Zupha
Gita in carcere.
Un detenuto deve sostenere l’esame costituzionale.
Il carcere è a Porto Azzurro.
Lontano.
Il carcere ha porte pesanti, che si aprono, una dopo la chiusura dell’altra. Ha targhe che ricordano rivolte e muri che mostrano il segno di mani passate dietro la schiena. Ha corridoi di passi silenziosi e urla lontane.
Il silenzio è fatto di echi.
Il detenuto viene accompagnato. E’ grande e grosso. Ha l’aria mite di uno studente che deve superare l’esame.
E lo supera.
Con la rara brillantezza di chi ha studiato per capire il significato delle parole, con la profondità di chi ha strappato a quel silenzio rumoroso di solitudine, il tempo dello studio.
Ringrazia al termine dell’esame.
Ringrazia di aver impiegato un giorno per raggiungerlo e per ascoltarlo.
Ringrazia per essere stato trattato come uno studente qualsiasi.
E sbaglia parametro costituzionale, perché ringrazia l’art. 27 della Costituzione, in punto di funzione rieducativa della pena.
Ma non è questa la norma giusta.
La norma giusta è l’art. 3, primo comma: l’eguaglianza formale: Vede, caro amico, se io fossi chiamato ad applicare l’art. 27, Cost. sarei un suo carceriere e questo non voglio esserlo. Io sono chiamato ad applicare l’art. 3 e a trattarla come qualsiasi altro studente che ha il sacro santo diritto di sostenere l’esame con il docente titolare della cattedra.
Non sempre il mestiere del professore universitario dà soddisfazioni.
L’ha data oggi ed è stata una soddisfazione da custodire a lungo.