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I pensieri politicamente scorretti di Bimba Impertinente (Temo il paesaggio)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
26/08/2014

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Nuota come un pesce senza pinne.
Ma soprattutto senza maschera.
Ho paura di quello che chiama paesaggio: non vuole vedere il fondo del mare, il buio che scompare.
Come tutti.
E come molti non lo guarda.
Mio il compito di farle guardare la notte mentre nuota.
Anche se sempre meno penso che vivere con gli occhi aperti sia una buona idea.

Vuoto il tabernacolo

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
24/07/2014

Tabernacolo

Penso: vuoto tabernacolo è un corpo quando gli occhi, come candele al vento, si spengono,

Mentre mi avvicino, solo per un abbraccio, a un amico, per me più di un fratello

E so che il suo dolore non lo posso capire,

Perché non potrò mai sapere che cosa significhi perdere un padre che per tutta la vita ti è stato padre.

Di questo piango nel silenzio dei miei pedali,

Ancora una volta il dolore degli altri serve solo a risvegliare il nostro.

50 sfumature di grigio (Come il piccolo bretone)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
14/07/2014

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Non sono cinquanta le sfumature di grigio che ha visto il piccolo bretone nella sua breve vita.

Sono molte di più.

Ha corso e percorso la Francia, il Belgio e l’Italia.

Piegato sulla sua bicicletta, pesante come un cancello.

Ha bevuto vino e ruttato pioggia.

Riprendendo sempre a pedalare, sinché le gambe non sono diventate di piombo.

Lì dove le Ardenne sono state l’inferno di una generazione.

Si pedala fissando l’asfalto, diceva.

Non si alza la testa.

Non si guarda la vetta.

Si evita lo sgomento del panorama.

Si pedala fissando l’asfalto e aspirandone le sfumature.

Come gli eschimesi la neve o i polinesiani il mare.

Si intuisce dalla terra la forza di ogni singola pedalata.

Non si contano quelle che mancano.

Non si perde coraggio nella consapevolezza dei giorni che devono ancora venire.

Si prende coraggio dal presente di ogni spinta verso il basso e dal futuro del calcagno che torna verso l’alto.

E’ qui il senso di tutta la giornata.

In questa gamba sinistra che scende e in questa coscia destra che sale, mentre gli occhi traguardano il suolo oltre il manubrio e le sue strette corna, senza mai guardare il cielo.

Ma è così anche la vita.

La vita dei poveri abituati alla fatica della terra, al sonno pesante della notte alla dolorosa stanchezza dell’alba.

Ogni giorno, una pedalata che fissa l’asfalto, mai gli occhi al cielo.

Perché anche oggi c’è qualcosa da fare, qualcosa di urgente, qualcosa che se si alzasse gli occhi al panorama non si farebbe, presi dallo sgomento del futuro, dal bisogno del cielo stellato e dei suoi universi.

Finché questi occhi piagati di asfalto, come la cataratta di un pescatore, non sono sordi al pianto di un bambino sotto pelle e lì, in quel momento, diventa inutile continuare a correre.

Perché si corre per quel bambino e se si perde l’istante in cui ha bisogno di noi, meglio lasciarsi cadere, che nulla è peggio del raggiungere il traguardo e rendersi conto che le miglia di asfalto che hanno consumato i nostri occhi hanno anche dimenticato la nostra vita.

Una legge contro l’omofilia?

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
03/07/2014

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Una legge contro l’omofilia sarebbe davvero opportuna di questi tempi.

Non contro chi prova una immotivata, irragionevole e tutto sommato scortese avversione per gli omosessuali.

Ma contro chi, immotivatamente, irragionevolmente e tutto sommato con scortese repentinità, si schiera a favore del movimento LGBT.

La settimana passata, Berlusconi, la sua giovane “fidanzata”, Vittorio Feltri.

Questa settimana, Angiolino Alfano.

Tutti hanno scoperto di essere un pochino gay, lesbica, bisex e persino transgender.

Soprattutto, hanno scoperto che gli omosessuali possono essere di destra, conservatori e bacchettoni e hanno deciso di cercare apertamente il loro voto, considerandoli come una lobby, oscura e potente come una loggia segreta.

Il che è un atteggiamento apertamente omofobico, perché nulla è più disumano che considerare l’omosessualità come il tag di una razza diversa, l’indizio di una specialità tribale.

Gli omosessuali sono, se li si vuol guardare bene in viso, né più né meno uomini e donne comuni (ordinary people) e, di conseguenza, possono essere di destra o di sinistra, cattolici, ebrei e musulmani, di razza caucasica, afroamericani, indiana e a strisce rosse e gialle.

Taggarli, anche solo per dire sono d’accordo con loro, è dannatamente offensivo.

Anche se, in fondo, sono proprio gli omosessuali a cercare una specialità differenziante, in cui l’identità politica e sociale, forse anche religiosa, segue il ritmo dell’outing: L’ho detto e niente sarà più come prima, perché ho detto che io sono diverso da tutti loro e che sono orgoglioso della mia diversità.

