Il celolunghismo accademico, ovvero delle immatricolazioni
Il consiglio di facoltà di oggi ha visto il preside comunicare i primi dati relativi alle immatricolazioni del primo anno.
L’aula è appena rientrata dalle vacanze: le colleghe maggiormente convinte di sé e della propria abbronzatura arrivano volutamente in ritardo, per poter ruotare intorno al tavolo della presidenza e farsi vedere mentre firmano il ruolino delle presenze.
Un immaginario defilé di anziane ragazze.
Mi chiedo anche questa volta perché sia necessario passare dal parrucchiere e dall’estetista prima di un consiglio di facoltà.
I corsi sono chiamati uno per volta.
I presidenti dei singoli corsi di laurea sudano: taluni soddisfatti, altri imbarazzati (loro sanno già i risultati).
Ciascuno sa di essere alla premiazione del campionato, a quella classica gogna che ogni casa del popolo conosce quando costringe gli allenatori dei vari bar ad ascoltare il dettaglio delle proprie sconfitte.
Le squadre – pardon, i corsi – sono illustrate: iscritti precedente anno accademico, iscritti in questo anno accademico, variazione percentuale.
Dapprima in ordine alfabetico, poi secondo il numero di iscritti, infine guardando alle variazioni percentuali.
Sorrisi, parole di apparente comprensione, tentativi di spiegare le ragioni di qualche fallimento.
La premiazione è quasi finita, quando il professor TT, che indossa i soliti occhiali scuri e tiene come sempre la camicia aperta fino all’ombelico, scende dalla spider, che ha lasciato sul posto riservato ai diversamente abili (e chi può negargli questa qualifica?), per un ingresso trionfale.
Fortunatamente sbaglia il senso di circolazione del defilé e consente al preside di dargli pubblicamente di idiota, con un “devi entrare dall’altra parte [, idiota]”, nel quale il cortese epiteto è perfettamente percepibile nei puntini di sospensione.
Anche questa volta, mi alzo prima della fine del consiglio.
Avevo esami.
Erano fissati da tempo e non credo corretto far aspettare i miei studenti.