Il negozio politico (A proposito di Torino – Lione, Ilva e tassa di soggiorno)
1 – Il negozio politico è l’accordo di coalizione. Il negozio politico, come il negozio giuridico, ha bisogno di una causa per poter essere considerato lecito.
La causa del negozio politico dovrebbe essere la giustizia sociale, se manca la giustizia sociale, il negozio politico diventa il luogo di scambio di clientele basate su interessi particolari.
Praticamente, la bottega dei souvenir di Ho Chi Minh.
2 – Torino – Lione, Ilva e tassa di soggiorno sono tre temi discussi nell’ambito dell’accordo di coalizione.
Tre diversi capitoli di questo negozio politico e tre diversi modi di atteggiarsi delle questioni poste dalla giustizia sociale.
2.1 – La Torino – Lione e l’alta velocità in generale distingue fra due tipi di viaggiatori: il passeggero del Freccia rossa, profumato di colonia e che scrive sul portatile mentre l’Italia è un paesaggio che fugge fra due appuntamenti, e quello del Feccia nera, fragrante di lenzuola appena abbandonate e che parla rumorosamente di calcio con i compagni di viaggio.
E’ una questione di giustizia sociale tollerare un servizio pubblico che impone due status così diversi a chi cerca di soddisfare la stessa identica libertà di circolazione alla ricerca dello stesso identico diritto al lavoro.
2.2 – La produzione dell’acciaio in uno stabilimento inquinante come tutti gli altiforni e tutte le cokerie crea diseguaglianze intollerabili fra chi vive dell’inquinamento che è una parte del salario di cui i suoi figli non possono fare a meno e tutti gli altri cittadini del paese.
E’ una questione di giustizia sociale anche l’idea di dismettere un’attività produttiva per acquistare altrove l’acciaio di cui il nostro benessere non può fare a meno.
Le acciaierie indiane, cinesi, russe e pachistane non sono molto migliori dell’ILVA di Taranto, cambia la cittadinanza dei salariati, non cambia l’inquinamento che questi sono obbligati ad accettare né le ragioni per cui lo fanno.
2.3 – La tassa di soggiorno è solo apparentemente una questione marginale perché costituisce una parte significativa dei ricavi delle amministrazioni locali di un paese che conosce il turismo come una delle sue risorse fondamentali. Abolire la tassa di soggiorno avvantaggia gli albergatori, ma non anche gli altri cittadini perché questo tributo funziona come gli oneri di urbanizzazione: serve a compensare la collettività del vantaggio che alcuni cittadini ottengono per mezzo della valorizzazione in senso economico di un bene comune (negli oneri di urbanizzazione, il consumo del suolo; nella tassa di soggiorno, la bellezza e la cultura).
Nelle città d’arte gli strumenti di governo dei flussi turistici e gli investimenti per poter continuare a costruire politiche “magnifiche”, in cui il valore del consenso è anche costruzione della bellezza, sono questioni di giustizia sociale.
Si devono impegnare a cercare una loro “magnifica” identità oltre il turismo e abolire la tassa di soggiorno significa solo premiare chi vive vendendo una bellezza senza preoccuparsi di vederla sfiorire.
3 – L’idea dell’accordo di coalizione come negozio politico è molto post democratica e post ideologica, ma lascia qualche spunto di amaro in bocca, perché il nostro paese ha bisogno di giustizia sociale e di un programma in cui molto semplicemente ci si sforzi di essere un po’ più buoni.
Come bambini per Natale e non come turisti alla base del sentiero di Ho Chi Minh, che cercano un ricordo invece di interrogarsi sulle cause di una crisi che non è ancora stata del tutto risolta..