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Un Caligola di periferia

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
18/03/2024

Caligola pranza con i genitori, in una trattoria fuori porta.

Ha gli occhi bistrati di un antico romano versato nelle perversioni del piacere, un foulard annodato al collo come se fosse un gentiluomo francese invitato a una colazione in campagna e una felpa non troppo abbondante da American Beauty. Il mischione è evidentemente oggetto di uno studio tanto meticoloso quanto inutile.

Parla, parla, parla.

I genitori, lei – petto di pollo alla pizzaiola, grandi occhiali, un po’ bassa, un po’ sovrappeso – lo guarda adorante, come solo una madre può guardare il frutto del suo ventre, ovvero senza capire che nessun altro vedrà mai quello che lei sta vedendo e che non farglielo intendere subito potrebbe non essere una buona idea. Lui – gallina in saor, maglione di uno che lavora davvero, jeans costosi, sneaker un po’ troppo sportive – lo guarda come un padre che ha preferito lasciar annegare il figlio nei vezzi della cara consorte piuttosto che litigare con entrambi e, in fondo, a distanza di pochi metri ci sono sia l’officina che il bar con gli amici e la partita di picchetto, che non si gioca più da nessuna parte figuriamoci in questa industriosa periferia.

Caligola continua a parlare, ha bisogno di soldi, non ha bisogno di soldi, vuole autonomia, ma non perché non gli vuole bene. Etc.

Lo osservo, ascolto con la coda dell’orecchio per sfuggire il pranzo con giornale che mi sta aspettando e rubare un pezzo di presente da immaginare diverso.

Penso a Caligola, ma non questo qui che un po’ gli assomiglia e che mi viene in mente perché ho amato Camus dissolutamente, ma quello che Caravaggio non ha mai dipinto ma che avrebbe potuto creare come Bacco, il giovane dissoluto e lascivo dalle unghie sporche.

Ecco, penso osservando questo giovane Caligola, io, cretino, ho sempre pensato che Caravaggio volesse dipingere l’umanità del sacro, che le sue Madonne fossero giovani sgualdrine per dimostrare l’umanità di Maria, un’operazione molto Ultima tentazione di Cristo di Katzanzakis.

Forse non era solo così.

Esistono delle persone che assomigliano esattamente a un diverso ideale, che non solo lo rendono diversamente umano, perché è quel diverso ideale che rende loro diversamente sacre.

Caravaggio che dipinge Bacco non sta pensando a Bacco, non vuole far vedere l’umanità di Bacco, magari non gli interessa niente di Bacco. Lui capisce, con la sua immensa capacità di vedere, che quel giovane dissoluto e vestito di un lenzuolo che non è difficile immaginare sporco di sperma ed escrementi si sente Bacco e dipingendolo come Bacco dipinge esattamente la sua essenza, il punto sacro della sua essenza.

Quella Madonna non una donna vera che dona la sua castità violata, il suo dolore, la sua povertà alla Madonna. E’ una sgualdrina che solo dipinta come una Madonna trova la sua perfetta identità.

Così è del nostro giovane Caligola. Se Caravaggio lo avesse visto, lo avrebbe ritratto come Caligola, ma senza pensare al terzo imperatore della gens Iulia, all’erede di Tiberio, a Camus. Pensando a lui, perché Caligola è talmente cenere da non essere mai esistito mentre questo è qui ed è lui.

Cronache dal patriarcato (Lince)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
13/03/2024

Il Lince è una delle guardie giurate che vigilano sull’accesso ai treni nella stazione di Santa Maria Novella a Firenze.

Se è stato soprannominato Lince, ci sono delle ragioni e lui, purtroppo, le conosce benissimo perché anche se non è un genio e perfino se non avesse mai avuto uno specchio, sono stati i suoi amici che glielo hanno fatto capire fin dalla più tenera età.

Il Lince ha preso molto sul serio il suo nuovo lavoro. Se ne sta impettito dinanzi ai varchi e fa osservare a chi vuole entrare dall’uscita che c’è un divieto e che deve passare dagli appositi varchi presidiati dai colleghi del Lince.

Una donnina, il genere di donnina che si descriverebbe più volentieri se le regole sulla repressione del patriarcato non avessero imposto una stretta censura sul linguaggio da utilizzare nei confronti di queste appartenenti al genere femminile per necessità genetica ma non per vocazione spirituale, pretende di passare dal varco che il Lince presidia.

Il Lince interviene.

