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L’uccello di Clemente

2 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
09/10/2007

New York, 8 ottobre 2007 – Columbus Day (che peraltro cade il 12 ottobre)
Il ministro della giustizia, e non anche della grazia, italiano sbotta in un simpatico: "I biglietti, li ho pagati io, per i cazzi miei: 8.800Euro per me e mia moglie Sandra".
Di conseguenza l’uccello del ministro vale più di ottomila Euro, quasi novemila.
Non è male.
A parte, il feticismo, quello che conta mi pare che siano due polemiche.
Da una parte, i costi della politica e dell’uso personale della politica. E’ una polemica che si affaccia dai tempi della unificazione, che ha ammalato politici, come Giolitti, dallo spessore un pò più denso del guardasigilli di Ceppaloni.
E’ una polemica su cui continua a valere la pena di interrogarsi perché coinvolge il prezzo del consenso e le dinamiche della democrazia.
Temo, però, che sia una polemica vecchia: il consenso si forma in maniera sempre meno clientelare.
O meglio attraverso clientele sempre meno ceppalonesche.
E’ sempre più vecchio, e forse anche sterile, il meccanismo del voto di scambio, il prezzo dello scambio ha un moltiplicatore molto più basso del costo della propaganda.
Le autoreggenti della Brambilla generano più consenso per Berlusconi di un posto alle poste e gli costano molto meno.
La seconda polemica riguarda l’autonomia della magistratura.
Qui, forse, Mastella non ha tutti torti.
Esiste uno scandalo in Lucania: avvocati e magistrati che pilotavano le cause, non solo penali, ma soprattutto civili, per il tramite di una consorteria trasversale al sistema politico e fortemente interconnessa con lo stesso.
E’ uno scandalo di cui non si comprendono bene i confini.
I giornali ne hanno sempre parlato nelle pagine interne.
Non è facile nemmeno rammentare il suo esatto contenuto.
La comunicazione di questo scandalo oggi è che il magistrato coraggioso che ha cercato di portare in dibattimento il malaffare rischia di essere trasferito.
Ma:
(i)   questo magistrato aveva chiesto di essere trasferito a Napoli per motivi personali, sicché aveva già deciso di mollare l’osso;
(ii)  questo stesso magistrato ha consumato somme particolarmente ingenti, oltre un milione e mezzo di Euro, in indagini che potevano essere delegate alla polizia giudiziaria, come indagini assai più complesse e delicate sono state affidate alla polizia giudiziaria da Falcone o Borsellino;
(iii)  vi è nella autonomia costituzionale della magistratura, un duplice filtro: da una parte, gli ispettori ministeriali cui sono affidate le indagini che sole possono giustificare l’attivazione del potere disciplinare del CSM su impulso del guardasigilli sono magistrati; dall’altra parte, il CSM è composto per due terzi da magistrati, sicché il potere politico può materialmente molto poco nei confronti di un magistrato se la classe dei magistrati non condivide le sue censure.
In questo, Mastella mi pare che abbia assolutamente ragione: se i suoi ispettori gli denunciano delle irregolarità, lui ha il dovere di attivare il consiglio supremo della magistratura ed il consiglio ha il dovere di verificare la sostanza di queste irregolarità.
Aggiungo che, a mio parere, non è una irregolarità da poco l’esternalizzazione delle indagini. Lo Stato ha il dovere di far fronte alla lotta contro il malaffare utilizzando il proprio apparato perché la pubblica amministrazione è vincolata al principio di legalità ed al dovere di imparzialità. Fare a meno di questo appparato significa anche fare a meno di questi valori costituzionali. In questi casi, ci si deve chiedere perché il magistrato titolare delle indagini ha utilizzato dei consulenti di propria esclusiva fiducia e rispondersi che gli apparati dello Stato erano al servizio del malaffare può essere comodo.
Infine, dire che il CSM ha già censurato Mastella perché non ha concesso le misure cautelari che il guardasigilli chiedeva (così Giuseppe D’Avanzo su Repubblica di oggi) è falsificare la realtà: le misure cautelari sono concesse sulla base di una cognizione sommaria, che lascia del tutto impregiudicato il merito della questione.
Insomma, Mastella è un relitto storico.
Naif.
Non simpatico.
Odioso quando afferma di non poter essere sottoposto al giudizio della opinione pubblica perché sorretto dal voto massiccio dei suoi elettori.
Ma anche la magistratura non è sempre simpatica.

