2 di novembre (moccoli e candele)
Un giorno come molti altri.
Così suonerebbe se fosse una canzone di chiesa.
Un giorno per pensare ai propri morti.
Un nonno che non hai quasi conosciuto, se non per ricordi e per la sensazione di calore e di sicurezza che davano quelle mani enormi.
Un altro nonno che era il silenzio della memoria di uno sterminio di cui non ha mai parlato.
Quella nonna che odorava di casa di cura e che aspettava di morire con l’impazienza di chi sa che cosa c’è e non teme ciò che non può non essere al di là delle cateratte che le rivestivano gli occhi.
L’ultima nonna che è stata ricordi e ricordi, un linguaggio di ricordi, quella che ti ha dato l’identità.
Tutti loro, oggi, mentre passo accanto a cimiteri che non conosco.
Mentre vedo fiori di serra e mi accorgo che l’autunno è la primavera dei morti. L’attimo in cui ai morti è concesso di fiorire.
Non senza un attimo di pensiero a quegli altari improvvisati.
Di candele rosse e santini.
La mensola di cucina ricoperta di santini e moccoli.
Non senza un attimo per pensare che i morti veri non sono quelli al cimitero.
I morti veri sono quelli dentro di me.
Tutte le persone che ho conosciuto, amato, frequentato e improvvisamente sono morte.
Per sempre, anche se respirano.