Idalberto (inganno di infanzia)
E’ un ricordo di infanzia e ha il sapore gigante delle cose viste da un bambino di tre anni cicciottello e con gli occhi storti.
Abitava sotto di noi a Castiglioncello in quella casa che è stata felice come tutte le case al mare e infelice come tutti i luoghi in cui la famiglia che mi ha generato ha dimorato alcun tempo.
Era alto e innamorato della moglie argentina, Corinna.
Trasformò la benda che curava il mio strabismo in un travestimento da pirata. Erano gli anni del Corsaro Nero e dell’Isola del Tesoro, ma anche della marmellata di fichi e delle caramelle Rossana.
Gliene fui grato.
Mi raccontava della guerra perché era stato paracadutista a El Alamein e quei racconti mi colpivano moltissimo: erano così diversi dalle storie di deportazione e confino dei miei nonni.
Aveva una figlia maoista di cui non parlava volentieri ma questo per me non aveva importanza: nulla immaginavo dei sogni che allontanano i genitori dai figli e ancora non li temevo.
Il suo babbo si chiamava Torello e i capelli della sua mamma sapevano di nonna buona.
Oggi ho trovato in una libreria usata un suo libro di poesie: tenere e decadenti. Mai avrei pensato che scrivesse poesie.
E’ un libro magico perché lui è uscito fuori da quelle pagine e io sono tornato quel bambino che lo ascoltava affascinato, ancora una volta pieno di gratitudine per la gioia che mi ha portato in dono.
La mia infanzia, per qualche attimo, ha avuto più il sapore dei brigidini che mi portava da Lamporecchio che di quella famiglia che mi ha generato come un tribunale che consegna al carnefice un rompicoglioni la cui innocenza è affatto irrilevante.