Chi li ha sciolti? (primo)

1 Comment/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
09/10/2007

Chi è che anche stamani ha sciolto:
–   i vigili urbani a cavallo, che non hanno mai capito di non essere a Central Park,
–   le vigilesse con le calze a rete, che sacrificano le loro vene varicose sull’altare di una seduzione grottesca,
–   quelli con il banchetto delle firme contro la droga: "yur sigg againss droccs" che continuano a devastarmi la quiete del basso ventre senza capire che non sono inglese,
–   il barista che si sente in dovere di narrare la composizione del menu serale e la sua contemplazione notturna del dio gaviscon, come se me ne fregasse qualcosa,
–   il banchiere, un banchiere vero con dodici cognomi, che prima ti saluta deferente e poi si gira verso il mendicante che gli chiede l’elemosina con un "basta, hai rotto i coglioni", che non sfigurerebbe in una commedia in vernacolo,
–   il furbetto con il cartello da invalido che posteggia in pieno divieto di sosta ed in palese zona blu per scaricare una sacca da  golf di Luis Vuitton,
–   l’anziano invalido con il cappellino da baseball d’ordinanza che guida semidisteso, gli occhi a fanale appena al di sopra del volante, e cerca di centrarti, costringendoti a fare la figura del toro, davanti ad un corteo di turisti giapponesi che non si esumano da scattare fotografie?

Il trans di piazza Savonarola

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
08/10/2007

Se piazza Savonarola, è una piazza a strati, nel senso che vi si trova di tutto, ma veramente di tutto, nel suo strato più profondo c’è Mery, il trans.
Lo si può trovare a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Non esercita la sua professionalità in piazza.
Si limita a portarci i cani.
Due orrendi Chihuhua, lunghi non più di trenta centimetri.
Legati alla loro padrona con un guinzaglio a molla da dieci metri.
Mery fuma le multifilter.
Lunghissime, una dietro l’altra, tutte consumate fino a bruciare le dita.
Viene da Trani.
Ed è un personaggio dalle frasi storiche.
Sul genere: "non è importante come si nasce. Guarda me: sono un carciofo che è diventato un fiore".
Oppure: " i cani sono cani. Non si possono confondere i cani con i bambini".
O, ancora, "non sopporto gli anziani con i badanti. La solitudine è uno stato dell’anima che si deve affrontare con dignità".
La si vede sempre a parlare con le mamme dei bambini.
Fa gente e le piace farsi ascoltare.
Consiglia generosamente in caso di crisi coniugali, raccontando del suo uomo, che russa, le ruba le coperte.
La costringe a dormire seduta su un angolo del talamo.
Ma è un vero uomo.
Un torello, secondo quanto dicono i vicini che godono la colonna sonora dei loro amplessi a finestre aperte durante il periodo estivo.
Mery porta lunghi capelli ossigenati, un’ombra di baffi, i seni a balcone – a terrazza, si potrebbe dire -, i jeans attillati sul bacino per far vedere il successo della operazione di riattribuzione chirurgica del sesso.
Ed è triste.
Tristissima, nella sua continua ricerca di una credibilità borghese.

Se Dio fosse

6 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
07/10/2007

Se Dio fosse semplicemente un ingegnere che costruisce mondi.
Con una grande barba bianca.
DioEd un monile a forma di triangolo con un occhio nel mezzo,
Ecco, allora, mi piacerebbe immaginare questo ingegnere, che accende il computer.
Un mac, naturalmente.
Si connette.
Una lan che corre alla velocità del pensiero.
E lancia messanger o un qualsiasi altro programma di chat.
Distratto.
Senza voglia di fare nulla.
Curioso di capire che cosa ha creato.
Che cosa si dicono quelli che ha creato quando parlano fra sconosciuti.
Mi immagino questo stravagante Dio ingegnere, i capelli spettinati come Yul Brynner, che impara a scrivere mmmmmmmmm.
Che riceve proposte di sesso virtuale: ehi, dio, ho una bottiglia di acqua gelata in frigo, che dici, la devo prendere?
Che scova il blog della signorina che ama le sculacciate, o del tizio che si pensa Milo Manara, o della donna che racconta l’impossibile amore normale di una persona su quattro ruote.
Me lo immagino mentre raccoglie tutta questa tristezza.
Scrive i suoi commenti, indeciso, perplesso ma curioso.
Finché, stanco, con gli occhi gonfi di chi ha navigato per l’intera notte del settimo giorno, non va a riposarsi.
Indeciso se creare il prossimo mondo.

