Lo sciopero della Rai dal punto di vista della maculopatia
Vi è una singolare assonanza fra la protesta dei dipendenti Rai e lo scandalo della maculopatia.
La protesta dei dipendenti Rai e, in particolare, dei suoi giornalisti, ma anche delle sue firme più prestigiose, riguarda la decisione del Governo di collocare sul mercato alcuni asset aziendali per ripianare almeno in parte la posizione debitoria dell’azienda.
In questa protesta, suona forte l’indignazione per un Governo incapace di strategie di lungo respiro circa il futuro di questa azienda pubblica e, nello stesso tempo, estremamente arrogante nella propria tattica comunicativa.
Nello scandalo della maculopatia, si è venuti a sapere che un cartello di aziende farmaceutiche era riuscito a falsare il mercato delle conoscenze in modo da costringere il servizio sanitario a pagare [1,7kEuro] per una dose di medicinale che era del tutto equivalente a un altro farmaco del costo di poche decine di Euro.
La vera questione, in entrambi i casi, è quanto può costare un servizio pubblico e se è corretto che costi quello che costa.
La Rai offre un servizio pubblico? E’ davvero possibile dubitarne: i programmi della Rai possono avere un senso solo se corrispondono a una costruzione dell’interesse pubblico alla diffusione e alla produzione della cultura. E’ il modello di Radio 3, che diffonde programmi culturali 24 ore su 24, ma potrebbe essere anche il modello di una casa di produzione (Rai way?) che consente la realizzazione di video di alta qualità o comunque che dicono qualche cosa.
Nella realtà, la Rai costa molto e, sul piano dell’interesse pubblico che dovrebbe servire: l’interesse al pluralismo nell’informazione, l’interesse alla costruzione di una seria dialettica politica attraverso l’elaborazione di una cultura politica, l’interesse alla diffusione della lingua italiana, che molti, davvero molti, hanno dimenticato e ricordano solo con la Gazzetta dello Sport sul banco dei gelati, l’interesse alla produzione di programmi culturali (che non sono i concerti per violino di Radio Mosca), non fa altrettanto.
La Rai non costa quello che vale e se lo si dice ai suoi dipendenti, se li si avverte che un mondo sta scorrendo verso la fine e che sono arrivati i titoli di coda del telegiornale, non si dice una cosa scorretta, si dice la verità e si cerca di adottare un comportamento conseguente trasferendo al mercato gli asset che non sono strategici per il conseguimento dell’interesse pubblico perseguito dall’azienda (Si noti che se questo ragionamento è corretto, questi asset corrispondono all’intera azienda, che oramai assomiglia all’organizzazione del Porto di Genova al tempo dei camalli).
La posizione dei dipendenti Rai e il loro sciopero assomigliano molto a quella delle case farmaceutiche che facevano cartello per vendere un farmaco necessario per rallentare la cecità a un costo molto superiore a quello che avrebbero potuto ottenere senza falsare il mercato delle informazioni.
Con una differenza davvero importante.
Nel caso della maculopatia, lo Stato dimostra un grande coraggio perché accetta di pagare un farmaco che rallenta una malattia fatale senza guardare al suo costo e indipendentemente dalla capacità di reddito del malato.
Nel caso della Rai, lo Stato non interviene in un settore – quello del pluralismo dell’informazione e della diffusione della cultura – che soffre quasi quanto un poveretto che sta diventando cieco, ma spende esattamente come se intervenisse, anzi, forse di più.
E, poi, se è davvero di cattivo gusto chiedersi nel caso della maculopatia se valeva la pena investire su quel malato, se quel cittadino meritava davvero, dal punto di vista dell’interesse collettivo, le spese sostenute nel suo interesse, un ragionamento di questo tipo nel caso della Rai acquista un tono davvero diverso: vale davvero la pena investire il denaro dei cittadini per questi giornalisti, per questi dipendenti, per queste ballerine, insomma: per questi lacchè?
Lo Stato che si sforza di guarire i propri cittadini malati, che offre loro le migliori cure disponibili sul mercato, a costo di farsi buggerare dalle imprese farmaceutiche, senza guardare in faccia a nessuno, è uno Stato di cui si è orgogliosi cittadini.
Esattamente come vorremmo essere orgogliosi cittadini di una Repubblica che colloca sul mercato l’intera Rai, o la dismette, o ne licenzia i dipendenti, o comunque la fa diventare una cosa seria…