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Notte al fosforo: se anche le lucciole muoiono di vergogna

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
28/07/2019

Ci sono notti fosforescenti. Il buio prende fuoco. Le emozioni, radianti al napalm

, entrano nel cuore e lo trafiggono. L’anima delle baccanti sa quando è arrivato il momento di salutare. Senza la nuda inquisizione dell’addio

. Ci sono notti che sono piombo fuso. Bruciano il cuore finché non sente più nulla. Solo il peso del metallo affonda l’anima

. In queste notti, trecentotrentadue anni dopo, un pittore tedesco di nome Jean Philippe Möeller, si affaccia ancora alla finestra di via del Corso, vicino a Palazzo Ruspoli. Guarda impazzire il carnevale. Libertà e licenza perdono il loro equilibrio. Il buon umore odora di vomito vinoso e disinfettante per pagine vuote

. Quello che il pittore tedesco non ha scritto nel suo diario ed ha lasciato sul davanzale della finestra è una immagine rossa e fosforescente. Incendia la notte come fosse la propria casa. Quella immagine di lucciola smarrita gli resta appiccicata dietro gli occhi. Bruciata di vergogna quando la danza ha trasformato le vergini in menadi perché anche l’amore odorava di vomito vinoso e disinfettante per pagine vuote

. Le lucciole sono fatte così. Illuminano l’attimo che le dissipa in atomi di impalpabile vergogna e detestano la propria luce. Troppo incomprensibile e complessa per non essere fatta della stessa sostanza della notte di cui si alimentano fino al prossimo addio

; che non sarà più dolce

.

Sant’Anna

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
27/07/2019

Sant’Anna è il 26 luglio.

È il ricordo di fuochi d’artificio a Quercianella. Lontani nel caldo di una terrazza che sembrava contenere tutto solo perché c’era un cocomero e la gazzosa.

Di una carrozzina spinta sotto il sole perché qualche volta i grandi si ricordano di quando non camminavano.

Delle fette di pane spesso imbevute di vino e zucchero e dei gialli dei ragazzi in una edicola d’angolo sulla piazza di Castiglioncello.

Di un padre che appariva nel fine settimana e puzzava di sudore e della vilpelle dei sedili della 124 beige che ho sempre rimpianto.

Oggi che è morta non bastano questi ricordi per dimenticare che io l’ho amata di un amore assoluto e diseredato come il suicidio di un sogno.

Signorina è una espressione temeraria

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
23/07/2019

Alle sette, non manca già nessuno.
Il popolo della sala d’aspetto si è accomodato al suo posto.
All’apertura del cancello è sciamato come all’ingresso di scuola. La stessa inutile fretta. Incomprensibile perché le maestre assegnano il banco al cominciare dell’anno e così è qui dentro: il banco delle urgenze, il banco dei diabetici, il bando dei prelievi comuni e quello dei cronici.
Non c’è nessun bisogno di avere fretta, ma fa parte della stessa idea di assembramento il bisogno di passare avanti, di arrivare prima e qui il prima è mostra della propria sofferenza, della propria vecchiaia affamata di dolore. Quel dolore che fa sentire vivi perché la vita è speranza e il dolore apre il cuore alla speranza del sollievo. Chi soffre spera senza sosta di stare meglio, di riuscire a respirare senza affanno, chi ha sofferto non sta mai bene perché in quell’istante teme di tornare a stare male, sa che tornerà a stare male. Gode di questo spazio in cui può riuscire a passare avanti (sto un po’ peggio di voi) e magari a lasciare indietro chi sta peggio di lui/lei perché la sofferenza degli altri fa sempre compagnia e dà un grande sollievo, come una coperta carica di pulci per un mendicante che singhiozza di freddo.
L’ecosistema è tutto qui.
Manca solo la “signorina” dietro il banco.
Non ho idea di chi abbia avuto l’idea di definire “signorina” la cortesia più o meno sgraziata che siede davanti al computer dell’accettazione. E’ una definizione crudele.
Lo sottolinea il tipo che viene brontolato perché non si era accorto di essere chiamato, non aveva colmato lo spazio fra il suo banco e la cattedra nel tempo che gli era stato assegnato.
Accetta il rimprovero a testa bassa, ma poi alza gli occhi: “Signorina …, certo che signorina, nel suo caso, è davvero una espressione temeraria”

Il dolore dei titani

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
12/07/2019

La fine, certe volte, è un porto sicuro

Altre il nero del mare, quando non è speranza di fondo

La sostanza del mito non è il vigoroso canto di Omero o l’elegiare assorto di Ovidio

E’ il fitto dolore dei titani, la loro orrenda essenza, prima che l’inutile speranza li travestisse nei docili dei dell’Olimpo.

Crisalidi e miti

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
10/07/2019

I miti sono sguardi capaci di trasformare le cose in storie e le storie in crisalidi

Ogni mito è una crisalide che nasce da uno sguardo che ha visto cose diverse

Ha trasformato una storia in una miniera di farfalle

Una miniera donata alla umanità che sa ascoltare

Lo sguardo del mito, però, diventa cieco

Si consuma

Smette di vedere quello che vedeva, di raccontare una idea dentro una storia capace di contenere altre idee

Come scrivere Ti amo su una panchina, dura quanto la vernice può durare al tempo e quando lo sguardo finisce, non c’è molto da aggiungere al mestiere di vivere.

