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La tela di Penelope

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
11/01/2020

Penelope è una reggia vuota del suo re

Sono quelle stanze occupate da mille persone

Penelope sa benissimo come si riconosce un re

Un re pone il suo onore nel meritare fiducia. Ha il coraggio di esserci quando si ha bisogno di lui

Un re marinaio sa condurre la sua nave verso il porto, sa che navigare è riportare tutti i marinai che hanno messo la loro vita nelle sue mani alle loro case e lui per ultimo

Ulisse sapeva navigare, aveva il coraggio delle colonne d’Ercole, il coraggio di andare oltre il confine del mare e, soprattutto, di tenere la rotta quando il mare ribolle di sirene che chiedono solo di dimenticare una direzione, abbandonare la bussola, lasciarsi trasportare dalle onde, scomparire

Ulisse sapeva come si tradisce, sapeva usare l’astuzia dell’attesa, trasformare l’intelligenza in un tranello e in un inganno, perché un re vince le guerre, conquista il bottino di sangue che è la schiavitù di chi si è lasciato ingannare, di chi ha voluto l’inganno pur di finire una guerra, la morte per non aspettare la vita che si consuma dentro un assedio

Penelope aspetta il suo re nelle stanze del castello, finisce i suoi occhi al telaio, tesse come se non ci fosse nessun assedio, come se la nave di Ulisse non si incrociasse nel deserto mediterraneo con i lutti di Enea, non naufragasse nella ricerca di acqua, non soccombesse alla sordità dei banchetti di Didone

Si prostituisce all’assenza perché chi occupa la reggia non è un re ma sa offrire lo spazio di una gioia nel vuoto incavo della sua vagina secca di sale e lontane tempeste. Ama quei pretendenti. Di ognuno ama qualcosa. Di tutti ama il destino: morire di freccia, per mano di Re, morire perché la gioia di una regina deve soccombere al ritorno del suo signore

Nemmeno Omero, però, ha scritto cosa hanno fatto Ulisse e Penelope dopo quella strage danzante, dopo quelle frecce che hanno trafitto il cuore di coloro che avevano amato Penelope, di coloro che Penelope non aveva mai amato e ai quali aveva prostituito il suo bisogno di essere sazia e sola, di essere regina e vedova di un niente che sbiadiva il ricordo della sua anima

Non lo ha scritto perché non c’era più niente da raccontare. Perché Ulisse non ha solo trafitto il cuore di chi era colpevole di non essere amato. Perché alla fine Ulisse non poteva restare a Itaca, Itaca non poteva contenere i mari che lui portava dentro

Ulisse non è tornato a Itaca per restarci, è tornato perché aveva bisogno di Penelope per completare il suo viaggio. Per partire verso un dove che non conosce né ritorni né approdi.

 

Parole cancellate

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
08/01/2020

Solo parole cancellate

dal silenzio religioso

di una prostituta

in viaggio con il suo scudiero

 

L’inverno degli uomini e l’ultima rosa dell’anno

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
01/01/2020

L’inverno degli uomini assomiglia a quello delle piante

Ci si spoglia progressivamente di ogni emozione e sentimento

Fino a restare nudi

Il quieto sole della notte e la gioia immobile delle stelle intraviste da un letto che non è più nemmeno ricordi o rimpianti

L’egoismo del sangue che continua a scorrere anche se non bastano le coperte per scaldare un cuore vuoto

Eppure solitarie rose spuntano nel roseto ormai spoglio

Solitarie e coraggiose perché le rose nascono per fiorire

Le rose

Non gli uomini

Non questo uomo che ho paura di ritrovare nella parte più profonda dei miei occhi.

Il segreto del bosco magico

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
26/12/2019

Una donna, nera come la notte, indossa un serpente come una condanna nel giardino dell’Eden

Fiori

Uccelli magici

Il bosco magico

La sua notte è il suo serpente,

Una collana, un collare

Non tutte le donne conoscono la parte più oscura e vera del loro essere

Ancora meno sanno come coniugare quella notte al giorno

Sanno riempire il giorno con la forza della notte

Un serpente che non possono dimenticare e che è l’unico abito con cui si può entrare nel bosco magico.

