La repubblica dei referendum quindici anni dopo
Il referendum elettorale non ha raggiunto il quorum.
Non è una novità: è dal 1997 che succede.
Sono passati quindici anni dalla stagione referendaria del 1993.
Quando Anna Chimenti definì la crisi del sistema parlamentare come repubblica dei referendum e i costituzionalisti concentravano i loro tomi sui limiti della ammissibilità del ricorso alla democrazia diretta.
Eppure la crisi del sistema parlamentare non è per niente finita.
Il sistema parlamentare si è evoluto in una sorta di regime dell’esecutivo con forti venature plebiscitarie o neocesariste, secondo la definizione di Azzariti (Il Manifesto del 18 giugno).
In questo sistema, il Parlamento si esprime con un voto che non è più sintesi politica, ma, per effetto dell’abnorme ricorso alla fiducia, espressione di un referendum sulla politica governativa.
Come dire: il voto parlamentare ha un senso nei sistemi parlamentari perché riesce a esprimere un indirizzo politico capace di mediare fra maggioranze e opposizioni attraverso una dialettica, fatta di complessi emendamenti e di attente discussioni. Nel momento in cui il Governo presenta al Parlamento testi bloccati dalla fiducia e sui quali l’unico voto possibile è un si o un no, il Parlamento assume un ruolo referendario circa l’indirizzo politico di maggioranza che viene ad essere espresso solo dal Consiglio dei Ministri e dal Capo del Governo, in particolare.
Probabilmente, i tre referendum elettorali sono falliti anche per questo: gli elettori si rendono perfettamente conto che il loro ruolo è ormai del tutto marginale e si riespande, se così si può dire, solo nella competizione politica nazionale, per poi scomparire del tutto.
In questo schema, il referendum popolare è del tutto inutile perché la funzione referendaria è divenuta la principale attribuzione del Parlamento.
Eppure, l’omino di latta bendato con solo la bocca per parlare è una discreta immagine del referendum: al corpo elettorale in una democrazia parlamentare resta solo il referendum per inviare i propri messaggi al sistema della rappresentanza politica.
Rinunciare a questa attribuzione ammantando di inutilità l’istituto attraverso l’astensione non sembra una buona idea.
Soprattutto se il referendum aveva per oggetto una disciplina elettorale più che discutibile e del tutto coerente con il movimento neocesarista che sta lentamente invadendo il tessuto costituzionale.