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La fiducia sulla legge elettorale: Gentiloni non è De Gasperi

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11/10/2017

Fiducia sulla legge elettorale

Le opposizioni hanno denunciato la decisione del governo come politicamente e costituzionalmente scorretta e le diverse anime della maggioranza si sono trovate in imbarazzo: nei giorni scorsi il governo aveva più volte fatto capire di non avere alcun desiderio di far diventare la legge elettorale un elemento del proprio programma.

Sul piano costituzionale, il Governo può porre la fiducia sulla legge elettorale.

Tutti rammentano il precedente di De Gasperi che pose nel 1953 la questione di fiducia sulla legge truffa, anche se pochi sottolineano la distanza fra De Gasperi, che al termine della prima legislatura repubblicana voleva un premio di maggioranza per governare da solo la seconda legislatura, e Gentiloni, che ha sempre tenuto un profilo lontano dalle dinamiche di lotta elettorale e si è sempre distinto dal segretario del partito di cui fa parte.

La legge elettorale come oggetto di una mozione di fiducia

Il governo si è impegnato a dimettersi nel caso in cui non venisse approvata una legge elettorale che è identica per Camera e Senato e prevede:

  • un voto unico a ciascun elettore che vale come opzione per un pacchetto formato da un candidato in un collegio uninominale e una lista bloccata corta in una circoscrizione plurinominale;
  • se più liste sono collegate a un solo candidato uninominale, i voti attribuiti al candidato uninominale vengono divisi fra le liste in proporzione ai voti complessivamente ricevuti da ciascuna lista;
  • coalizioni omogenee sul piano nazionale;
  • alla Camera, 232 collegi uninominali; 12 collegi esteri, in cui non cambia nulla; 386 seggi che vengono suddivisi proporzionalmente fra le liste con il metodo del quoziente e uno sbarramento del 3% per le liste e del 10% per le coalizioni;
  • al Senato, come alla Camera, ma la somma è fra 112 (senatori uninominali); 6 (senatori stranieri) e 193 (senatori proporzionali).

Si può discutere a lungo della ragionevolezza di questo sistema elettorale.

Dal punto di vista di chi scrive, non è ragionevole un voto unico per un pacchetto inscindibile formato da un candidato uninominale e una lista proporzionale: sono due logiche di voto diverse, perché una guarda alla persona e l’altra alla formazione politica. Ma mi pare una tecnicalità.

Questo sistema elettorale certifica il termine della stagione della ingegneria elettorale, in cui si cercava di risolvere il problema della governabilità con una formula elettorale.

Con questo sistema, la governabilità diventa una questione parlamentare e torna centrale il ruolo del presidente della repubblica come facilitatore e organizzatore di maggioranze politiche.

Da questo punto di vista non sembra inappropriato che Gentiloni ne sia lo sponsor.

La fiducia nella tattica parlamentare

La fiducia nella tattica parlamentare evita il voto segreto, perché deve essere votata a scrutinio palese e per appello nominale; determina il contingentamento dei tempi e, perciò, la riduzione del numero degli interventi ; fa cadere gli emendamenti.

Il contingentamento dei tempi e la riduzione degli interventi non sembrano un problema: il nostro parlamento non ha bisogno di discussioni sterili. Ha bisogno di interventi rapidi ed efficaci, coerenti con una stagione in cui il dibattito politico ha più la forma del tweet che quello di un discorso di Cavour.

Gli emendamenti sono, soprattutto in materie politicamente incandescenti, più uno strumento di ostruzionismo che non di dialogo.

Il voto palese è un valore perché permette al popolo di conoscere il comportamento dei propri rappresentanti e gli agguati dei franchi tiratori agevolati dal voto segreto non sono la parte migliore della nostra storia parlamentare.

Tuttavia anche il voto segreto è un valore e non soltanto perché assicura la libertà di coscienza del votante ma soprattutto perché impedisce agli elettori di sapere chi ha votato quella legge elettorale e quindi rende la legge elettorale il risultato della volontà popolare e non di una maggioranza storicamente determinata, come sarà in questo caso.

Così è stato fino all’età di Craxi per il voto finale sulle leggi e così, forse, sarebbe il caso che continuasse ad essere anche per leggi come quella elettorale che tendono a conformare la forma di governo.