Lapo ed Hitler

4 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
06/10/2007

Mentre Augias discetta dell’omosessualità latente o della palese bisessualità di Hitler, Gene Gnocchi domanda se Lapo è un citrullo.
Giovedì, un intorno di mezzanotte, salotto borghese, zappando fra rai tre e rai due.
Lapo ed Hitler.
Un dico della prouderie televisiva.
Di quel vedo e non vedo, che ha trasformato Lapo in una vittima della cocaina.
E non più in un disgraziato (ma il disgraziato vero non ha i soldi né per la cocaina, né per i travestiti) che si è trovato nell’imbarazzo delle prime pagine, a causa della perfidia di Moggi (e va bene che il nostro è un paese che vive di complotti e dietrologie, ma qui si è esagerato sul serio).
l05novHo sempre trovato difficile non provare pena, rabbia, schifo e malinconia per Lapo.
Soprattutto da quando hanno iniziato a pagarlo per stare lontano dagli affari di famiglia, per portare le sue basette in un altrove fatto di occhiali disegnati da entomologi.
Lapo è rinato grazie al marketing.
Il povero Adolfo è stato travolto dalla propaganda dei vincitori.
Ma se il fratello di Adolfo si fosse chiamato Alan, se il suo nonno fosse stato Gianni, noi consideremmo i suoi baffetti, eco di una cespugliosa faccia a culo, l’incarnazione del male?
O saremmo stati convinti che anche lui era una vittima coraggiosa, che aveva trovato il coraggio di uccidersi vinto dal rimorso?
Un amante degli animali, con una singolare idiosincrasia per gli ebrei causata dalle botte durante l’infanzia?
No.
Non mi pare corretto.
Le cose hanno bisogno di essere chiamate con il loro nome.
Lapo è un giovanotto che si fa (o si faceva) di cocaina e ha (o aveva) dei gusti sessuali complicati da esibire in società.
Esattamente come Adolf Hitler è stato un pazzo di talento che è riuscito a demolire lo spirito di una nazione.
Un cazzaro inimmiginabile.
E assolutamente detestabile.

Bertinotti e Calamandrei

1 Comment/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
06/10/2007

Il compagno Bertinotti ha deciso di recitare Piero Calamandrei, in uno spettacolo dedicato a Danilo Sbolci.
Ho vissuto a lungo in uno studio che era stato lo studio Calamandrei.
Bertinotti Dove la presenza di Calamandrei, i suoi libri, i suoi appunti a margine, le sue memorie, non solo processuali, si potevano toccare.
Non vi era un angolo senza uno foto di Calamandrei.
Di Calamandrei conosco mille aneddoti.
Quella volta che discuteva in Cassazione dinanzi ad un presidente svogliato che fece cenno di tagliare la sua arringa e ricevette come risposta "Vede, Eccellenza, se leggessi, potrei leggere una pagina si ed una pagina no. Ma gli è che parlo a braccio".
O quell’altra che cominciò a discutere, attento, preciso, brillante, finchè il suo giovane di studio non gli tirò la manica della toga: "Professore, noi siamo dall’altra parte" e lui "Vede, Eccellenza, questo avrebbe potuto dire il mio avversario, se ne fosse stato capace, ma se anche lo avesse detto, avrebbe avuto torto. Ed ora le spiego perché …"
Soprattutto conosco bene la sua personale angoscia.
Per tutta la vita fu tormentato dalle Fosse Ardeatine, rappresaglia ad un attentato che aveva organizzato suo figlio Franco.
Anche da questa consapevolezza è nata la retorica angoscia di quella lapide che era appesa nella stanza del professore che mi accompagnò fino alla tesi di laurea:
___
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio del torturati
più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA
___
Di Calamandrei conosco il dolore per la morte dell’amico Enrico Bocci – avvocato -, torturato a morte da quella Banda Carità che la magistratura fiorentina di recente ha quasi riabilitato nella sentenza di assoluzione dei suoi apologeti.
Conosco il suo dolore per non avere mai avuto il coraggio dell’amico che aveva continuato a scrivere, resistere, vivere a Firenze, mentre lui si era ritirato in campagna, verso Montepulciano:
___

