Calafuria eterea
Non ha mai capito nulla.
Nella maniera più assoluta.
In giovane età, malgrado le robuste iniezioni di latino e greco somministrate dai padri scolopi, non è mai riuscito a distinguere un ariosto da un perfetto.
Anche il suo aspetto è lombrosianamente consapevole dei limiti che lo caratterizzano.
Ha sempre avuto uscite improbabili.
Alla maturità, dopo un esame nel quale aveva dato prova della sua preparazione inserendo Robespierre fra i sanculotti e Rommel nel settimo cavalleggeri, uscì pronunciando una frase importante: Mi sento etereo, piscerei dalla finestra.
E tanto fece.
Sotto lo sguardo sbigottito dei padri che amorevolmente avevano curato la sua formazione.
Aveva una fidanzatina.
Le era molto affezionato.
Ne parlava come di una cosa bella, fragile, commovente.
Con lei, non pareva nemmeno la bestia inconsapevole che indubbiamente era.
Oggi, l’ho incontrato.
Dopo vent’anni.
Più o meno.
Le solite parole imbarazzate.
Come stai? Cosa fai? Di chi hai notizie?
Mi è venuto da chiedergli della sua antica fidanzata.
Mi ha risposto: Chi, Calafuria?
Calafuria?
Si, Calafuria: io non lo sapevo – mi dice – ma quella maiala, mentre stava con me, prendeva più schizzi di uno scoglio a Calafuria.
Non è cambiato.
Decisamente.
Non sono riusciti a cambiarlo e forse non è stata esattamente una fortuna.