La guerra degli scarafaggi

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
18/12/2019

Mi ritrovo solo con la mia nausea

Solo di una solitudine di scarafaggio

Spaventato dello scarafaggio che è davanti a me, della sua forza

La forza degli scarafaggi è la solitudine spaventata di chi li osserva

Sa di doverli prendere in mano e lo scarafaggio sa di fargli schifo come solo uno scarafaggio

Vive di questo schifo, ama questo schifo, perché gli scarafaggi fanno schifo sapendo di fare schifo, amando lo schifo che fanno

Gli scarafaggi vincono le guerre

Sono brutti e schifosi ma vincono le guerre

Approfittandosi del fatto che si amano come solo uno scarafaggio si può amare

Penso tutto questo mentre osservo lo scarafaggio e suo padre

Che mi odiano, come solo loro sanno odiare.

Perché vogliono che anche io diventi uno scarafaggio

Penso a Kafka

Senza conforto.

Parole che sfuggono

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
15/12/2019

Parole che sfuggono dalla bocca

Briciole di pensieri e ricordi sdentati

Tempo perso cercarle ancora

Tempo perso raccogliere le tessere di un mosaico consunto

delle memorie che si diramano in ferite di fuoco liquido

Non c’era speranza quando c’era un futuro

Non c’è speranza quando l’unico futuro è l’attesa di dimenticare il passato.

Martini al mattino

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
13/12/2019

Mattino pisano.

Lungarno, molto vicino al Rettorato.

Bar.

Vedo il Coffey Gin di Nikka. Non riesco a non chiedere un martini cocktail.

Il mio amico chiede un succo di pomodoro condito.

Il barista confessa di non avere succo di pomodoro e chiede che cosa può portare al suo posto.

La tipa che sorseggia il caffé al banco alza lo sguardo:

Porti una cosa da ‘briachi anche a lui…

Il futuro del passato

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
12/12/2019

Il futuro cambia.

Ogni minuto.

Lo sanno gli artistici aruspici e gli stanchi amanti.

Le scatole di tabacco e le lampadine colorate che osservano i sogni dei bambini.

La nostalgia del passato non è onesta. L’adolescenza è un’affresco spremuto da dolori inestimabili e brufoli nel suo infinito presente e un ricordo struggente quando è il passato di un uomo di mezz’età.

Non si rimpiange quell’insieme di amori sfuggenti e poesie lette con l’apparecchio in bocca.

Si rimpiange quello che allora era il futuro. Un’ombra dolce che rendeva conforto alla luce accecante e spaventosa del presente.

Il passato, il vero passato, non è quello che è accaduto. Quello resta. Non abbandona il presente. Lo continua a graffiare fino a che non è nebbia e, forse, dimenticanza.

È il futuro che non è stato e che non sarà mai. Quello è nostalgia senza ombra. Luce senza colore. Odio di sé.

Il canto dei sassi sulla battigia

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
03/12/2019

Il mare parla con voci sempre diverse.

Perché sa che lo ascoltano uomini che si sono persi: feriti inutili, innocenti che aspettano un’altra strage, persone che si fermano al margine della battigia con talmente tanto nulla dentro il cuore da trovare il tempo per aspettare la voce del mare.

Parlano anche i ciottoli sul margine di una spiaggia di sassi, rotolando gli uni accanto agli altri, squassati dalle onde.

Avremmo potuto essere felici

Dicono mentre si incontrano, un attimo prima di essere trascinati via ancora una volta per sempre.

Avremmo potuto essere felici se la crudele tempesta non ci avesse fatto incontrare solo per portarci via.

Li sente solo chi ha la stessa voce.

Li sento.

Tramonto di Venere

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
02/12/2019

È angoscia senza amnistia.

Solitudine di sommerso silenzio.

Inquietudine di inquisizione.

Rimpiango il rimorso.

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