La giustizia nella rete
Giornata di divano.
In un corridoio di giustizia.
Urla e strepiti.
Provengono da stivali metallici, che si innalzano su calze a rete, sciatte di smagliature larghe come scannafossi, e terminano su uno spacco che potrebbe essere vertiginoso se non odorasse di macelleria. Non troppo fresca. Il resto è coperto dalla voce di gallaccio travestito.
È accaduto che un anziano avvocato avesse bussato ad una porta senza averne titolo ed avesse osato chiedere ad una giudice vestita come chi rientra dal lavoro al mattino presto quello che avrebbe dovuto chiedere a chi riempie la cancelleria dell’aria di non aver lavorato mai.
Tremenda l’offesa.
Tremende le urla.
Divertito il capannello che si forma senza avvicinarsi di un passo.
Triste l’anziano che ascolta tutto quello che gli viene detto.
China la testa nel più cerimonioso degli inchini che anni di salamelecchi gli hanno insegnato.
Non un inchino alla giustizia che è dovuto.
Ma alle sue calze smagliate.