Una difesa per il cittadino Berlusconi (Semel in anno)
De Gregorio è un simpatico politico della Seconda repubblica.
In un certo senso, rappresenta una delle icone della Seconda repubblica, un po’ a quella maniera di seconda fila in cui la frase del socialista Teardo (il partito mi ha assolto, la magistratura non mi può condannare) è stata una dei simboli della Prima.
Lo si ricorda perché eletto nelle liste dell’Italia dei Valori di Di Pietro, dapprima accettò la carica di presidente della commissione difesa del Senato con i voti del centrodestra e, successivamente, contribuì al voto di sfiducia del Governo Prodi.
Era la quindicesima legislatura repubblicana.
Lo si potrebbe meno facilmente ricordare giovane giornalista del Paese Sera, specializzato in cronaca nera ed autore di non pochi scoop di una certa risonanza nazionale, ovvero come socialista fra gli anni 80 e 90, oppure come simpatizzante di Forza Italia sin dalla sua fondazione o, infine, come stretto collaboratore di Valter Lavitola.
E ci si potrebbe chiedere, come ci si è chiesti, che avesse a che fare con l’Italia dei Valori.
In un certo senso, De Gregorio è un simbolo di quella generazione che è partita negli anni settanta con molti sogni e qualche illusione ed è cresciuta nell’Italia degli anni ottanta, trasformando i propri sogni nelle concrete opportunità offerte dal socialismo di Craxi inteso come rivoluzione culturale molto più vicina alla Thatcher di Mitterand che a Mao e quindi come cultura egemone in senso gramsciano.
Di fatto, da qualche tempo De Gregorio e la sua associazione Italiani nel mondo, il cui slogan sembra l’oggetto sociale di una associazione di stampo mafioso: l’unico confine è la tua volontà, sono al centro di numerose inchieste giudiziarie.
Il problema di De Gregorio, a parte l’aspetto fisico talmente lombrosiano da non poter essere di aiuto in una indagine giudiziaria, è che come lo scuotono escono denari di cui non riesce a giustificare la provenienza.
Da ultimo, sono usciti fuori tre milioni di euro, che non sono pochissimi.
De Gregorio ne giustifica la provenienza accusando Berlusconi di avere acquistato il suo voto di (s)fiducia e se stesso di averne fatto mercimonio.
E’ un’accusa intelligente giacché l’art. 68, Cost. fa sì che nessuno possa essere considerato responsabile per le opinioni espresse ed i voti dati in parlamento.
In altre parole, De Gregorio con questa autoaccusa giustifica il denaro che non sa giustificare accusandosi di un reato per cui non può essere giudicato.
Onestamente, anche se l’avverbio parlando di De Gregorio non sembra poter essere utilizzato con disinvoltura, basterebbe questo, per una volta, per assolvere il povero Berlusconi.
Che Berlusconi sia uomo di mondo è un fatto notorio, che come uomo di mondo sappia che ogni uomo ha il suo prezzo è una conseguenza logica della prima affermazione, che abbia bisogno di spendere tre milioni per comprarsi il voto di De Gregorio, forse, è meno facile da credere.
Con tre milioni, nella quindicesima legislatura, dopo il prezzo sembra essere sceso ancora, di senatori se ne potevano comprare molti di più e Berlusconi, che non è un imbecille, questo lo sapeva benissimo.
Inoltre, se uno come Berlusconi compra un voto, non lo compra da un senatore la cui affidabilità assomiglia a quella di una entreneuse che commenta le doti virili del proprio cliente.
Infine, se un’accusa talmente grave da poter essere considerata un attentato alle istituzioni (una cosa è comprare un voto, una cosa è comprare la sfiducia ad un governo), viene mossa da un Di Gregorio, la magistratura, prima di lasciar filtrare la notizia sui giornali di mezzo mondo, non dovrebbe cercare riscontri?
Ma Woodcock, il cui cognome ha una traduzione letterale che sarebbe perfetta per un attore di Russ Meyer, è diventato famoso con le indagini sull’ultimo Vittorio Emanuele di casa Savoia, indagini di cui è più facile ricordare gli echi sulla stampa scandalistica che non la sentenza di assoluzione.