Le maschere di Marchionne
Poche cose sono tristi come le maschere veneziane lontane dalla laguna di Casanova.
Sono tristi a Venezia perché non le appartengono più.
Sono tristi nei mercatini turistici del resto di Italia perché assolutamente fuor di contesto.
Eppure non è possibile attraversare una città d'arte senza che qualcuno le venda.
Al pari di Torri di Pisa, Davidi di Michelangelo e amuleti vari.
Le maschere veneziane, però, sono un simbolo della glocalizzazione.
Del fatto che il mondo è un villaggio confuso, nel quale i segni dell'appartenenza locale sono gondole perse nei Sargassi.
Il referendum di Mirafiori è esattamente questo.
Un bancarellaio intelligente e spregiudicato, cittadino apolide del capitalismo di ventura, vuole essere autorizzato a vendere maschere veneziane davanti al Colosseo.
Opporsi pare impossibile.
Non per la real politik del partito democratico: meglio non scioperare che non lavorare.
Ma perché in un mondo sempre meno lontano, i confini dei diritti non seguono l'orizzonte costituzionale del magis ut valeat, ma sono inesorabilmente spinti verso il basso. Non è la Cina che viene verso di noi, ma noi che ci trasformiamo in cinesi.
Per questo, le maschere veneziane sono diventate indispensabili: nascondono un mondo in cui tutti hanno gli occhi a mandorla.