La donnina non lo considera e uno dovrebbe dire: Niente di nuovo, il Lince sa che nessuno considera quello che dice come meritevole di attenzione. Ma il Lince non la pensa così, pensa di svolgere una funzione essenziale per il corretto mantenimento dell’ordine pubblico ferroviario di cui è diventato un appassionato sostenitore, e la rincorre chiedendole di passare dal varco corretto. La donna per necessità inizia a urlare: Mi violenta, aiuto, mi violenta… Il Lince questa volta si blocca e si guarda intorno smarrito, tutti lo guatano come se avesse davvero tentato di violare le virtù della donnina che, nel frattempo, si allontana indisturbata.

Questa volta, il treno l’ho perso io per spiegare la situazione alla solerte agente di polizia ferroviaria con cui il povero Lince non riusciva a comunicare perché lo spavento lo aveva bloccato e lui è abituato a bere acqua e zucchero quando un’emozione troppo forte lo scuote.

Le vittime del patriarcato non sono solo le donne indifese e non tutte le donne sono indifese.

A dir la verità ci sono anche le donne che non sono troppo donne.

Ma questo non si può dire.

Un passo in avanti e due indietro (La disfatta d’Abruzzo)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
11/03/2024

Il PD della Schlein ha fallito in Abruzzo, non meno del M5S di Giuseppe Conte.

L’incredibile rimonta non ha avuto successo.

In realtà, è incredibile che quell’alleanza abbia avuto successo in Sardegna e l’Abruzzo sembra restituire alla politica la logica inarrestabile del buon senso.

La vittoria in Sardegna e la disfatta in Abruzzo hanno un filo comune.

Gli elettori del PD possono dare il proprio voto a un candidato del M5S.

Gli elettori del M5S se devono dare il proprio voto a un candidato del PD evaporano.

Lo stesso accade ai seguaci di Calenda, Renzi e tutti gli altri che sono confluiti nel cd. campo largo.

Perché la verità del campo largo è che di esso fanno parte il PD e tutti quelli che hanno lasciato il PD di cui hanno giudicato, non del tutto a torto, incomprensibili le evoluzioni.

Rimetterli insieme è impossibile e somiglia a cercare di fare famiglia con l’uomo o la donna da cui ci si è separati qualche anno prima.

E’ anche contro il buon senso: gli elettori del campo largo sono invecchiati dannatamente e i loro candidati li incontrano oramai nei saloni parrocchiali addobbati con il ritratto di Papa Woytila ma i camposanti non vincono le elezioni.

Una propaganda che si presenta come il partito della terza età non convince nessuno. Neppure gli anziani perché chi invecchia vuole sentirsi dire solo una cosa: che non è ancora invecchiato.

La poesia di De Andrè

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
10/03/2024

All’ombra del radiatore si era assopito il cantautore.

La poesia di De Andrè è la poesia di una generazione ed è diversa dal canto di Omero o dalla lirica di Saba.

Quella poesia, in fondo, era immagine alta in cui il cuore del poeta diventava sentire dell’umanità, il soffio collettivo di tutti coloro che non hanno parole per definire il senso dei propri gesti.

La poesia di De Andrè è profonda e intima ma parla della sua vita con tormentata compassione e terribile umorismo.

Sono parole che assolvono chi le scrive e le ha cantate.

Questo, in fondo, insegna De Andrè che se una mano finisce in una chitarra, o in una penna, poco importa, tutto le è permesso.

Perché chi ha parole per dire la sua sofferenza, può soffrire, anche se la sua sofferenza è dolore d’altri.

E, in fondo, niente importa se si sa vedere il dolore della propria illusione.

Importa solo il dolore dei propri giorni perduti.

Addio, compagna Luna (La libertà di pensiero del professore universitario)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
08/03/2024

Una professoressa universitaria di filosofia teoretica si è lasciata sfuggire un post in cui esprimeva il proprio stato di animo (di tormentata compassione, se si può esprimere un giudizio) davanti alla morte di una terrorista che aveva vissuto in prima persona l’esperienza delle Brigate Rosse e non l’aveva mai rinnegata.

La professoressa universitaria, Donatella Di Cesare, prima fascia alla Sapienza, si deve essere prontamente avveduta della sua imprudenza, uno dei pochi peccati insieme alla compassione che l’Accademia non perdona, ed ha cancellato il post.

Ciononostante la politica si è scagliata contro di lei: avrebbe offeso le vittime del terrorismo e questo sarebbe inaccettabile, sarebbe stata irresponsabile e inquietante, e l’Università nella quale presta servizio dovrebbe prendere provvedimenti contro di lei, ecc.

