Gravatta e gravatte (Corsi e ricorsi, lontani da Vico)
La cravatta racconta molto di chi la indossa.
Le cravatte possono essere sobrie o estrose.
Ogni cravatta, inoltre, ha il suo nodo.
Lo stesso nodo su tutte le cravatte assomiglia a una bestemmia.
Un po’ come usare la stessa cravatta su tutti i vestiti o non lasciare una piega nel nodo, in modo da fingere distrazione.
Non è così per tutti.
Taluni usano la stessa cravatta per ogni circostanza.
Con lo stesso nodo.
Ci dormono o la lasciano riposare annodata ad una sedia.
Sono barbari.
Soprattutto se la cravatta comincia a mostrare i segni della consunzione.
Quel segnarsi di corda e sughi che appare sul nodo e che è, per una cravatta, l’equivalente di una malattia vergognosamente venerea.
Se si aggiungono i pantaloni di flanellina con le borse ai ginocchi, la camicia con le punte annientate da troppi passaggi del ferro da stiro, le scarpe deformate, la giacchettina blu con i gomiti lucidi e i bottoni d’oro, ci si può spaventare.
Una persona vestita così che bussa alla porta, lo fa per chiedere qualcosa.
Soprattutto quando la si conosce bene e ci si ricorda che i suoi tempi migliori sono stati sorretti da una cintura psichedelica e da una maglietta nera, immutabile come la cravatta.
Lo si riceve prendendo appunti e accompagnandolo alla porta si sorride gettando il foglio su cui si è scritto.
Un modo come altri per evitare di rivederlo.
Senza nessuna certezza, però e purtroppo.