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Sclavi contro Tolkien

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
04/02/2025

L’attuale sorellanza di governo si identifica in Frodo (Giorgia), il tormentato portatore dell’anello, e Sam (Arianna), il suo fedele servitore che lo chiama Padron Frodo e non gli fa mai mancare un pasto caldo, persino durante l’ascesa al Monte Fato.

Più in profondo, si identifica nella visione di Elemir Zolla che, nella sua prefazione all’edizione Rusconi del Signore degli Anelli, uscita nel 1970, dopo che Elio Vittorini e Aldo Sereni avevano espresso un giudizio negativo per Mondadori, accenna a due modi di intendere l’antico: scimmiottarlo, ironizzando, come Mark Twain nel Cowboy alla tavola rotonda, o prendendolo sul serio fino a impregnarsi dei suoi valori.

Il Signore degli Anelli parla di un mondo diviso in due: da una parte, il male di Sauron e, dall’altra, la serenità molto benpensante degli Hobbit per i quali un caminetto e l’erba pipa sono la felicità.

Il vero protagonista del Signore degli Anelli è Sauron che vuole l’anello del potere per legare a sé uomini ed elfi ed è Sauron che giustifica l’avventura di Frodo e dei suoi compagni.

Qui, forse, sta il problema: se Giorgia Meloni è Frodo, chi è Sauron?

La Schlein? Conte? Renzi? I sindacati? La magistratura?

In realtà, Sauron non esiste perché la funzione di governo, intesa come indirizzo politico, ha come scopo trovare punti d’incontro capaci di unire tutte le forze che concorrono a comporre la nostra ancora fragile democrazia.

Eppure il Signore degli Anelli è un mito potente: nell’età del tramonto delle ideologie consente alla destra di governo di mostrare un orizzonte ideale, una direttrice di senso, per quanto più apparente che reale.

Si consiglia alle sinistre di pensarci bene.

C’è un fumetto che potrebbero adottare: Dylan Dog.

Lì i mostri, in fondo, sono buoni, basta saperli guardare.

P.s.

Taiani e Salvini lottano per Aragorn…

Frodo non va al Twiga (Colpirne uno per educarne cento)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
02/02/2025

Della Santanché si dicono sempre più o meno le stesse cose: nasce, politicamente, con Cirino Pomicino (Daniela non è capace di vergognarsi, il commento dell’antico mentore sulla ex giovane allieva), cresce come consulente di Albertini, cui porta voti in una lontana elezione a sindaco di Milano, entra nel circuito di Berlusconi e la si vede correre con la Pascale, intima di La Russa, (ri)entra in Fratelli di Italia e suona stonata in quella compagnia di giro che considera il passato del Fronte della Gioventù innamorato di Evola come una parte essenziale del curriculum.

Dopo di che si parla dei suoi guai giudiziari, della società Visibilità, di Dani Immobiliare S.r.l., del compagno Dimitri Kuntz di Lorena, ma forse solo Dimitri perché i Lorena pare non siano felici di essere accostati a questo personaggio, dell’acquisto di una villa a Forte dei Marmi da un Alberoni non più troppo capace di intendere e di volere e della sua rivendita su compromesso.

Insomma l’attuale ministro del turismo è un personaggio che nella compagnia dell’anello non può sentirsi troppo a proprio agio: quelli portano l’anello senza indossarlo per paura di diventarne schiavi, la Santanché gli anelli non li tiene certo nel cassetto e neppure li avvolge in uno straccio mentre scala il Monte Fato.

Arianna Meloni ha definito la sorella Presidente del Consiglio come Frodo Baggins.

Se fossimo nel Signore degli Anelli, la Santanché non sarebbe un hobbit, è troppo elegante, sarebbe uno degli ultimi elfi della Terra di Mezzo e Meloni_Frodo la aiuterebbe a partire per Valinor, il lontano regno cui gli elfi fanno ritorno.

Ma non siamo nel Signore degli Anelli e la Santanché fa parte della Compagnia dell’Anello che il Presidente del Consiglio ha scelto per scalare il Monte Fato.