La Sapienza per bocca della sua Rettrice ha prontamente preso le distanze dalla prof. Di Cesare e ha preannunciato l’avvio di un procedimento disciplinare.

Personalmente chi scrive non condivide il sentimento di tormentata compassione espresso dalla professoressa (qui il commento di Manganelli al libro in cui la Balzerani ha raccontato la sua esperienza), ma ritiene fermamente che ciascun professore universitario ha il sacrosanto diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, esattamente come ciascun cittadino, che il suo pensiero, come quello di ciascun cittadino, può essere diverso da quello dominante in un determinato momento storico, che si debba protestare con tutta la forza quando la politica chiede a un Ateneo di avviare un procedimento disciplinare per effetto delle opinioni manifestate da un docente.

Stupisce, non poco, che queste osservazioni non siano state espresse da nessuno, mentre tutti si sono lanciati con foga sulla prof. Di Cesare, d’altra parte accanirsi su chi è in difficoltà è tipico dell’Accademia.

La verità è che il compito di un docente è insegnare a pensare e per insegnare a pensare occorre avere delle opinioni e il coraggio di manifestarle.

L’ospite sgarbato

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
29/12/2023

L’ospite sgarbato pone alcune questioni che vale la pena osservare.

Il massimo sgarbo di un ospite è sentirsi a casa propria facendo sentire estraneo chi lo ospita.

Tuttavia, quando questo accade, è sgarbo d’ospite o intelligenza del padrone di casa? Lo scopo dell’ospitalità dovrebbe essere accogliere chi si ospita.

E, forse, nello sgarbo di quest’ospite che si comporta un po’ troppo come se fosse a casa propria, si può comprendere la profondità di significato della parola “ospite”, che è sia chi viene ospitato che chi ospita, perché per ospitare bisogna saper essere ospitati e per essere ospitati bisogna saper ospitare.

E’ ospite chi accoglie solo perché chi è accolto si sa far accogliere e, in questo, ospita a sua volta chi lo accoglie.

Usare la stessa espressione per il soggetto e l’oggetto di un’azione non è un’ambiguità lessicale ma piuttosto una rivelazione di senso.

Il dilemma del cornetto

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
11/09/2023

Domenica mattina, bar affollato.

Due bambine con la madre. Non più di sei anni. Carine. Molto.

La prima desidera follemente il cornetto alla nutella.

La madre lo compra avvisando la bambina che non lo deve far cadere.

Il cornetto cade.

La madre costringe la bambina a raccoglierlo e gettarlo via.

Non ne compra un altro.

Lo aveva detto sin dall’inizio.

La vicenda non è banale perché la caduta del cornetto pone il genitore dinanzi a un dilemma senza uscita: il dilemma del cornetto.

Può far piangere il figlio ed essere crudele ma mantenere la propria parola.

Può rinunciare alla propria parola ma fare egualmente felice il figlio.

Entrambe le soluzioni sono pessime.

La verità è che quando poniamo i nostri figli dinanzi a una sfida che sappiamo possono perdere, perdiamo anche noi. Sempre.

Duplice violenza a Venezia

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
05/09/2023

Il comandante dei vigili urbani di Venezia, commendatore del sovrano ordine militare di san Giovanni di Gerusalemme, Rodi e Malta e grande ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica italiana, è stato invitato a una sfilata di moda organizzata nella Tesa dell’Arsenale da Giorgio Armani.

C’è andato indossando per l’occasione l’uniforme di gala e per ben cinque volte è stato palpeggiato da un giovane sconosciuto che fra i quattrocento invitati della festa ha prescelto l’alto ufficiale come oggetto della sua deprecabile abilità manuale.

Il malcapitato comandante ha avvertito del proprio disagio il direttore generale del Comune ed è tornato a casa, senza denunciare l’evento, sarebbe stato difficile provarlo in un eventuale giudizio penale, e senza sfidare a duello il fellone, forse non gli è venuto in mente e comunque è vietato dal codice penale, per non disonorare l’uniforme.

Una volta arrivato a casa ha scritto un post su Facebook per denunciare l’accaduto e manifestare la propria comprensione nei confronti delle vittime di violenza sessuale.

E’ stato sommerso di commenti sarcastici ed ha ritenuto di sopprimere il post rivolgendosi alle agenzie di stampa che hanno dato ampio risalto all’evento evidenziando come il poveruomo fosse stato vittima di due violenze: la prima da parte del giovine che lo aveva palpeggiato nelle parti intime e la seconda dei lettori dei suoi post che lo avevavano sbeffeggiato non ritenendo che un uomo, un comandante di polizia locale, un commendatore e un cavaliere potesse essere vittima di violenza e degradando l’episodio a innocente goliardia degna di esser narrata da Pietro l’Aretino piuttosto che dal Boccaccio o da Casanova.

