• Follow us on Twitter
  • RSS
Un altro giorno da descrivere close

ProfStanco

  • Home
  • Blog

Blog

La maturità di Bimba Impertinente

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
22/06/2023

E’ uscita dalla maturità con l’aria sconsolata di chi ha passato sei ore con Seneca.

Filosofo più ostico che stoico e che ha fatto della sua idea di interiorità un linguaggio contorto ed essenziale.

Un modo di essere che non può piacerle: la sua timidezza è troppo dolce per diventare contorta e non capirà mai perché una cosa facile deve essere espressa in maniera complicata.

Eppure sono contento.

Naturalmente non della sua angoscia: l’angoscia della maturità è un rito di passaggio inevitabile.

Ma di questi anni in cui ha potuto leggere cose che non avrebbe mai letto e che non avrà mai più il tempo di leggere.

Questo penso con gratitudine quando prendo in mano i libri che mi accompagnarono durante il liceo.

E questo le auguro.

Di tutto il resto, voto compreso, in fondo non mi interessa molto.

Anche se è davvero difficile riuscire ad essere felici solo della propria coscienza senza dipendere dal giudizio gratificante di chi ci sta di fronte.

Tema che Seneca, peraltro, ha avuto caro per tutta la sua non particolarmente allegra vita.

Oggi che non ero a salutarti (in memoria di Bigheri)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
04/05/2023

Bigheri

Oggi che non sono potuto venire a salutarti, mi piace ricordarti così.

Su Hermione, felice.

Al tuo posto che era al timone, sul flybridge, perché a te piaceva vedere e stare dove si vedeva.

Sei morto quando non sei più riuscito né a bere, né a respirare. Quando il tuo unico contatto con la realtà erano i tubi delle flebo.

E tu non potevi vivere in quel modo.

Hai usato tutti i tuoi ultimi respiri per soffiarli nel telefono cercando i tuoi amici, disperato di non essere con loro.

Hai avuto l’estrema umiltà di condividere la paura di un oltre in cui non sappiamo se ci sono barche, porti e pesci da pescare.

Senza accettare che quella paura totalizzante non fosse totalizzante anche per tutti gli altri perché tu eri un uomo che aspirava l’anima con la sua voglia di vivere. Ci hai bevuti tutti come se fossimo ponci e diventavi felice della nostra felicità.

Perché con te, Bigheri, era impossibile non sorridere. Felici. Come un bicchiere di rhum.

Lando

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
13/02/2023

Ci sono immagini che feriscono.

Arrivano improvvisamente sul telefono: Guarda che cosa ho ritrovato.

Salaiole, 1985, direi, campo di noviziato del Firenze 26. Io sono al centro, l’unico con i jeans e gli scarponi.

Mi guardo e, soprattutto, mi guarda quel Gian Luca lì.

Gli chiedo – ma non mi risponde – se sono diventato qualcosa che può apprezzare e so che lui aspirava a lasciare il mondo migliore di come lo aveva trovato.

Osservo i volti che mi circondano. Molti li vedo ancora, altri li ho rivisti saltuariamente: qualche anno fa ai matrimoni, adesso, soprattutto, ai funerali.

Mi fisso su uno di noi: è accanto a me, con i suoi calzettoni grigi, ma non lo riconosco. Non lo metto a fuoco subito. Mi sovviene lentamente.

E’ Lando. Lui non lo vedo più. Lui è morto che non aveva trent’anni, forse nemmeno venticinque mentre faceva il dottorato di fisica a Trieste.

Incidente di moto. Soffriva di epilessia e il suo male lo ha colpito quando non ci poteva fare niente nessuno.

Lui, Lando, ha davvero lasciato il mondo migliore di come lo aveva trovato.

Ha lasciato noi tutti migliori di come eravamo.

Perché ognuno di noi, ogni tanto, pensa a lui e torna come era. Lo ritrova appeso a testa in giù alle travi della stanza in cui studiavamo sopra il Chiostro dei Voti. Che studiava i suoi teoremi. Oppure che partecipava alla gara dei gavettoni. O, ancora, che discuteva di Dio e beveva quel vino amaro con cui cercavamo di sembrare adulti.

Con tutta la sua intelligenza e il suo acume.

Ed è bello ricordarlo: gli eroi muoiono giovani e lasciano il mondo migliore di come lo hanno trovato perché il loro ricordo resta impavido di giovinezza.

 

Meglio ballare in un capannone abbandonato o tirare i sassi in autostrada?

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
09/01/2023

Ieri, che era l’8 gennaio 2022, due opposti gruppi di tifosi della Roma e del Napoli si sono scontrati lungo l’autostrada A1 bloccando il traffico fino a che la polizia non è riuscita a riportare la pace.