Ponendo la questione di fiducia, oggi e non nel 1953, il Governo Gentiloni ha dichiarato che la legge elettorale è un problema che deve essere risolto dall’indirizzo politico di maggioranza, esattamente come fece nel 1953 De Gasperi suscitando un’aspra reazione da parte di Togliatti e del movimento socialcomunista.

La novità è che la scelta di De Gasperi mirava a un sistema parzialmente maggioritario e orientato verso una governabilità monocolore.

La scelta di Gentiloni è orientata in direzione diametralmente opposta.

Gentiloni non è De Gasperi (anche se De Gasperi era di casa a Palazzo Gentiloni)

Gentiloni non è De Gasperi.

Non ha posto la questione di fiducia su una legge elettorale che mira a favorire la formazione di maggioranze stabili e coese per effetto del voto degli elettori.

Ha posto la questione di fiducia su una legge elettorale che appartiene al DNA del suo governo perché colloca il baricentro della formazione delle maggioranze di governo fra il parlamento e la presidenza della repubblica.

Il vero senso di questa ipotesi di legge elettorale, se venisse approvata, è il termine della stagione politica in cui si intendeva restituire lo scettro al principe attraverso marchingegni di ingegneria elettorale e il ritorno a una politica che si fa fra le segreterie dei partiti e i gruppi parlamentari, incontrando talvolta e quasi per disavventura il confronto elettorale.

Ma i tempi sono cambiati e questa ipotesi di legge elettorale potrebbe assomigliare a quel che fu il congresso di Vienna non tanto per Napoleone ma per i moti rivoluzionari del 1848.

I pensieri politicamente scorretti di una Bambina Impertinente (Il Lontra)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
10/10/2017

http://cjalcor.blogspot.it/2012/08/fino-una-cinquantina-danni-fa-cerano.html

Il lontra viene chiamato così perché sostiene di avercelo come questo animale e lo ripete :

Ce l’ho come una lontra…

E’ il tempo in cui i maschi hanno l’ossessione delle misure e le femmine li guardano con divertito disprezzo.

Bimba Impertinente non lo sopporta e lo considera un mentecatto.

Però non è facile azzittirlo.

La soluzione è la terribile mamma di Lapo e, soprattutto, fruttivendola al mercato centrale, che sente il ritornello all’ingresso di scuola e dice, veloce come se fossero appena arrivati i porcini:

Chi l’ha lungo se lo tira

Poi si accorge che la mamma del Lontra lo ha munito di una sciarpina e aggiunge:

E a te, a furia di tirartelo, t’è venuto anche il torcicollo

Il poverino arrossisce mesto come un disco di jazz scandinavo e si dice che da quel giorno abbia ricominciato a cantare le canzoni dello Zecchino d’oro.

Pericolose assonanze: il Lombardo Veneto alla prova di un referendum catalano

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09/10/2017

Il referendum catalano e la legalità costituzionale

1 – Il problema dell’indipendenza catalana, o più propriamente della via catalana all’indipendenza, non può essere visto come una questione di legalità costituzionale.

Un referendum che ha per oggetto la rottura del patto territoriale e l’indipendenza di una frazione del territorio è di per sé incostituzionale.

Questo, però, non significa che non si può fare, significa solo che funziona se riesce a diventare un fatto costituente di un nuovo ordinamento giuridico e gli ordinamenti giuridici nascono con la forza di chi li impone, non attraverso procedure democratiche.

In altre parole, non ha molto senso interrogarsi sui numeri della consultazione catalana.

Ha senso chiedersi che cosa succederà quando sarà dichiarata l’indipendenza: il governo Spagnolo ha solo l’uso della forza per restaurare la legalità e la nazione catalana può rispondere all’uso della forza da parte del governo spagnolo solo con il diritto di resistenza.

Vincerà chi avrà la forza di imporre la propria volontà all’altro e, comunque, perderà la costituzione spagnola e la stessa idea di legalità costituzionale.

Sotto questo aspetto, il referendum catalano non ha niente a che vedere con il referendum lombardo veneto sull’autonomia regionale, che si svolge su di un quesito che è stato avallato dalla Corte costituzionale.