Difficile capire perché: Santanché non ha molto in comune con l’ideologia delle Meloni, sicché le spiegazioni possono essere almeno due: una, facile: Fratelli di Italia ha una classe dirigente estremamente ridotta e le Meloni sono state costrette a fare quel che potevano con il materiale umano che avevano a disposizione. L’altra, forse troppo raffinata: se sei di destra, sai che a destra ci sono più Santanché che militanti di Colle Oppio e reduci di Acca Laurentia e sei costretto a fare i conti anche con loro. In questa situazione, se sei un militante vero, uno di quelli che ci credono in buona fede, uno come le Meloni, sei costretto a valorizzare anche questo cleavage, malgrado non ti convinca per nulla, e, allora, scegli una come la Santanché che ti permette, a un certo punto, di sbarazzartene, di farla partire per il regno di Valinor, senza troppi rimpianti.

Colpirne uno, educarne cento.

Non è nel Signore degli Anelli edito da Bompiani, ultima edizione 2023. Ma ci sarà in quello pubblicato dalla Presidenza del Consiglio.

Rock cougar

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
31/01/2025

ROck Cougar

E’ morta, a 78 anni, Marianne Faithfull.

Ha avuto una vita glamour e terribile: era la donna di Mick Jagger ai tempi di Sympathy for the devil, è sprofondata negli abissi dell’eroina trascinandosi per Soho e suonando all’uscita della metropolitana, è riemersa ed è stata capace di tornare in sala di registrazione, disintossicarsi, invecchiare e impersonare Maria Teresa d’Austria nel film della Coppola su Maria Antonietta.

Era bella. Di quelle bellezze che a vent’anni strappano il cuore ma che sanno invecchiare, sanno sfiorire come una rosa che quando perde i fiori è perché ne nascono altri, diversamente ma ugualmente belli.

Mattarella non gioca a tennis

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
29/01/2025

L’artificiale intelligenza cinese non vuole parlare di piazza Tienamnen. L’intelligenza artificiale di Altman si rifiuta di elaborare l’immagine del Presidente della Repubblica Italiana mentre gioca a tennis.

Difficile scegliere fra chi ha paura dei dissidenti e chi teme l’ironia.

Ma quello che fa pensare (pensare è una parola importante, diciamo che sofferma le meningi) è la reazione dei media al rifiuto di Sinner di passare dal Quirinale.

L’altoatesino è stanco e non si vuole fermare a Roma sulla strada del rientro a Montecarlo. Non ne vede il motivo e si scusa educatamente.

La notizia trapela senza indugio (non dall’entourage di Sinner: non vi aveva interesse, ma, forse, da ambienti vicini al Quirinale che aveva motivo di essere infastidito dal rifiuto) e i giornali tuonano contro il tennista.

In un certo senso è giusto: il Capo dello Stato rappresenta l’unità nazionale oltre l’indirizzo politico e rifiutare un suo invito è sottrarsi alle proprie responsabilità di cittadino. In ogni suo compito, il Presidente della Repubblica esercita una funzione di unità sviluppando i vettori di senso attraverso i quali è possibile costruire una comunità politica coesa al punto da tollerare le spinte centrifughe dei diversi orizzonti ideologici che convivono (non solo) nella dialettica parlamentare. I cittadini quando vengono a collaborare a questa funzione presidenziale non vi si possono sottrarre senza mancare al proprio dovere di fedeltà alla repubblica.

Nello stesso tempo, però, è anche triste che il Capo dello Stato, questo poveruomo, absit injuria verbis, che instancabilmente cerca di costruire la nazione con equilibrata e pacata saggezza, sia costretto a cercare la collaborazione di Sinner per svolgere la propria funzione: la crisi della dimensione politica costringe i Presidenti della Repubblica a unire la nazione oltre la dimensione delle decisioni pubbliche e dei valori costituzionali.

