Il vero italiano
Quest’estate sono mancati in parecchi.
Pippo Baudo, lutto nazionale.
Emilio Fede, lutto Fininvest, che non è più lutto nazionale ma ci assomiglia.
Giorgio Armani, lutto milanese, che è ancora più lutto nazionale del lutto nazionale perché crede di essere internazionale.
Stefano Benni, lutto a casa sua e l’applausometro dei coccodrilli quasi immobile.
Ognuno di questi signori incarna un diverso modo di essere italiani veri, un po’ come Toto Cotugno che è morto pure lui.
La cosa triste è che l’italiano che convince di più sia, a leggere i giornali, Giorgio Armani.
Non perché Armani non meritasse il massimo della stima, per il suo genio, l’understatement, il fiuto per gli affari e, ovviamente, il senso dell’eleganza.
Ma perché fra Giorgio Armani e gli italiani registrati all’anagrafe c’è un incolmabile abisso.
Un po’ la stessa distanza che c’è fra i modelli delle sfilate e i clienti del prêt à porter.
Una nazione che non si riconosce in se stessa è destinata a crollare sotto il peso delle proprie caricature.
E questo Benni lo ha sempre saputo vedere, leggere e raccontare con garbato genio.
Per questa ragione, pochi lo hanno voluto ricordare.