Uno che è stato un bambino invisibile
Lo conosco fin da piccolo.
Quando gli altri bambini giocavano a pallone, lui faceva collezione di gomme da cancellare profumate con le sorelle più grandi.
Una famiglia strana, soffocata da un padre molto di successo, affascinante, non particolarmente votato alla fedeltà coniugale.
La madre, triste: una bella donna invecchiata anzitempo dai tre figli, acida.
Lui quasi invisibile nell’assenza del padre, nella disperazione isterica della madre, nella graziosa vacuità delle sorelle.
Mi è cresciuto accanto.
Quando è diventato grande, ha cominciato a parere un pò troppo effeminato.
Delicatamente bello, quasi efebico, un modo cortese di porgere le cose nel conversare.
Sensibile, a tratti eccessivamente sentimentale, ma sempre intelligente.
Veniva spesso a casa mia, finché una volta si sentì in dovere di confessare al mio imbarazzo il suo innamoramento.
Non ci siamo quasi più visti.
Oggi era seduto su una panchina, nelle prime ore del mattino, il viso orrendamente truccato, l’aria disfatta di una notte malvissuta.
Mi sono fermato a salutarlo.
A salutare il suo stupore: non pensava che mi sarei fermato.
E mi sono ricordato di avergli voluto bene.
Di volergli ancora bene.
Assorbendo una volta di più tutta la sua sofferenza di bambino invisibile.