Chiedere a Sinner di capire tutto questo, però, è sicuramente troppo

Chi li ha sciolti? (Per scrivere non è inutile saper leggere)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
28/01/2025

Ci sono dei colleghi che, a un certo punto, più o meno comprensibilmente, smettono di scrivere.

Sembra una posizione ragionevole: chi ha studiato davvero molto si accorge che è complicato avere qualcosa da dire che non sia già stato detto o che possa essere un significativo passo in avanti nel settore.

In realtà, si tratta, spesso, di una sorta di analfabetismo di ritorno. Hanno semplicemente dimenticato come si fa a scrivere.

Capita che, però, improvvisamente, uno di questi colleghi, uno che ha smesso di scrivere da anni, che si può ragionevolmente pensare non sappia più scrivere da quanto tempo è passato dall’ultima, non eccelsa, invero, prova che ha dato di sé, pubblichi un articolo, su un tema indubbiamente marginale ma di un certo spessore, su di una rivista priva di interesse scientifico.

Ecco, allora, ci si avvicina a questo articolo che il non più giovane studioso ha voluto promuovere su tutti i social nei quali è presente, e ci si accorge che sicuramente non sa più scrivere e che altrettanto sicuramente ha anche disimparato a leggere.

Certe cose si possono scrivere solo se non si è letto niente del tanto che è stato scritto su quell’argomento.

Un perfetto citrullo, avrebbe detto il prof. Grossi di cui questo collega ebbe a frequentare le lezioni.

Ma anche lui, sicuramente, è stato dimenticato.

Ne danno il triste annuncio

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
27/01/2025

I necrologi sono una forma di letteratura affatto particolare.

In apparenza, si limitano a un annuncio con una comunicazione: si annuncia la morte di X e si comunica data e luogo dei funerali per consentire la partecipazione al lutto.

Oltre l’apparenza, si possono notare molte cose dalla scrittura di un necrologio: chi è che ne dà notizia, chi partecipa al lutto, gli aggettivi utilizzati per condensare la personalità del defunto nell’ultimo saluto.

Ci si può divertire a osservare lo stato di famiglia del defunto e dei suoi aventi causa.

Ma il necrologio più bello è quello che segue l’annuncio della vedova inconsolabile che comunica la morte dell’adorato marito con un secco: “Non ti dimenticherò mai. Olga”.

Ma sicuramente era uno scherzo.

La Medea del Midì

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
25/01/2025

Il mito di Medea è estremamente complesso da decifrare: una madre che uccide i propri figli per vendicarsi del marito non può essere una figura positiva e Medea non ha ucciso solo i suoi figlioli.

Lo si poteva comprendere nell’Atene della Guerra del Peloponneso facendo uso di categorie assiologiche che noi non possediamo.

Medea è una semidea che decide di farsi donna per amore di Giasone.

Per Giasone abbandona la sua patria, la tradisce, perde la verginità, partorisce, uccide e quando viene abbandonata fa quello che non si deve fare. Massacra quei figli che erano gli eredi di Giasone, che sarebbero restati con lui, lo priva della discendenza.

Medea non accetta di essere una “fattrice”, può essere madre, ma non la madre dei figli di colui che ha amato e che non la ama più.

Nello stesso tempo, Medea compie il suo destino. Se ne è appropriata quando ha deciso di aiutare Giasone a conquistare il Vello d’Oro. Lì ha deciso di non essere chi avrebbe dovuto e di essere chi lei voleva essere. La nemesi è il tradimento di Giasone. Gli dei puniscono chi si ribella al proprio destino. Medea non lo accetta e sceglie la propria punizione più profonda, sceglie di diventare definitivamente folle come una donna che uccide il frutto del proprio seno. Con questo gesto, Medea si ribella una seconda volta al proprio destino: ha lasciato i luoghi in cui poteva essere se stessa, adesso abbandona se stessa, abbraccia la follia dell’omicidio più terribile perché per un genitore non esiste un dolore più grande del dolore del proprio figlio e se una madre uccide i propri figli, uccide se stessa.