VIVI E PRESENTI CON NOI
FINCHE' IN LORO
CI RITROVEREMO UNITI

MORTI PER SEMPRE
PER NOSTRA VILTA'
QUANDO FOSSE VERO
CHE SONO MORTI INVANO
____

So e ricordo che Calamandrei è fisicamente morto di povertà.
Pur essendo uno degli avvocati più importanti del paese, pur essendo professore universitario e presidente del consiglio nazionale forense, non trovava mai il tempo di scrivere le notule e la voglia di farsi pagare non faceva parte del suo carattere.
Calamandrei Così, quando arrivò il momento di una banale operazione dovette andare nell’ospedale di tutti e lì fu macellato, da qualche specializzando di cui non si è mai saputo il nome.
Troveremo tutto questo nella recitazione di Bertinotti?
Cosa c’entra questo brillante politico e sindacalista con Piero Calamandrei?
A me, pare quasi osceno che la memoria di Calamandrei sia recitata dal comunismo di cachemire (o cashmere?) di Bertinotti.
Anche se forse non si può dire, nella sua erre moscia, nel suo dibattere brillantemente fatto di nulla, mi sembra che la generazione di Calamandrei, Bocci, Amendola, Spartaco Lavagnini, Gobetti, Carlo e Nello Rosselli, sia davvero morta invano.
Ancora più che nei capelli trapiantati da non si sa dove (ma si immagina) di Berlusconi o nelle autoreggenti della Brambilla, cui – lo ammetto, è la seconda volta che le cito – sto iniziando ad affezionarmi.

Fiocco di Neve

2 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
04/10/2007

Non so come si chiami.
So solo che vive appoggiato ad un banchetto che vende trippa e lampredotto.
Nel pieno centro di Firenze.
Lo chiamano Fiocco di Neve o Chicco di Riso.
Perché è completamente stempiato.
Anzi, no.
Ha un terribile riporto che adagia sul colmo del capo.
Un riporto unto e bisunto.
Molto milordo.
Ed una forfora perenne, da campionato del mondo, che, quando si china, gli rende la testa simile ad una sfera di vetro con le gondole.
O con la casa di Babbo Natale.
Vive appoggiato a questo banchetto.
Aspettando che la pietà del gestore riempia il suo bicchiere.
Lo guarda a lungo.
E lo beve di un fiato.
Alla maniera di un alcolista cronico.
Oggi si è spostato.
Aveva i capelli tagliati di fresco.
Camminava con un energia strana nelle gambe.
Anche Fiocco di Neve potrebbe iniziare una nuova vita.

Piazza Savonarola

1 Comment/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
04/10/2007
Piazza Savonarola è una piazza idiota.
Quadrata.
In quello che fu il quartiere ottocentesco degli artisti.
E che oggi è un frinire di banche, studi legali, famiglie borghesi, o più che borghesi.
Piazza Savonarola sono i bimbi che si arrampicano sulla statua del predicatore rompicoglioni.
Immag044Di quel predicatore che bruciava i dipinti del Botticelli e che fu bruciato, alla fine, da una città che non è mai stata fortunata per i santi.
Piazza Savonarola è una realtà a strati.
Anziani con i badanti.
Bambini malati cronici che vengono portati con le loro carrozzelle da un ospedale non lontano.
Domestici, di ogni genere e colore.
Professionisti, più o meno affermati.
Bancari e banchieri.
I figli di quella borghesia che vive qui dalla fine dell’ottocento.
E così via.
Tutti questi strati si ricompongono intorno ad un chiosco.
Dove una sudamericana – improbabile e completamente alcolizzata – mischia mojito dalle sette di sera alle sei del mattino, bevendo birra Heineken in continuazione.
Piazza Savonarola sono le mamme che accompagnano i bambini.
E che si fermano a bere un aperitivo, fingendo che sia troppo forte, affettando di non essere abituate a bere.
E’ la mamma di una splendida bimba del colore del cioccolato.
Una donna coraggiosa.
Che quando si è accorta di essere incinta (è piuttosto robusta e se ne è accorta verso il quarto mese) ha convocato tutti e tre i partner del periodo fertile per dire loro che aspettava un bambino, ma non sapeva chi fosse il padre.
E uno di questi si è convinto di essere riuscito ad avere un figlio.
Le è stato accanto per tutta la maternità.
Fino al giorno in cui la pancia infinitamente sterminata ha prodotto la  bambina cioccolato.
Ed è andato via, direttamente dalla sala parto.
Senza più tornare.