Il significato politico del referendum catalano

2 – Il vero significato politico del referendum catalano riguarda la volontà di una collettività ricca di partecipare con la propria ricchezza al benessere dell’intera nazione.

Il problema, che è comune alle tensioni che emergono in tutta Europa, riguarda il significato della solidarietà come fondamento di una comunità nazionale, alla quale si partecipa perché si ritiene che sia giusto contribuire con il proprio benessere alla eguaglianza di chi è meno cittadino di noi perché ha meno possibilità di noi.

I doveri di solidarietà sono uno dei fondamenti della sovranità statale, forse uno dei fondamenti più forti e necessari: si è cittadini di uno Stato nel momento in cui ci si rifiuta di accettare l’idea che altri cittadini siano meno fortunati di noi e si è disposti a sacrificare una parte del nostro benessere per rimuovere gli ostacoli che impediscono a questi cittadini di godere dei nostri stessi diritti.

E’ questa idea di solidarietà statale che tende a logorarsi sempre di più e che deve invece essere promossa.

Qui, forse, chi ha maggiormente contribuito al logoramento dell’idea di sovranità statale fondata sulla solidarietà, è stata l’Unione europea e la considerazione dei valori eurounitari all’interno della politica economica che è tipica del patto di stabilità e crescita.

Il patto di stabilità e crescita costringe chi è più ricco a subire il peso di chi è più povero, indebolendo i valori politici della politica economica.

Le delibere consiliari e di Giunta che hanno approvato i quesiti nel referendum lombardo veneto enfatizzano il concetto di residuo fiscale, inteso come differenza fra il gettito fiscale generato dalla regione e la sua ricaduta sul territorio.

Sotto questo aspetto, il significato politico del referendum lombardo veneto è molto simile a quello catalano: tramonta una idea di comunità nazionale fondata sulla solidarietà.

Il pericolo dei concetti vaghi

3 – Il quesito referendario su cui il popolo lombardo veneto sarà chiamato a pronunciarsi il 22 ottobre 2017 è assai vago: si chiede ai cittadini se vogliono maggiore autonomia e le relative risorse, nell’ambito di quanto consentito dall’art. 116, terzo comma, Cost.

E’ talmente vago da far giudicare non molto ragionevole il voto: se si applicasse la giurisprudenza costituzionale sulla necessaria omogeneità e chiarezza dei quesiti, perché necessaria a dare un significato univoco alla consultazione popolare, sarebbe facile dire che il referendum non è ammissibile.

Però, al di là delle sottigliezze giuridiche, non è per niente vago il suo significato politico che riguarda la destinazione del residuo fiscale delle regioni più ricche a favore delle regioni più povere.

Forse, l’esito del referendum è scontato: nessuna persona ragionevole può votare contro una richiesta di maggiore autonomia e di maggiori risorse.

Il punto, però, non è questo.

Il punto è la credibilità dello Stato centrale nella costruzione delle decisioni di finanza pubblica. Le decisioni di finanza pubblica sono credibili se sono esercizio di una rappresentanza che sa trasformare dei valori politici improntati alla solidarietà in una manovra economica.

Se questa credibilità manca, cade il progetto statale e non perché ci sono spinte antisistema e degli indipendentismi venati di demagogia, ma perché la sovranità statale non riesce a essere espressione di valori condivisi da parte della collettività.

E’ la sfida che la Spagna ha perso con il referendum catalano ed è molto difficile che sia vinta in Italia il prossimo 22 ottobre.

Purtroppo.

 

 

Bella Livorno

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05/10/2017

Da una parte, il mare unisce ciò che la terra divide.

Dall’altra, chi offre del cibo ai gatti è… una testa divisa a metà, se così posso scrivere.

Nel mezzo, un’unica mente, se così posso dire, pensando che per fortuna in mare non ci sono gatti.

Chi li ha sciolti? (Negrobus)

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04/10/2017
Uomo diversamente colorato che usa l'autobus

Negrobus sul 22

Il Negrobus è l’immigrato da mezzi pubblici. Una particolare categoria di extracomunitario nota a tutti i pendolari.