Insomma, se Berlusconi è frocio, anche i froci sono berlusconiani…

La camicia di Berlinguer (note a margine delle elezioni di Livorno)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
13/06/2014

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A Livorno, il M5S di Filippo Nogarin, ingegnere aerospaziale e cittadino di Castiglioncello, ha vinto le elezioni comunali.

La città, la città che conta, la città degli affari e dei traffici, è sgomenta.

L’altra città, la città che ha votato al ballottaggio, la città che ha vissuto questi anni di lenta trasformazione del PCI, che si è disaffezionata alle proprie bandiere, molto meno.

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Lo sciopero della Rai dal punto di vista della maculopatia

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
04/06/2014

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Vi è una singolare assonanza fra la protesta dei dipendenti Rai e lo scandalo della maculopatia.

La protesta dei dipendenti Rai e, in particolare, dei suoi giornalisti, ma anche delle sue firme più prestigiose, riguarda la decisione del Governo di collocare sul mercato alcuni asset aziendali per ripianare almeno in parte la posizione debitoria dell’azienda.

In questa protesta, suona forte l’indignazione per un Governo incapace di strategie di lungo respiro circa il futuro di questa azienda pubblica e, nello stesso tempo, estremamente arrogante nella propria tattica comunicativa.

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Fra Tortolì e Torre del Lago

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
28/05/2014

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Il partito democratico di Renzi ha vinto le elezioni.

Contro i pronostici che vedevano un movimento 5 stelle particolarmente a punta.

Soprattutto, Forza Italia e il centro destra sembrano avere perso: alle comunali, solo Ascoli Piceno, Chianciano e Tortolì hanno visto un candidato del miliardario affidato vincere al primo turno. Ma sono città che assomigliano a Torre del Lago, che alla stazione di Pisa viene annunciata solo per dire che il treno per Spezia non ci si ferma.

E’ una grande festa, una lucida festa in cui Nardella mette insieme il terzo figlio e il primo giorno da Sindaco con un consenso di quasi il sessanta per cento di fiorentini, ammaliati dal carisma del primo ministro come ai tempi del Savonarola.

Ma sono elezioni che devono essere viste anche da un punto di vista diverso.

Se il movimento 5 stelle ha perso, la responsabilità è di Grillo e Currò (chi è?) non esita a chiamarlo in causa in una discussione che assomiglia a una lite in famiglia di fronte al panettone di Natale.

Se Forza Italia ha perso (ma anche Alfano, checché ne dica, non ha certo vinto), la responsabilità è di Berlusconi e Fitto, forte delle sue preferenze (284kVoti), glielo fa notare traguardando un’OPA ostile sul partito del miliardario affidato.

Soprattutto, se il PD ha vinto, non ha vinto il PD ha vinto Renzi, che ha saputo conquistare un consenso trasversale, molto simile a quello della Democrazia Cristiana, che D’Alema, Veltroni e Bersani non avrebbero mai potuto immaginare.

Il 40% dei consensi non riguarda un programma e un partito politico che incarna una serie di ideali (quali?). Sono voti dati a Renzi, che non a caso viene chiamato, per la prima volta, “Matteo”, anche da Napolitano.

Ha vinto Matteo, hanno perso Giuseppe Piero e Silvio e anche Alfano, di cui non è facile ricordarsi il nome di battesimo, Mario (Monti, c’era anche lui).

Ha vinto una persona e hanno perso delle persone.

Perché il dato più interessante, la cosa da tenere più presente anche nel prisma delle riforme costituzionali di cui oggi riprende l’esame alla Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica (ancora per poco), è che i partiti politici sono scomparsi, sostituiti da persone che incarnano una One minute democracy, una democrazia in cui l’elettore sceglie in un minuto e in un minuto cambia idea, in cui, in fondo, all’elettore non interessa un fico secco della politica.

E, in questo contesto, si può festeggiare.

Ma come nella Villa del Decamerone, il Boccaccio novellava durante la peste.

Tira una brutta aria (Grillo in piazza Ss. Annunziata)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
22/05/2014

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Il Fatto Quotidiano, dopo il comizio di Grillo in piazza Ss. Annunziata, a Firenze, la città di Renzi e in cui Nardella mira a una vittoria al primo turno caratterizzata dalla continuità di indirizzo politico – amministrativo con l’attuale Presidente del Consiglio, alle otto era già esaurito in edicola.

Difficile non trarne le conseguenze. C’è una larga fetta di città che non si riconosce nel Più di prima di Nardella e che vuole tirare un calcio alla continuità con Renzi, che non pensa più che Renzi sia un innovatore della politica, ma lo identifica nella cerchia dei poteri più o meno forti che governano la città dai tempi di Bogianckino e ancora da prima.

