La fiducia sulla legge elettorale: Gentiloni non è De Gasperi
Fiducia sulla legge elettorale
Le opposizioni hanno denunciato la decisione del governo come politicamente e costituzionalmente scorretta e le diverse anime della maggioranza si sono trovate in imbarazzo: nei giorni scorsi il governo aveva più volte fatto capire di non avere alcun desiderio di far diventare la legge elettorale un elemento del proprio programma.
Sul piano costituzionale, il Governo può porre la fiducia sulla legge elettorale.
Tutti rammentano il precedente di De Gasperi che pose nel 1953 la questione di fiducia sulla legge truffa, anche se pochi sottolineano la distanza fra De Gasperi, che al termine della prima legislatura repubblicana voleva un premio di maggioranza per governare da solo la seconda legislatura, e Gentiloni, che ha sempre tenuto un profilo lontano dalle dinamiche di lotta elettorale e si è sempre distinto dal segretario del partito di cui fa parte.
La legge elettorale come oggetto di una mozione di fiducia
Il governo si è impegnato a dimettersi nel caso in cui non venisse approvata una legge elettorale che è identica per Camera e Senato e prevede:
- un voto unico a ciascun elettore che vale come opzione per un pacchetto formato da un candidato in un collegio uninominale e una lista bloccata corta in una circoscrizione plurinominale;
- se più liste sono collegate a un solo candidato uninominale, i voti attribuiti al candidato uninominale vengono divisi fra le liste in proporzione ai voti complessivamente ricevuti da ciascuna lista;
- coalizioni omogenee sul piano nazionale;
- alla Camera, 232 collegi uninominali; 12 collegi esteri, in cui non cambia nulla; 386 seggi che vengono suddivisi proporzionalmente fra le liste con il metodo del quoziente e uno sbarramento del 3% per le liste e del 10% per le coalizioni;
- al Senato, come alla Camera, ma la somma è fra 112 (senatori uninominali); 6 (senatori stranieri) e 193 (senatori proporzionali).
Si può discutere a lungo della ragionevolezza di questo sistema elettorale.
Dal punto di vista di chi scrive, non è ragionevole un voto unico per un pacchetto inscindibile formato da un candidato uninominale e una lista proporzionale: sono due logiche di voto diverse, perché una guarda alla persona e l’altra alla formazione politica. Ma mi pare una tecnicalità.
Questo sistema elettorale certifica il termine della stagione della ingegneria elettorale, in cui si cercava di risolvere il problema della governabilità con una formula elettorale.
Con questo sistema, la governabilità diventa una questione parlamentare e torna centrale il ruolo del presidente della repubblica come facilitatore e organizzatore di maggioranze politiche.
Da questo punto di vista non sembra inappropriato che Gentiloni ne sia lo sponsor.
La fiducia nella tattica parlamentare
La fiducia nella tattica parlamentare evita il voto segreto, perché deve essere votata a scrutinio palese e per appello nominale; determina il contingentamento dei tempi e, perciò, la riduzione del numero degli interventi ; fa cadere gli emendamenti.
Il contingentamento dei tempi e la riduzione degli interventi non sembrano un problema: il nostro parlamento non ha bisogno di discussioni sterili. Ha bisogno di interventi rapidi ed efficaci, coerenti con una stagione in cui il dibattito politico ha più la forma del tweet che quello di un discorso di Cavour.
Gli emendamenti sono, soprattutto in materie politicamente incandescenti, più uno strumento di ostruzionismo che non di dialogo.
Il voto palese è un valore perché permette al popolo di conoscere il comportamento dei propri rappresentanti e gli agguati dei franchi tiratori agevolati dal voto segreto non sono la parte migliore della nostra storia parlamentare.
Tuttavia anche il voto segreto è un valore e non soltanto perché assicura la libertà di coscienza del votante ma soprattutto perché impedisce agli elettori di sapere chi ha votato quella legge elettorale e quindi rende la legge elettorale il risultato della volontà popolare e non di una maggioranza storicamente determinata, come sarà in questo caso.
Così è stato fino all’età di Craxi per il voto finale sulle leggi e così, forse, sarebbe il caso che continuasse ad essere anche per leggi come quella elettorale che tendono a conformare la forma di governo.
Ponendo la questione di fiducia, oggi e non nel 1953, il Governo Gentiloni ha dichiarato che la legge elettorale è un problema che deve essere risolto dall’indirizzo politico di maggioranza, esattamente come fece nel 1953 De Gasperi suscitando un’aspra reazione da parte di Togliatti e del movimento socialcomunista.
La novità è che la scelta di De Gasperi mirava a un sistema parzialmente maggioritario e orientato verso una governabilità monocolore.
La scelta di Gentiloni è orientata in direzione diametralmente opposta.
Gentiloni non è De Gasperi (anche se De Gasperi era di casa a Palazzo Gentiloni)
Gentiloni non è De Gasperi.
Non ha posto la questione di fiducia su una legge elettorale che mira a favorire la formazione di maggioranze stabili e coese per effetto del voto degli elettori.
Ha posto la questione di fiducia su una legge elettorale che appartiene al DNA del suo governo perché colloca il baricentro della formazione delle maggioranze di governo fra il parlamento e la presidenza della repubblica.
Il vero senso di questa ipotesi di legge elettorale, se venisse approvata, è il termine della stagione politica in cui si intendeva restituire lo scettro al principe attraverso marchingegni di ingegneria elettorale e il ritorno a una politica che si fa fra le segreterie dei partiti e i gruppi parlamentari, incontrando talvolta e quasi per disavventura il confronto elettorale.
Ma i tempi sono cambiati e questa ipotesi di legge elettorale potrebbe assomigliare a quel che fu il congresso di Vienna non tanto per Napoleone ma per i moti rivoluzionari del 1848.