Con l’avvertenza che i negrobus non sono solo originari dell’Africa subsahariana. Ci sono negrobus rom, cinesi e anche italiani.

La domanda che non riesco a non pormi ha per oggetto il biglietto che tiene fra i denti.

Nasce da anni passati sul Feccia Nera, il treno che unisce Pisa a Firenze ma anche Firenze a Pisa e consente a Montelupo, Empoli, San Miniato, Santa Croce, Pontedera e Cascina di non essere ingoiati da un universo parallelo.

Sul Feccia Nera i negrobus viaggiano solitamente senza biglietto.

Quando il controllore li ferma, scendono dal treno. Aspettano il successivo e prima o poi arrivano a destinazione senza mai fermarsi alla biglietteria.

Questo ha il biglietto e lo tiene in bocca ostentamente, come un osso.

Lo fa per dire:

Sono diverso da tutti gli altri e pago il biglietto

Oppure sta lanciando una sfida:

Chi ha il coraggio di controllare il timbro su un biglietto sbavato?

Quando non avrà più paura del buio

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
03/10/2017

Bimba Piccola ha sempre avuto paura del buio.

Ha paura di quel viaggio al termine della notte che porta dalla sala da pranzo alla stanza della musica.

Ha paura di addormentarsi perché non esiste un telecomando dei sogni.

Ha perfino paura di tirare lo sciacquone dopo avere fatto la cacca perché le fogne sono piene di mostri blu.

Quando la paura entra fra le sue lenzuola, Bimba Piccola corre, piccoli passi che sembrano castagne nel vento d’autunno, si stringe sulle mie spalle per non svegliarmi ed io faccio finta di continuare a dormire.

L’insonnia del mattino diventa gioia seguendo la traccia dei suoi sogni nel suo respirare lieve e profondo.

Bimba Piccola ha paura del buio,

Io, di quando non ne avrà più.

Voglio credere in Babbo Natale e nel Topino che compra i denti dei bambini

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
29/09/2017
CicognaBabboNatale

Per il topino dei denti

Bimba Piccola ha perso due denti.

Non ha ancora finito di perdere i denti.

Li ha messi sotto il bicchiere e ha messo il bicchiere sopra il comò della Povera Mara che è un ponte fra dimensioni parallele.

Ha aggiunto un biglietto, per scriverlo ha chiesto la stilografica del padre, comunicando che siccome i denti erano due, uno sconto sarebbe stato accettato.

E’ una persona pratica.

Bimba Impertinente ha sorriso impertinente, scatenando la reazione di Bimba Piccola:

Voglio continuare a credere a Babbo Natale e anche al topino dei denti…

Nessuno ha detto nulla e non c’era niente da dire.

Dopo non molti minuti, la stessa bambina ha chiesto:

Per fare un figlio sono sempre necessari i maschi? Io ne farei anche a meno. All’inizio sembrano divertenti, però poi che noia…

Nessuno ha detto nulla.

Non è facile da spiegare (A proposito dei concorsi truccati)

3 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
28/09/2017

Concorsi Truccati

Non è facile da spiegare il problema dei concorsi truccati per l’accesso all’insegnamento universitario nel settore del diritto tributario.

Non è facile se si conoscono, per varie ragioni, molte delle persone coinvolte in questo affare e di alcune si è più che amici e si intende sostenere una tesi controcorrente.

Non fare l’inglese

L’inizio di tutto è una registrazione in cui il maestro spiega all’allievo che non potrà vincere il concorso e che, in questa situazione, per evitare la bocciatura è preferibile lasciar cadere la domanda.

L’allievo ritiene di non meritare una bocciatura, cerca di resistere, il maestro gli dice di non fare l’inglese, perché la mamma dell’allievo è inglese e lo è anche la sua cultura.

Sono cose che non si dicono e non perché non si devono dire ma anche perché non si devono fare.

Non si può dire a una persona di rinunciare a un concorso per ragioni di opportunità tattica diverse dal merito e dai valori in gioco perché non si può alterare – in un concorso – la logica del merito e dei valori in gioco.

Ritirarsi in un concorso può essere meglio che essere giudicati negativamente e se l’allievo avesse corso il rischio di essere respinto con un giudizio negativo dalla Commissione, il suo maestro lo avrebbe dovuto avvertire e consigliare di ritirarsi.