Non c’è niente di moderno o di arcaico in Medea: c’è solo una tragedia dannatamente umana, la tragedia di una donna che si ribella al proprio destino e per non accettare le conseguenze della propria ribellione compie il più terribile dei suicidi decidendo di sopravvivere ai propri figli che uccide uccidendo la propria umanità.

Medea è una donna divisa: potrebbe essere una principessa di un luogo felice e vivere nell’ombra di un drago, ma Afrodite la condanna a innamorarsi di Giasone e diventa regina perché sa essere strega. Quando viene ripudiata, resta solo strega, una strega capace di completare il ripudio di Giasone ripudiando anche la propria umanità.

C’è ancora da studiare e, probabilmente, è anche inutile farlo: non capiremo mai chi era Medea per Euripide, ci limiteremo ad ascoltare la potenza di questo mito che era una fiaba per uomini diversi da noi, che pensavano diversamente, si davano risposte diverse a problemi antichi.

Insomma la sensazione che si ha rileggendo Medea è che se tutti i miti sono un modo con cui generazioni e generazioni di uomini condividono delle strategie di risposta alle questioni più profonde che si agitano nelle loro anime costruendo un inconscio collettivo, questo mito parla a generazioni che sono cenere da più di duemila anni.

Chiedere a Medea di parlare oggi è come usare lo stradario di Firenze per orientarsi a Milano: via Cavour è anche lì ma non è la strada che si sta cercando.

Fa ridere, allora, scoprire sul diario liceale di Bimba Piccola che ha preso sei nel tema in cui la professoressa di greco le ha chiesto di leggere attraverso il mito di Medea la storia di madame Pelicot.

Madame Pelicot è una vittima di una situazione familiare degradata e di un certo modo di intendere il sesso in cui un marito ritiene di poter offrire la moglie a terzi reclutati su siti in cui altri mariti offrono le proprie mogli che, consensualmente, accettano di essere offerte.

Ha avuto il coraggio di denunciare questa forma di violenza.

Ha avuto la forza di rivolgersi a Creonte che ha fatto quello che fa ogni Creonte: ha condannato applicando la legge nell’interesse della società.

Medea non si è rivolta a Creonte: quando si è accorta di essere tradita ha ucciso se stessa uccidendo i propri figli. Ha preso in mano la sua vita e ha deciso che niente doveva sopravvivere nella più estrema delle ribellioni.

Penso più o meno questo mentre prendo atto del sei di Bimba Piccola che, non senza un certo spirito polemico, ha scritto che il tema non aveva senso perché madame Pelicot è una donna che crede nella civiltà delle buone maniere e del diritto, mentre Medea è stata una strega che tutto questo lo ha fatto a pezzi e cucinato nel suo calderone.

Ma soprattutto penso che Bimba Piccola avrebbe fatto meglio a scrivere che madame Pelicot e Medea sono due vittime del patriarcato, che così avrebbe fatto felice l’ignoranza della sua insegnante.

Però è la figlia del suo babbo.

 

Nani e ballerine (Gli uffici di diretta collaborazione)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
12/09/2024

Molti hanno sorriso della liason fra il ministro e la organizzatrice di eventi.

Poi ci si è resi conto che dietro quell’affare c’era un ufficio ambito dalla organizzatrice e promesso dal ministro.

Adesso ci si deve chiedere che cosa sia esattamente quell’ufficio.

E’ regolato dall’art. 14, secondo comma, d.lgs. 165/2001: il regolamento che disciplina l’organizzazione di un ministero può istituire gli uffici di diretta collaborazione del ministro che servono per interconnettere la sfera di direzione politica con la sfera di attuazione amministrativa. Questi uffici sono composti di personale che al giuramento del nuovo ministro deve essere confermato entro trenta giorni, altrimenti il rapporto decade automaticamente.

Il regolamento che si è appena richiamato dovrebbe essere ai sensi dell’art. 17, legge 400/1988 un decreto del Presidente della Repubblica, ma questa fonte è stata sostituita dal decreto del Presidente del consiglio dei ministri.