La tentazione di fare ironia è forte: il richiamo di una delle barzellette meno politicamente corrette degli anni ottanta in cui un vigile viene appellato Uvbano da un omosessuale che gli chiede informazioni stradali e lo minaccia di pubblica sottomissione, Uvbano, Uvbano era il ritornello della storiella da intonare in falsetto, l’idea del vigile urbano a Venezia che dirige il traffico con la ciambella e la paletta fra gondole e vaporetti, la stessa immagine del perfido giovinastro che tasta il deretano del grand’ufficiale al merito della Repubblica come estremo gesto di scherno verso la pubblica autorità, o di un gruppo di sghignazzanti vitelloni che lo circonda attentando all’onore della sua uniforme e quando si gira sdegnato agita il dito disegnando cerchi per aria a chiedere vediamo se capisci chi è stato, sono tutti spunti che animano spontaneamente e perfidamente la tastiera.

Ma, fermo lo sdegno per l’accaduto, per il duplice accaduto, e la solidarietà verso il disonorato comandante, siamo davvero sicuri che in questo caso il silenzio sia omertà e non piuttosto rispetto per la divisa che si indossa, il giuramento che si è fatto, le funzioni che si è chiamati a svolgere?

Perché forse il comandante dei vigili urbani di Venezia, il cui curriculum fa bella figura nelle pagine internet del Comune, non ha letto il passo di Hobbes in cui il filosofo scrive che il Re tutto può tranne che rendersi ridicolo e questo, in una democrazia, come in uno Stato assoluto, vale per ogni funzionario, anche se ha ragione di rivendicare la propria dignità ferita denunciando che persino un pingue uomo di mezz’età può essere vittima di violenza sessuale perché questo è l’accaduto e non vi deve essere spazio per alcuna ironia.

La multa di Bimba Piccola (Così impari a portare jella)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
19/07/2023

Bimba Piccola ha una visione del servizio pubblico decisamente radicale.

Non ritiene che si debba pagare una ulteriore tassa per un servizio che è sostenuto dalla fiscalità generale.

Ovvero ritiene che non pagare il biglietto sia ragionevole nella misura in cui non lo si è pagato abbastanza volte da ripagare l’eventuale multa.

Il tutto si rivela nella mascherina che indossa per salire sull’autobus.

Solo per salire sull’autobus.

In casa, lo sappiamo tutti e la madre, vedendole prendere la mascherina con un piede già fuori casa, la ferma chiedendo se ha preso anche i soldi per il biglietto.

Lei risponde come risponde un adolescente che non vuole essere fermato quando sta uscendo dalla prigione che i suoi genitori si ostinano a considerare una casa.

Poi chiama la madre.

“Mi hanno fatto la multa”

“Porti una bella sfiga”

“Ma io avevo la mascherina e ho dato il tuo nome…”

La piccola criminale si porta dietro la foto dei documenti di tutta la famiglia.

Ecco, se non fosse simpatica e adorabile, sarebbe solo terribile.

Il gobbo (Lo sguardo del malocchio)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
19/07/2023

Lo vedevo quasi ogni mattina.

Curvo lungo il marciapiedi.

Puntuale da rimetterci l’orologio: vederlo mi diceva quanto ero in ritardo per il treno.

Mi ha sempre fatto venire in mente il vecchino delle cento lire che aveva lo stesso problema alla schiena ed era costretto a guardare in terra, sicché mia madre, che non era particolarmente versata nel politicamente corretto, lo aveva soprannominato così: come se cercasse una monetina sfuggita di tasca a uno sconosciuto passante.

Un ricordo tenero, perché tenera era mia madre e ogni volta che la ricordo mi sembra di sentire il suo profumo.

L’ho ammirato incondizionatamente perché ogni mattina, qualsiasi tempo ci sia, esattamente alla stessa ora, fa il suo giro: carne, frutta / verdura, pane.

Finché, una sola volta, ha alzato gli occhi da terra, ha incontrato il mio sguardo e lo ha trafitto.

Mai avevo visto occhi così intensi, vivi e malvagi.

Lo sguardo del malocchio.

Da quel giorno, non l’ho più visto ma una sottile malinconia ha iniziato a curvare le mie spalle.

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