Non dicendo che era il più bravo, dicendo che altri erano più bravi e spiegando – con la necessaria autorevolezza – le ragioni per cui l’allievo correva il rischio di non essere giudicato positivamente.

In tutto questo, c’è un’avvertenza che, forse, chi ha trascritto le intercettazioni e le ha generosamente girate ai giornali ha ignorato. Nel linguaggio dell’università, non solo quella italiana, le parole non esprimono mai il significato che hanno nella vita comune. Quando ti viene detto che hai studiato e che sei una persona intelligente, ma che avevi bisogno di completare la tua preparazione, ti viene semplicemente detto che devi tornare al prossimo appello. Ma con la cortesia che ti evita di sentirti umiliato dalla bocciatura e che consente a chi ti ha interrogato di proseguire senza dover ascoltare le tue proteste.

Sicuramente non era questo il caso, ma vale la pena segnalare questa possibilità, visto che l’intercettazione è stata captata a Firenze e chi teorizzava questo modo di respingere gli studenti più pigri era il maestro dell’autore della frase incriminata, almeno secondo certe fonti orali.

L’anatomia dello scandalo

Lo scandalo è nelle parole di uno dei decani della materia: il prof. Augusto Fantozzi. Si dovrebbe creare una cupola che sia di garanzia per tutti coloro che intendono accedere alla carriera universitaria.

Qui il discorso è particolarmente complesso e rischia di essere più controcorrente di un salmone a pois.

Chi decide di fare la carriera universitaria decide di investire qualche decina di anni della sua vita su una strada che potrebbe non arrivare in nessun luogo e lo fa perché ci crede.

Ci sono due cose che deve dimostrare: di essere in grado di affrontare un problema scientifico in maniera seria e originale e di essere in grado di insegnare ai suoi studenti in maniera seria e comprensibile.

Il resto sono, onestamente, baggianate che possono essere considerate secondarie rispetto a questi due doveri.

Non si dimostra di essere degli scienziati e dei professori in pochi giorni e un concorso, probabilmente, rischia di essere illusorio, perché premia la persona che ha avuto la fortuna di trovare una traccia fortunata e non quella che ha studiato seriamente per tutta la vita ma è incappato in una giornata di febbre alta.

Dal punto di vista di un maestro, un concorso rischia di travolgere anni di lavoro e di premiare una persona che appena vinta la cattedra scompare, perché fare il professore è come fare il prete: ci si può ammazzare di fatica ma si può anche non fare nulla per tutta la vita incassando uno stipendio magro ma certo.

Per il precario che si gioca tutto con il concorso è ancora peggio. Ha investito tutta la sua energia intellettuale seguendo un maestro che gli ha consigliato degli ambiti di ricerca, ha suggerito dei metodi di analisi, ha corretto i suoi lavori via via che venivano scritti e, infine, ha fatto in modo che venissero pubblicati e, possibilmente, anche letti.

In ambito giuridico, ma il discorso vale per ogni settore non bibliometrico e forse anche per quelli bibliometrici, è facile demolire in buona fede il lavoro di un giovane. Ci sono scuole che hanno un approccio al diritto completamente diverso da quello di altre scuole. Per alcuni, il diritto costituzionale è scienza della politica e per altri è diritto processuale, per fare un esempio. Se un cultore del diritto come processo incappa in una commissione di cultori del diritto come storia politica, rischia di ricevere un giudizio negativo.

Questo giudizio negativo non riguarda il giovane studioso ma la scuola alla quale appartiene. Chi è stato indirizzato verso lo studio dal suo maestro ed è stato seguito dal suo maestro, deve anche essere tutelato dal suo maestro quando affronta le prove concorsuali.

Nessun maestro, né oggi e nemmeno ai tempi di Accursio o di Giustiniano, ha una verità vera e inoppugnabile. Ma ciascuno deve essere in grado di comprendere le ragioni degli altri e di giustificare le proprie.

Se si fa questo, non si partecipa a una cupola.

Si partecipa a una comunità scientifica, che è il mestiere di ogni docente universitario.

