Com’è di due che si sono rivisti quasi si fossero appena lasciati
ma si salutano per non vedersi più
Il Boggi lo conosco fai tempi del liceo.
E’ sempre stato un imbecille, un simpatico imbecille, di quelli con cui è piacevole passare il tempo, discutere del centro delle donne e da lì passare alla Divina Commedia.
Perché, in fondo, le due cose sono collegate dallo stesso cervello in cui abitano come se fosse un condominio pieno di gente bislacca.
Lo incontro dopo un intervallo compreso fra i venti e i sessanta anni. Dopo che ci si era lasciati in un liceo di tanti anni fa, persi nell’alternativa amletica della ricreazione: il Mars o il panino con la mortadella?
Mi racconta di sua madre. Della morte di sua madre, di quegli anni in cui l’Alzheimer le è entrato in bocca e le ha rubato le parole, lavandole come se fossero scritte sulla sabbia dei mare, onde che le entravano in bocca all’inizio di una frase e uscivano prima che la finisse.
Mi racconta di due anni passati a guardarla legata in un letto, del desiderio di soffocarla per non vederla più in quelle condizioni e del sollievo quando finalmente è soffocata da sola.
Mi colpisce allo stomaco con la semplicità del dolore vero e maschero la commozione con un velo d’indifferente fastidio, come se stessi leggendo e non avessi voglia di essere interrotto dalla [inutile] cordialità del vicino.
Se ne accorge e d’un balzo:
Ma ti rammenti quando s’era ragazzi e le seghe erano uno sfogo? Ora mi ci vuole un’ora e son diventate un passatempo.
Va via, ridendo sgangherato, senza salutare. Com’è di due che si son rivisti quasi si fossero appena lasciati ma si salutano per non vedersi più.