Cassandra: la fine del viaggio

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
09/07/2019

Cassandra guarda il mare e, finalmente, non vede niente

Non vede più Apollo che le sputa sulle labbra perché lei, bambina, non avrebbe voluto vedere il futuro

Non pensa più che sia un dono maledetto vedere ciò che accadrà ed essere condannata a non venire creduta perché altrimenti il futuro non potrebbe più essere

Non vede più un cavallo cavo che rimbomba di armi e scudi e un popolo in festa che lo accompagna ebbro di rovina

Non pensa più che quel cavallo portava eroi e criminali, assassini intelligenti e vanaglorie d’imprese sanguinarie

Non vede più il tempio di Pallade Atena, il suo stupro, lo sguardo della dea che si distoglie dal sacrilegio, il piccolo Aiace che la penetra con l’ansia di chi violenta un sogno, di chi ha conquistato il diritto di violentare un sogno

Non pensa più che Aiace Oileo, di lì a poco, sarebbe naufragato con la sua nave, che gli dei gli avrebbero graziato la vita, solo per guardarlo aggrappato a uno scoglio gridare che neppure il mare era capace di rubargli la vita e, in quel momento, lasciare a un mostro marino il compito di divorarlo.

Perché questo aveva fatto paura a Cassandra, dal primo momento.

Non la preveggenza.

Non il feticcio cavo a forma di cavallo escogitato con astuzia d’Ulisse.

Non l’orgia di saccheggio che avrebbe ucciso tutti coloro che aveva amato e con cui desiderava vivere e nemmeno lo stupro sull’altare di una dea che tutto questo aveva consentito.

Ma sapere che penetrarla sarebbe stato tutt’uno con l’essere divorati da un mostro.

Via del Vaiolo

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
04/07/2019

Via del Vaiolo puzza di ricordi morti e pagine strappate

Una parca vende quaderni che non finiscono perché le prime pagine si cancellano quando si è arrivati alla fine

Chi comincia da capo ha il coraggio di scrivere sopra se stesso come se fosse una pagina bianca

Bisogna avere scritto tanto per arrivare dove non si può non andare oltre

Ma se in via del Vaiolo, ci si capita per l’ironia del caso o la stupidità del viaggio, la solita parca vende solo quaderni normali, ai quali si possono strappare pagine, senza più nulla poter aggiungere

I quaderni di chi non ha il coraggio di scrivere sopra la propria vita

E’ avara di vita la parca di via del Vaiolo. Finge di essere generosa tagliando il filo che ha tessuto con il movimento pigro, indifferente ed elegante della cortigiana che sa aprire le gambe allontanando la bocca dalla futilità dei baci.

Occhiate

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
21/06/2019

Sono pesci le occhiate

Pesci che mangiano tutto

Stanno sotto le barche

Aspettano il cibo come mendicanti evangelici

Si avventano sul mio mozzicone di toscano

Lo divorano

Ricordano i matti di San Salvi

Un pomeriggio di tanti anni fa

Dentro un giardino circondato da sbarre

I ragazzacci fuori

Lanciavano sigarette accese

Che i matti mangiavano

Guardavo allora insieme a un frate cappuccino che li scacciava

Mi chiese chi fosse il matto

Pensai che la follia vive e si alimenta della compassione e non delle cicche che le sono compagne

Restando in silenzio.

Tacchi giavellotti

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
16/06/2019

Le donne che lanciano il giavellotto hanno un fisico particolare.

Può non piacere ma colpisce.

La stessa cosa vale per alcuni tacchi.

Non tutte li possono indossare come non tutte possono lanciare il giavellotto o il disco.

Sono quelle scarpe con il tacco stretto e lungo non troppo diversi da un cacciavite.

Ci vuole un fisico apposito non tanto per ragioni estetiche ma perché esigono caratteristiche fisiche non comuni e un grande spirito di sacrificio.

Cose che mancano del tutto in quelle povere signore che infilano a forza la loro menopausa in sandali e gambaletti color carne.

Bach era un violinista

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
08/06/2019

Isabel Faust

Secondo Carl Philipp Emmanuel Bach, Johan Sebastian Bach era un violinista eccezionale.

Sapeva suonare molti strumenti, ma quando era al violino la sua voce sapeva essere chiarissima, scandire tutte le note e guidare perfettamente il coro degli altri strumenti.

Lo penso mentre ascolto le suite per violoncello disegnate da Pierre Fournier. Fournier ha un modo unico di suonare Bach. Ne accarezza lo spirito. Con esatta dolcezza. Nessuno, non Tortelier, non Brunello, non Rostropovitch, ha mai saputo eguagliare l’eleganza algida di Fournier.

Mentre penso questo continuo a domandarmi perché un violinista eccezionale abbia composto pochissimo per violino e moltissimo per strumenti, il violoncello, la viola, il clavicembalo, che si accompagnano al violino.

Finalmente capisco. Bach componeva per gli altri. Non scriveva la musica del suo strumento. Scriveva la musica per gli strumenti con cui amava dialogare. Non si scrive per sé stessi. Si scrive per gli altri. Si scrive quello che si vorrebbe ascoltare nel silenzio delle proprie parole.

Bach aveva capito che non si scrive solo quello che si vuole che gli altri ascoltino ma soprattutto quello che si desidera ascoltare.

Oggi, forse, ho capito ancora meglio perché amo Bach, Johann Sebastian.

Perché la sua musica insegna ad amare, con l’altruismo di un violinista che scrive musica per quasi ogni altro strumento conosciuto, ad eccezione di quello che lui sa suonare alla perfezione.

E ringrazio Isabel Faust di avermelo fatto capire.

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