Non è più tempo di gentiluomini

I concorsi universitari sono da tempo oggetto di attenzione penetrante da parte della magistratura, sia di quella inquirente che di quella amministrativa, ed è giusto che dove ci sono dei fatti che integrano fattispecie di reato queste siano portate alla luce e che dove vi è un andamento delle operazioni concorsuali viziato da violazioni di legge o da eccessi di potere, questi concorsi siano annullati dal giudice amministrativo.

Vi sono delle precisazioni, però, anche in questo caso.

La prima è che se un giudizio è espresso in termini larvatamente positivi può darsi che la sua sostanza sia invece fortemente negativa. Le parole nell’accademia hanno un significato diverso da quello che hanno nel linguaggio comune e non sempre la magistratura, che non frequenta i consigli di dipartimento, è abituata a comprenderne le sfaccettature.

La seconda è che la magistratura, in questo paese, sta assumendo un ruolo sempre più dilagante, di supplenza sia del sistema politico che di quello amministrativo.

Nei concorsi universitari di un tempo era impensabile il ricorso al giudice, perché si sapeva che chi ci giudicava meritava fiducia per la sua levatura intellettuale e per le sue conoscenze del settore. I maestri erano maestri e la loro opinione meritava il massimo rispetto perché avevano davvero letto tutto e lo ricordavano anche, oltre che saperlo raccontare.

I maestri di oggi non sono più così. Sono gli epigoni di pensieri deboli, specialisti di microsettori, entomologi del diritto o, per usare un’espressione d’altri: cesellatori di cocomeri.

Se non si prova rispetto per chi ci giudica, si ricorre al giudice.

Probabilmente nelle materie giuridiche i giudici possono giudicare della preparazione dei docenti universitari e valutare se meritano di insegnare le materie che anche loro hanno studiato.

Forse il Tar del Lazio è più attendibile di una commissione del Miur per valutare l’idoneità dei professori di diritto tributario.

Ma sicuramente non di quelli di meccanica razionale e, forse, affidare anche il governo della università alla magistratura potrebbe essere pericoloso.

Povera Livorno: il Nido del Cuculo può fare qualcosa?

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
21/09/2017

Livorno è pubblicizzata da uno splendido video della Società che gestisce gli approdi delle navi da crociere con lo scopo di attirare turisti da tutto il mondo.

Vale la pena guardarlo con cura.

Soprattutto se si conosce Livorno.

La protagonista è una ragazzina che si potrebbe chiamare Rugiada, come la storiella della tipa che scende da uno yacht su una banchina del Mediceo. Meravigliosamente leggiadra. Il rude ormeggiatore le chiede come si chiama e lei risponde Rugiada.

Boia, che culo. Se nascevi a Livorno, ti chiamavano Guazza…

Guazza vede tutte le bellezze della città.

La terrazza Mascagni che non è così. E’ accanto alle baracche dove si frigge il pesce h24, ma il puzzo di pesce fritto su Vimeo non si sente.

La teleferica per Montenero che non è così. E’ tutto alluvionato e fa ancora male al cuore andarci.

La terrazza del Grand Hotel Palazzo che non è così. Se ti giri, pare di essere a Beirut.

Il culmine si raggiunge quando Guazza si tuffa in un punto in cui la Capitaneria di Porto ha imposto il divieto di balneazione.

Ma si potrebbe continuare.

Livorno deve essere una città delle crociere?

Crea ricchezza alla città un flusso ininterrotto di turisti cheap che scendono in città per andare a Firenze, Pisa e San Gimignano.

Tutto in un giorno solo, con un ritmo da ironmen?

E’ vero che la pubblicità ingannevole e il cattivo gusto non sono reati, ma, in altri tempi, una interrogazione parlamentare ci sarebbe stata proprio bene.

Visto che la società che gestisce il traffico delle crociere è partecipata dall’Autorità Portuale e le Autorità Portuali sono pubbliche amministrazioni a tutti gli effetti.

La speranza è che i ragazzi del Nido del Cuculo lo guardino prima possibile.

D’autunno, le rondini

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
21/09/2017

Lasciano una grande solitudine nel cielo

quando, d’autunno, le rondini tornano in Egitto

perché, tornando a casa,

dicono che non qui è la loro vita

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