La notizia ha – giustamente – fatto scalpore. Desta una certa impressione sapere che ci sono dei tifosi di una squadra che si fermano in un’area di servizio, rompono le barriere che la separano dall’autostrada, vi fanno irruzione mentre passano i pulmini dell’altra squadra e li accolgono con una sassaiola. Egualmente stupisce non poco immaginare i pulmini assaltati che si fermano facendo scendere i propri viaggiatori che si scatenano in una rissa direttamente sul sedime stradale che unisce l’Italia, che è il simbolo del dopoguerra e del tentativo di unire il nord al sud.

Non è solo cronaca anche perché il tifo organizzato non sembra solo criminalità da misure di polizia come i DASPO: assomiglia sempre di più alla criminalità organizzata con cui sembra avere non poche contiguità.

Ma quello che davvero fa pensare è il silenzio del Governo, quello stesso Governo che ha reagito a tutela della proprietà privata contro le invasioni musicali dei rave con un decreto legge sulla cui conversione ha posto la fiducia, adesso, tace.

Non si dedica a una norma sul genere art. 434 ter, c.p., che punisca oltre a chi invade arbitrariamente terreni che non gli appartengono per organizzarvi raduni musicali anche chi lo fa altrettanto arbitrariamente per scatenarsi contro la tifoseria avversaria.

No. Tace.

Ed è triste pensare che fra gli elettori di destra ci sono più tifosi che appassionati di musica techno.

Ma chi fa più paura: uno che tira i sassi sulle macchine che passano in autostrada o uno che si sfonda le orecchie in un capannone abbandonato?

P.s.

In foto, muro di casse che è una foto (ma soprattutto un libro) di Vanni Santoni.

Gli occhi del Palagi (Affinità di sguardi)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
06/01/2023

Il Palagi sono corridoi dove camminano giovani ragazze con disturbi alimentari.

Il Palagi sono corridoi dove i genitori delle giovani ragazze aspettano che termini il pasto assistito, la seduta con la psicologa, la visita della nutrizionista o assistono all’alimentazione forzata di una figlia che amano disperatamente.

Il Palagi sono occhi vuoti.

Quelli delle giovani ragazze, quelli dei loro genitori.

Ma solo per chi non sa vedere.

Perché in tutti questi occhi c’è una meravigliosa miscela di dolore e amore.

Esattamente identica.

In questa affinità di sguardi si trova Dio, il Dio che si è fatto carne e che sa perdonare ogni dolore.

Dopo il funerale

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
02/01/2023

Dopo il funerale, ho continuato a masticare un pensiero e due immagini.

La prima immagine è l’ultima che ho di te: quasi nascosto in un angolo del sagrato, vestito poveramente come poveramente vestivi quando non indossavi il saio, che osservavi la vita di via Cesare Battisti fluire. Così vicina e così lontana.

Allora ho pensato che tu eri solo, solo con le tue delusioni, solo con la tua croce che vedevo fatta di delusioni. Mi ha fatto pena saperti solo in quel convento che amavi senza esserne ricambiato.

La seconda immagine è il tuo funerale, di lunedì mattina, il 2 gennaio, e la Basilica era piena, piena per tutte le due ore di celebrazione.

Non eri solo, Lamberto, quel giorno all’angolo del sagrato, dove il sagrato della Basilica fa un ansa: dentro di te c’erano tutte le persone che ho rivisto al tuo funerale.

Spinte a salutarti dal ricordo della tua santità.

Perché, in fondo, se Dio si è fatto carne, lo ha fatto per provare tutto ciò che prova la carne, per essere umano sino al punto di poter essere tentato da Satana.

Tu questo lo sapevi e sapevi anche che la carne era la via per la santità.

Non la disprezzavi, né in te, né in tutti coloro che a te si sono affidati dopo essere caduti e che tu hai sempre aiutato a rialzarsi con pazienza di monaco e impaziente umanità di carne.

Lamberto (La vocazione alla delusione)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
31/12/2022

Lamberto è stato un frate dell’Ordine dei Servi di Maria.

Per chi lo ha conosciuto davvero, ma non per i suoi confratelli, Lamberto è stato un santo.

Lamberto era ambizioso e aveva sete di Dio.

Pregava incessantemente e il breviario sembrava vivo fra le sue mani.

Fumava come fuma chi ha paura di vivere troppo a lungo, chi si rifugia nel suo veleno perché la vita è un veleno d’altri.

Era intelligente e conosceva il Dio dei padri della Chiesa.

Era sapiente e sapeva che amare Dio significa celebrarlo.