Cambia perché sul primo è necessario sia il parere del Consiglio di Stato che quello della Commissione parlamentare competente nonché la registrazione della Corte dei conti.

In ogni caso, la fuga dal decreto del Presidente della Repubblica è segnalata da tempo nella dottrina più avveduta.

Il Ministero della cultura è disciplinato dal d.P.C.M. 15 marzo 2024, n. 57 che tratta degli uffici di diretta collaborazione all’art. 32.

Possono essere nominati quindici consiglieri di elevata specializzazione a pagamento e quindici a titolo gratuito.

Il ministro Sangiuliano ne ha nominati nove a pagamento e nove a titolo gratuito.

La somma complessiva impegnata per quelli a pagamento conta 290.000 Euro.

Per gli altri, ci sono i rimborsi spese.

A che cosa servono i consiglieri?

Se il loro ruolo è quello di imprimere alle burocrazie ministeriali la forza riveniente dall’indirizzo politico governativo, è difficile capire le funzioni di un consigliere per la deontologia culturale o di quello per le tradizioni popolari, per fare due esempi.

Se, invece, il ruolo fosse quello di assicurare l’efficacia delle politiche in materia culturale facendo sì che l’azione amministrativa sia condivisa con gli esponenti del mondo della cultura, allora,  acquista un minimo di consistenza il consulente per la danza o quello per il recupero e la restituzione dei beni culturali.

In ogni caso, resta davvero difficile capire perché così tanti consiglieri al ministero dei beni culturali e solo ascensoristi a Palazzo Chigi.

Ma questa è davvero un’altra storia.

 

Idalberto (inganno di infanzia)

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10/09/2024

E’ un ricordo di infanzia e ha il sapore gigante delle cose viste da un bambino di tre anni cicciottello e con gli occhi storti.

Abitava sotto di noi a Castiglioncello in quella casa che è stata felice come tutte le case al mare e infelice come tutti i luoghi in cui la famiglia che mi ha generato ha dimorato alcun tempo.

Era alto e innamorato della moglie argentina, Corinna.

Trasformò la benda che curava il mio strabismo in un travestimento da pirata. Erano gli anni del Corsaro Nero e dell’Isola del Tesoro, ma anche della marmellata di fichi e delle caramelle Rossana.

Gliene fui grato.

Mi raccontava della guerra perché era stato paracadutista a El Alamein e quei racconti mi colpivano moltissimo: erano così diversi dalle storie di deportazione e confino dei miei nonni.

Aveva una figlia maoista di cui non parlava volentieri ma questo per me non aveva importanza: nulla immaginavo dei sogni che allontanano i genitori dai figli e ancora non li temevo.

Il suo babbo si chiamava Torello e i capelli della sua mamma sapevano di nonna buona.

Oggi ho trovato in una libreria usata un suo libro di poesie: tenere e decadenti. Mai avrei pensato che scrivesse poesie.

E’ un libro magico perché lui è uscito fuori da quelle pagine e io sono tornato quel bambino che lo ascoltava affascinato, ancora una volta pieno di gratitudine per la gioia che mi ha portato in dono.

La mia infanzia, per qualche attimo, ha avuto più il sapore dei brigidini che mi portava da Lamporecchio che di quella famiglia che mi ha generato come un tribunale che consegna al carnefice un rompicoglioni la cui innocenza è affatto irrilevante.

Qui non si fa la storia (Genny e Rosy)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
09/09/2024

Ci sono uomini che fanno la storia, uomini che vivono mentre si fa la storia e ci sono molti che mentre qualcuno fa la storia si fanno gli affari loro.

Il ministro Sangiuliano (Genny per Maria Rosaria che, forse, per lui, era Rosy ma questo lei ancora non lo ha rivelato) potrebbe appartenere a una di queste categorie – o a un’altra più adeguata a un uomo della sua levatura: marito infedele e amante fedigrago, ministro cui il Presidente del consiglio ha confermato la piena fiducia e ministro piangente più della Madonna di Pompei quando deve lasciare lo scranno, uomo attaccato dalle lobbies del cinema di cui avrebbe danneggiato gli interessi ma capace di una raffica di nomine in extremis che nemmeno Cirino Pomicino.

