Il Parlamento boccia il rendiconto finanziario: vuol dire qualcosa?
Il Parlamento ha bocciato, o meglio non ha approvato, il rendiconto generale dello Stato.
Cosa significa?
Sul piano istituzionale, il rendiconto generale dello Stato non è un atto politico.
Ma lo è la sua approvazione.
Il rendiconto è un documento predisposto dalla Ragionieria dello Stato e presentato dal Ministro delle Finanze che mostra il modo con cui la manovra finanziaria e la legge di bilancio sono stati attuati nell'anno precedente.
Serve a consentire al parlamento di esercitare la propria funzione di controllo sul governo vedendo analiticamente come sono stati spesi i denari pubblici.
Di conseguenza, in uno schema invariato sin dalla legge 457 del 1978, il governo è chiamato a presentare al parlamento un documento che serve a "rendere conto" della azione governativa ed il parlamento è chiamato ad approvare o meno questo documento.
Il primo atto, il disegno di legge, non è un atto politico, è la presentazione di una contabilità redatta secondo criteri economici che hanno come scopo principale l'esattezza e la verità di quanto rappresentato.
Il secondo atto, l'approvazione, è un atto politico, perché giudica se quanto rappresentato corrispondeva alla volontà direttiva dello Stato impressa nei documenti di programmazione economica e finanziaria e nella legge di bilancio.
Di conseguenza, la mancata approvazione del rendiconto generale dello Stato non è un incidente tecnico.
Dovrebbe essere, nel suo significato istituzionale, la bocciatura della azione di governo.
Non lo è solo a causa della straordinaria legittimazione che deriva al primo ministro dalla elezione diretta.
Eppure questo evento è significativo di un altro fenomeno che sta emergendo in questo scampolo di legislatura.
La maggioranza si è voluta rendere autonoma dalle minoranze. Ha voluto essere l'unica forza che rappresenta l'unità della nazione. La sostanza della dialettica parlamentare si è immiserita in una sequenza di voti dominati dalla disciplina di partito, senza nulla della ricerca di compromessi che costituisce l'essenza del parlamentarismo.
Ma la forza delle minoranze si è trasformata, mentre la maggioranza le schiacciava in un Aventino determinato dalle riforme regolamentari e dalla loro attuazione sempre più spregiudicata, il bisogno di una minoranza che è immanente al principio democratico, si è trasferito all'interno della stessa maggioranza.
Oggi le minoranze non sono più quelli che hanno perso le elezioni, ma quanti nella maggioranza potrebbero scomparire dalle prossime elezioni e questi soggetti si fanno forza di una formidabile capacità di ricatto perché senza il loro voto la maggioranza non è più maggioranza.
Una maggioranza che decide di fare a meno della minoranza diventa schiava delle minoranze interne alla maggioranza.
Difficile capire se questa sia una vendetta del principio democratico o la sua resurrezione.