Era innamorato della settimana di Pasqua e la crudeltà di Dio lo ha rapito per Natale.

Perché il Dio di Lamberto era crudele, lo amava con la malignità di chi ogni giorno trovava un modo per rinfacciargli la sua purezza e il suo amore per le Scritture, per la Liturgia, per la Teologia, tutte parole con con Lamberto avevano l’iniziale maiuscola.

Lui perdonava sempre, ma era Lamberto e il suo perdono era amaro: si confessava dal confratello che lo aveva offeso, si pentiva di pensare quello che pensava di lui e lo faceva nel segreto della confessione, senza che il suo confratello potesse rispondere. E pregava per i suoi confratelli, si alzava molto prima dell’alba per pregare per loro. Dicendoglielo, ogni giorno.

Sono cose che dei frati non perdonano. La santità non si perdona.

Non è mai cambiato niente.

Ha sempre continuato a vedere tradita la sua fede da quei fratelli che lo prendevano in giro per i suoi digiuni. Infiniti, logoranti.

Così è morto.

Da solo, nel suo letto di frate, dopo avere fumato un’ultima sigaretta e il suo corpo è povero, piccolo, striminzito nella bara in cui lo hanno calcato dopo una messa piena della crudeltà che Santa Madre Chiesa insegna ai suoi figli quando li alleva in seminario. Non ci sono più quegli occhi acuti e dolci, sono chiusi per sempre nella contemplazione del Padre che ha amato con tutto se stesso. Una mano non so quanto pietosa deve avere svuotato la sua cella e ritrovato una fotografia che lo aveva sempre accompagnato, che teneva sempre dove la potesse guardare. La foto di un giovane frate sorridente dell’entusiasmo di uno sposo abbracciato a due genitori un po’ perplessi che, forse, avrebbero voluto vedere i loro sacrifici – era il primo della sua stirpe che aveva studiato e i suoi studi erano costati molto al sudore di suo padre e di sua madre – ricompensati altrimenti.

Tutti abbiamo visto quel sorriso e quando quel sorriso ha iniziato a spengersi, in molti ci siamo allontanati da Lamberto.

Perché la vera delusione di Lamberto, sono sicuro, non erano i suoi confratelli.

La sua vera delusione siamo stati noi, noi che siamo cresciuti nella sua parola, che abbiamo imparato a credere nelle vite dei padri del deserto, a leggere con i loro occhi attraverso i suoi, che abbiamo imparato la ricchezza della Parola e la complessità della Liturgia, noi che poi siamo diventati libertini, laici e senza Dio, che abbiamo imparato a considerarlo una parte della nostra adolescenza, un po’ come una ragazzina che si ricorda con nostalgia ma anche con un certo imbarazzo perché siamo cresciuti e i grandi non scrivono più le poesie di amore che le avevamo dedicato, che lo vedevamo appena fuori dal suo convento, appoggiato a una balaustra che osservava i passanti con gli occhi di un padre del deserto che improvvisamente si ritrova in piazza SS. Annunziata all’ora in cui i ragazzi corrono per non fare tardi a scuola.

Questo pensavo mentre oggi gli presentavo le mie figlie, che molti anni fa ha battezzato, e pensavo che le stavo presentando a un Santo e che avrei voluto che Lamberto, vivo come mai lo avevo sentito vivo, vivo perché finalmente alla destra del Padre, ricompensato delle sue preghiere alla presenza viva del Creatore, rapito nella Liturgia che i Santi cantano a Dio in Sua presenza, si prenda cura di loro e coltivi la loro anima sino a che, vecchie, assai più vecchie di lui che è morto giovane, non lo potranno conoscere.

E’ stato difficile amarlo, ma ancora di più sarebbe dimenticarlo.

Nel mio tempo che non è più il tuo e non lo è mai stato (l’Orfeo del Joyce)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
04/12/2022

Euridice è morta, morta per sempre, morta per un giorno, morta come chi non è mai nato

Euridice vive del mito e il suo mito è il fumo sapido di birra scura irlandese di Joyce

Joyce ha creato Orfeo mostrandogli Euridice

Lo ha creato perché prima di Euridice Orfeo non esisteva, non aveva parole, non sapeva neppure leggere

Orfeo è nato innamorandosi di Euridice, scoprendo dentro i suoi occhi le parole che non sapeva di conoscere

E’ stato felice Orfeo delle parole che Joyce, una pinta dietro l’altra, distillava da Euridice

Ferite che aprivano l’anima di Orfeo

Ma Joyce è fallimento di spiriti, insaziabile più di un vampiro dei fumetti, fallimento che uccide

Euridice è morta per caso, uccisa da un serpente mentre fuggiva da un pastore avido di piacere?

