Nick Cave e la montagna solitaria
Un concerto.
Bello.
Forse più bello di altri.
Forse, no.
Sicuramente una strana atmosfera.
Un concerto di fine maggio in un parco mediceo.
Pioggia.
Pioggia battente.
Insistente.
Pioggia a penetrare gli abiti.
Tiepida.
Piacevole.
Amici.
Gli amici di sempre.
Più Gesù.
Che nessuno vedeva da anni e che si è tagliato barba e capelli.
Fino a perdere il profumo da redentore che lo accompagnava un tempo.
Da redentore birichino.
Ma non era Gesù la persona che mi ha agguantato il cuore.
No.
Era un tizio enorme.
Solo.
Completamente solo.
Accanto a noi.
Grosso di quella grandezza imbarazzante che hanno certi giganti.
Solo di una solitudine un po’ idiota.
Della solitudine di chi sa di essere idiota.
Che è una solitudine strana.
Irrimediabile.
Una solitudine che si scusa della propria stupidità.
C’è questo negli idioti, talvolta.
La consapevolezza dei propri limiti intessuta come una colpa.
Resta.
La montagna solitaria.
Molto più di Nick Cave.
Più della pioggia.
Resta e fa male la sua elemosina di normalità.