E’ difficile non provare per quest’uomo la stessa umana pena che ha manifestato colui che di Rosy è stato il legittimo consorte senza serbarne un piacevole ricordo: vive con la moglie un rapporto logorato dalla consuetudine di due persone che sporcano le stesse lenzuola per un periodo prolungato, sparge la voce nei luoghi di lavoro che quel rapporto – in cui sta benissimo pur senza provare quelle eccitazioni che alla sua età dovrebbero far parte del patrimonio clinico dell’urologo e non dei consigli del farmacista – è ridotto a una mera convenienza, corteggia chi manifesta per lui una predilezione da macchinetta per il caffè (sorrido a chi ha la chiavetta perché voglio risparmiare gli spiccioli), è sufficientemente ingenuo da pensare che se una donna di vent’anni più giovane lo segue mostrandogli affettuosa familiarità sia ispirata dagli stessi sentimenti dell’amante dell’aviatore descritta nei romanzi di Liala che leggeva sua nonna.

Ma tutto questo non è interessante quanto la mente di Rosy: nella sua intervista, così diversa dalle lacrime di Genny, fra un’allusione e l’altra, sembra voler apparire una donna che si vendica dell’amante che non ha mantenuto le promesse: mi avevi detto che con tua moglie era finita e che saresti venuto a vivere con me, non lo hai fatto ed io allora racconto tutto alla legittima consorte, sembra voler rivendicare un diritto alla verità che sarebbe stato leso.

Peccato che della donna ingenua e maltrattata dalla scaltrezza della maschile cupidigia Rosy non abbia il phisique du role, esattamente come Genny non somiglia molto a Alain Delon, anche se forse lo ha pensato, sicché la pietra dello scandalo, quella che Di Pietro evocava dicendo che si doveva seguire il denaro, è la carica a titolo gratuito di consigliera per i grandi eventi dapprima promessa e successivamente revocata dal ministro infedele.

Perché è così importante una carica a titolo gratuito?

Questa è la domanda vera e non riguarda solo il ministero per i beni culturali ma l’intero sistema di governo: se nessuno fa niente per niente, e di solito è così, perché se Genny difficilmente poteva pensare che Rosy fosse rimasta colpita dalla profondità tenebrosa del suo sguardo, ancora più difficilmente poteva pensare che facesse qualcosa a titolo gratuito, allora una carica a titolo gratuito è remunerata in un modo diverso da quello che appare sul sito del ministero.

Il consigliere a titolo gratuito, si può immaginare, è la persona cui il ministro affida per un certo periodo di tempo il compito di elaborare la politica del ministero in un determinato settore, in questo caso: i grandi eventi, ovvero il G7 della cultura di Napoli. Una volta che la sua nomina è formalizzata o comunque conosciuta tutti coloro che sono interessati alle decisioni che saranno adottate in quel determinato settore sanno su chi fare leva per vedere valorizzati i propri interessi e se il consigliere a titolo gratuito è persona di mondo, la sua visione dell’interesse pubblico potrebbe essere più vicina a quella che fu di Mazzarino che non a quella che caratterizzava Bismarck.

La cosa interessante dell’Affare Sangiuliano non è il ministro che piange alla televisione perché ha tradito la moglie e nemmeno la fidanzata che rivendica il proprio diritto alla verità, è il materiale di quella che una vera opposizione avrebbe trasformato in una inchiesta parlamentare: quali viaggi ha fatto il ministro con la sua collaboratrice a titolo gratuito? chi hanno incontrato insieme, ovvero a chi il ministro ha presentato la collaboratrice? chi la collaboratrice ha incontrato successivamente? E così via, perché i social di Rosy non erano nati come strumenti di pressione e ricatto ma come strumenti di autopromozione.

Ma ci si preferisce chiedere se Genny ha pagato o no il ristorante a Rosy e, d’altra parte, i consiglieri del principe non sono una invenzione di questo governo.

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