Renzi non ne tira le conseguenze nel momento in cui sottolinea che le elezioni europee e le elezioni amministrative non sono elezioni politiche, perché non è vero che quando la gente va a votare pensa al seggio che sta eleggendo ed esprime una preferenza diversa a seconda della qualità di rappresentanza che sta contribuendo a eleggere nella piramide della democrazia. E’ vero esattamente il contrario: nel momento in cui si vota si esprime la propria idea di governo (nel senso più atecnico possibile) che quel preciso momento storico e temporale ci ispira, una idea che è valida solo per quell’istante ma che in quell’istante è tremendamente valida e assoluta nella sua purezza.

Nello stesso tempo, quando il Presidente della Repubblica per effetto del terremoto elettorale che ha travolto la legittimazione del Parlamento non è libero di sciogliere le Camere, questa idea è ancora più valida, perché le preferenze che saranno espresse nella tornata europea e amministrativa non sono incostituzionali, al contrario della rappresentanza che le ultime elezioni politiche hanno sortito.

Il vero punto è che lo slogan di questi giorni, quello che parla agli stomachi dei sanculotti, non è Più di prima, ma è Mai più come prima, e questo slogan non riesce a essere intercettato dalle sinistre e dalle destre “storiche”. E’ uno slogan fatto per il populismo più o meno elegantemente interpretato dai capelli di Grillo o dalle cravatte regimental di Farage.

E l’idea che questo populismo, se vincesse, lascerà dietro di sé solo macerie non è molto convincente per chi nelle macerie è abituato a vivere da tempo e pensa che sia giusto che anche gli altri, i politici che vanno in prigione su una BMW X6 o gli industriali che parlano ai giovani dell’importanza di avere fame e curiosità appoggiati su scarpe fatte su misura, debbano cominciare a fare i conti con la rovina delle case in cui vivono.

Si tratta di impostare una nuova sfida convincendo le pance che stanno sugli spalti della convenzione che il terrore non è auspicabile, che le libertà sono inviolabili, prima di tutto le loro, che esiste una democrazia capace di essere forte della propria mitezza.

Ma, in questi tempi, ci vuole davvero coraggio per essere moderati, e dispiace che questa frase di Fouque sia oggi ricordata da Maurizio Lupi.

Quello che non si può dire a proposito dei propri vicini potrebbe essere vero

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
21/05/2014

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Nigel Farage, presidente di un partito piuttosto conservatore e populista nello stesso tempo (l’Ukip), che sta cavalcando la crisi economica e sociale di questi tempi, ha fatto una piccola gaffe durante una intervista televisiva.

Gli è stato chiesto se ci sia da preoccuparsi se una famiglia di romeni, viene ad abitare sul nostro stesso pianerottolo e ha risposto di si.

Si è scusato a lungo, ha detto che era stanco e ha organizzato una sorta di carnevale dedicato alle minoranze.

Doveva davvero fare ammenda?

Forse no e non perché i rumeni fanno paura o sono diversi dai cittadini del Regno Unito.

Ma perché ha espresso, con lucidità inconsapevole, il teorema del naufrago e della zattera.

La questione, che non riguarda le persone che abitano i piani alti della nostra società, ha origini nella crisi economica che colpisce i cittadini meno fortunati. Questi si aggrappano ai loro piccoli privilegi (una pensione sociale, una abitazione di edilizia residenziale pubblica, una articolazione per fasce delle tasse universitarie e delle mense o del ticket per i farmaci) sapendo che sono la zattera che consente loro di sopravvivere ancora per qualche giorno.

Non di vivere, ma di aspettare i soccorsi sapendo che comunque si dovrà morire.

Queste persone sono ragionevolmente spaventate dall’arrivo di altre persone provenienti da altri naufragi.

Sanno che la loro zattera non resisterà a lungo e sanno anche che potrebbero essere scacciate dalla zattera perché i nuovi arrivati possono essere più forti e più aggressivi.

Farage non si è saputo esprimere e la sua storia non ha reso più articolato e interessante il suo discorso. Però esiste un problema, un problema che tocca i cittadini meno fortunati, e affermare una retorica fondata sull’accoglienza senza tenere conto del teorema della zattera nel naufragio rischia di tracimare in un razzismo alla rovescia, che colpisce i cittadini anziché gli stranieri.

Se un gruppo di somali occupa lo stabile accanto a quello in cui vivi, è ragionevole preoccuparsi e soprattutto è ragionevole chiedersi perché nell’intera città l’onere dell’accoglienza cada sul tuo quartiere.

Fashion victim (Io sono di un’altra specie)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
19/05/2014

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Bimba Piccola osserva perplessa dei bambini vestiti da bambini.

Io sono di un’altra specie, si lascia scappare pensierosa.

In che senso sei di un’altra specie, loro mica sono lucertole, risponde il padre soprappensiero.

Lei lo guarda, al solito: come si guarda un cretino: Io mi vesto come mi vesto solo io e mi scelgo gli abiti. Dunque sono di un’altra specie, replica.

Ha ragione.

Per una fashion victim, le specie sono la conseguenza di un abito e gli abiti sono tutto.

E si può essere fashion victim già a sette anni…

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