulla".
L’esame terminò con ventisette e un "avevo paura di rivederla" che il professore mi sussurrò, quasi scusandosi, mentre offriva il rituale caffé degli assistenti a metà mattina.
Fu allora che decisi che quando sarei diventato professore avrei fatto tutti gli esami personalmente.
E così faccio ancora oggi.

Le inventrici della fica

9 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
24/09/2007

Hanno la fronte alta.
Spaziosa, inutilmente.
Incedono, anziché camminare.
Dominano lo spazio.
Lo sguardo attentamente ritoccato.
La bocca che non sorride mai al di là delle estreme frontiere della chirurgia estetica.
I denti, odontotecnici fili di perle.
Convinte del potere della loro invenzione taumaturgica.
Attente a cercare di trasformarla nella definitiva scoperta di chi le circonda.
Arriva  un giorno, perché quel giorno arriva sempre, nel quale si scoprono vecchie.
E diventano belle.
Di una bellezza tragicamente patetica.
Di un dolore sfiorito.
Ma è difficile coglierle in quell’attimo.
Prima che la loro resa diventi insopportabilmente aspra.

Cecco

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
24/09/2007

Castiglioncello sta scomparendo.
Inghiottita del cemento del suo porto turistico.
Non esiste quasi più.
Sono solo vecchi e bambini che girano per la pineta.
Ho amato Castiglioncello.
Ho passato lì tutte le mie estati.
Estati che iniziavano a giugno e finivano ad ottobre.
Estati che sono finite quando ero troppo grande per andare al mare con la mamma.
Ad aspettare la 124 del babbo che arrivava la sera.
Con il suo odore di caldo.
Di strade statali.
Di temporali ad Orciano.
Passavo le mie giornate in barca, sui flying junior del circolo.
O appoggiato al molo.
O sdraiato nel sole del Miramare, dove Sordi chiaccherava con Mastroianni e Matroianni, con Spadolini.
E Spadolini erano la barca dell’architetto, la pancia del ministro o le dita del chirurgo.
A seconda.
Esisteva allora uno strano tipo.
Girava con dei pantaloni da cavallerizzo.
Con lo sbuffo.
Degli stivali alti.
Da  nazista, nei nostri occhi di bambini.
Una camicia bianca.
Lercia.
Un foulard annodato al collo.
Per risparmiare un pò di unto al colletto.
Lo chiamavamo Cecco.
E si imbestialiva.
Bastava urlare Cecco che subito lui gridava:
"I’r_budello_di_to’_mà / I’becco_di_tù_pà / Ti pigjlio_pe’lle_trombe_d’ì_culo / E_ti_sbatacchio _’n_mare
[spazio per riprendere fiato]
A_me,_i_fiorentini_non_mi_sono_mai_garbati"
Non si chiamava Cecco.
Cecco era il cane del suo vicino.
Un cane che abbaiava sempre e non lo lasciava dormire.
Che era riuscito ad uccidere.
Con un appostamento di polpette avvelenate.
Un cane che morendo gli aveva lasciato il suo nome.
Perché dopo che lo aveva ucciso, tutti lo chiamavano come il cane e nessuno più sapeva il suo nome.
E’ morto.
Operaio di sodiera, che cercava di sembrare un milord.
E l’unica cosa che ha lasciato è la sua silhouette sull’insegna di un negozio di abiti usati.
Il mischiatutto, mi pare.
Dove noi ragazzi compravamo i primi vestiti freak.
Dove  ho acquistato la mia prima giacca di tweed irlandese.
Chiuso adesso.
Come quasi tutto quello che ricordo.

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