Euridice è morta davvero mentre si lasciava trafiggere dal serpente di un pastore avido di piacere?

Orfeo non lo sa

Sa che Euridice è morta ogni volta che si è lasciata trafiggere da serpenti avidi di piacere, è morta per lui

Lui che aveva creduto a Joyce, a chi lo aveva plasmato con parole di pinta facendogli credere di avere trovato parole dell’anima

Non aveva trovato niente e ha guardato la morte di Euridice, disperato, senza più speranze

L’ha guardata morta, illudendosi che fosse morta, scendendo nell’Ade per chiedere la restituzione della sua vita, perduta senza nessuna colpa, come se esistesse chi è responsabile del proprio suicidio

Ma Euridice era viva, perfettamente viva, lo sapeva bene chi aveva imparato a trafiggerla: Euridice non esiste per te, esiste per sé, esiste solo nel suo tempo e tu esisti nel tempo che Euridice ti dona, non guardare Euridice nel tempo che non ti appartiene, non guardarla perché muore, bevi il tempo che Euridice ti dona, non altro, accontentati e lei sarà felice e tu sarai felice

Il segreto del pastore avido di piacere, il segreto del serpente sazio: non c’è bisogno di vecchiaia per la saggezza

Joyce, il fallito dio dell’Ade, ha accolto Orfeo in mezzo alle rovine di vite decomposte, in mezzo alla sozzeria che resta quando il corpo smette di cagare, lo ha guardato con malvagia ironia, con la crudele pietà della pigrizia e gli ha restituito Euridice avvertendolo di non guardarla, di suonare le parole che lei gli aveva donato ma di non guardarla perché sarebbe morta di nuovo

Orfeo non ha capito: Euridice può vivere solo se non la guardi nel suo tempo perché il suo tempo non è il tuo tempo perché nel suo tempo che non è il tuo tempo Euridice beve il serpente dei pastori avidi di piacere e nessun Orfeo può sostenere quella vista senza morire

Così Euridice è morta, per sempre, per un giorno, come non fosse nata

Ma non per la rabbia di vederla assetata di pastori, che sarebbe banale e Joyce non è banale, ma perché Orfeo sa che la sua lira non merita di diventare un pastore avido di piacere, non merita di vivere della sfrenata consapevolezza dell’orgia dei serpenti perché accontentarsi del proprio tempo non è solo seguire Euridice nel suo tempo è soprattutto accettare ciò che Euridice è ed Euridice è fame di pastori, pastori avidi di piacere, sazi del proprio tempo e chi è affamato di ciò che è sazio non ha fame della propria fame

Così l’unico che muore, alla fine, è Orfeo, si lascia morire cantando, affamato della propria fame, mentre Euridice danza il ballo della sazietà.

 

La violenza delle carampane

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
11/11/2022

Triste convegno sulla violenza di genere al tempo della pandemia.

Un tema davvero tremendo: persone costrette alla vita in comune che si trovano a dover subire l’aggressione da parte di chi dovrebbe essere loro di mutuo sostegno.

Ma più terribili ancora le partecipanti.

Parecchie di un’età nella quale i tampax sono ricordi quasi cancellati dal progressivo indurimento delle arterie.

Un’età nella quale i discorsi sulla violenza di genere hanno il sapore delle madeleine.

Il pianto di mia figlia

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
05/11/2022

Ogni volta che piangi, si spenge il Sole sulla terra

Il tuo pianto è la mia incapacità di costruire e difendere un giardino incantato intorno a te

Ma, soprattutto, di capire che in quel giardino non saresti mai libera

Perché, amore mio, avrei preferito essere il padre di Ulisse piuttosto che di suo figlio.

Page 5 of 127«‹34567›»

Ultimi Tweets

  • https://t.co/f3p1xGFuox Se Rousseau vota Draghi, M5S si divide e Meloni non è più sola per Copasir etc. 13:09:42 12 Febbraio 2021

Archivi

Segui @ProfStanco

RSS

  • RSS – Articoli

Articoli recenti

  • Sorelle A Tebe
  • Il porto (Esisto)
  • Santa [S]Fiducia: la democrazia delle trappole identitarie

Categorie

  • jusbox
  • profstanco
  • Senza categoria
  • Uncategorized

Interesting links

Besides are some interesting links for you! Enjoy your stay :)

Pages

  • Blog
  • Welcome

Categories

  • jusbox
  • profstanco
  • Senza categoria
  • Uncategorized
© Copyright - ProfStanco - Wordpress Theme by Kriesi.at