Australia

3 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
04/10/2007

Ieri mi hanno scritto dall’Australia.
Mi ha scritto uno dei miei migliori amici.
E’ più giovane di me.
Non troppo.
Ma è più giovane.
Lo ricordo poco più che bambino.
In quei momenti in cui pochi anni separano un ragazzo da un uomo.
Ricordo una notte passata a parlare di tutto e di nulla.
Una orrenda bottiglia di grappa alla ruta che finimmo.
E che restituimmo per intero insieme ai nostri succhi gastrici.
E’ una di quelle persone in cui si può avere fiducia.
Incondizionatamente.
Persone rare.
E’ partito per l’Australia.
Ha deciso di emigrare.
Con la cartella di cartone di chi ha bisogno di realizzare i propri sogni.
Forse, nemmeno i suoi sogni.
Ma i sogni di sua moglie: giovane architetto in cerca di impiego, con una concreta prospettiva da desperate housewife.
Lui, in fondo, i suoi sogni li poteva realizzare anche da noi.
E’ un sistemista bravo e preciso.
Mi manca, anche se non ci sentiamo quasi mai.
Mi manca la sua dolce ingenuità.
Ed ammiro il suo coraggio.
Il coraggio di partire lasciando tutto alle spalle.
Per cercare lavoro.
Senza nessuna certezza, se non quella che se le cose vanno male sarà difficile ritrovare quello che si è lasciato.
Mi ha scritto che Sidney è un incrocio fra il centro di NY e l’america anni 50 di Paris Texas.
Quella america che Wenders ricostruisce come se tutto si fosse fermato negli anni 50.
E penso spesso a lui, nella speranza che i suoi sogni si avverino.

Il giovane Scaccabarozzi

1 Comment/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
03/10/2007

Il giovane Scaccabarozzi si è laureato prestissimo.
Con una media himalayana.
Ha vinto un premio prestigioso con una tesi dal titolo assurdo.
E’ diventato l’assistente prediletto del suo maestro.
Il giovane Scaccabarozzi, senza voler offendere la sua attenta suscettibilità di audace luminare del diritto, è sempre stato un perfetto leccapalle.
In quegli anni, lavorava in un sottoscala.
Accanto alla stanza del Professore, che naturalmente non era un sottoscala.
Con lo Scaccabarozzi lavorava un giovane avvocato.
Uno di quei tipi che scherzano sempre.
Alto quanto lo Scaccabarozzi è minuto, atletico quanto il fisico dello Scaccabarozzi è pallido e panciuto.
Un bell’uomo nella misura in cui lo Scaccabarozzi ha il fascino erotico di un repertorio di giurisprudenza del Foro Italiano.
Il Professore aveva una singolare abitudine.
Verso le otto andava sempre via da studio.
A cena, al cinema, ovunque.
Il Professore era un viveur.
Tornava verso le due a riprendere la macchina per tornare a casa.
Lo Scaccabarozzi appena il Professore usciva, chiudeva baracca e burattini e si catapultava dalla mamma, che gli preparava le fettuccine aglio e olio o il fegato con la salvia.
Tornava in studio verso mezzanotte, in modo da farsi trovare alla scrivania.
Chino sulle carte.
Pallido, illuminato da pochi watt, gli occhi consumati dalla febbre di piacere.
Il Professore lo trovava sempre lì.
Gli accarezzava il viso, con quella sua aria paterna – il Professore era bravissimo a sembrare un padre, quando era una merda – e lo invitava a tornare a casa, sapendo che lo Scaccabarozzi sarebbe restato.
Imperterrito uomo di marmo.
Un giorno, il suo collega, il giovane avvocato brillante che si è detto, si ruppe i coglioni della pantomima.
Caricò in macchina un orrendo troione dai viali.
Uno di quei mostri di rossetto e cerone che non si vedono quasi più.
Uno di quegli oggetti che portano addosso l’odore di mille sudori diversi.
Appena il Professore lasciò solo lo Scaccabarozzi, il collega spalancò la porta del sottoscala, infilò il troione nella stanza e chiuse la porta a chiave.
Fu così che lo Scaccabarozzi fu liberato dalle segretarie al mattino.
Chino sulle sue carte.
Il troione sdraiato per terra che russava il suo sonno osceno.
E fu così che la dedizione del povero Scaccabarozzi venne premiata con la notifica – a mezzo di pubblici proclami – di un decreto ingiuntivo per prestazioni corrisposte ma non godute.
Quel decreto ingiuntivo è stato affisso per anni all’albo degli avvocati.
Lo Scaccabarozzi non voleva ritirare la notifica.
In ogni caso, non passò molto tempo che la perfidia dello Scaccabarozzi, fra i cui pregi non vi è la disponibilità al perdono, fece in modo di allontanare il giovane avvocato dallo studio del Professore.

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