Il compianto è un luogo dello spirito.
Cristo non muore solo.
Muore nelle lacrime di sua madre.
Muore nelle lacrime della sua amante.
Muore nelle lacrime dei suoi apostoli.
Non c’è solitudine più grande della solitudine della morte.
Gli ultimi giorni sono un liquido più freddo del demonio e più forte dell’inferno che brucia le viscere.
Aceto per ingoiare il sonno e per dimenticare i sogni.
L’ultimo giorno è un compianto fatto di visi che si chinano su di un corpo.
Aceto ha portato un sonno fatto di freddo e piombo: ha divorato sogni d’uomo e speranze troppo fragili per diventare vere.
Una madre guarda il corpo morto cui ha donato la vita. Niente può strappare di più il cuore della inutilità di un parto.
Una donna, capace di vendere piacere, di trovare appagamento nell’orgasmo di chi paga per sprecare il proprio sperma e versare saliva in una bocca, perché anche la prostituzione è un’arte, bacia i piedi che avrebbe voluto amare.
La Maddalena è una prostituta che avrebbe voluto amare. La morte di Cristo è anche il rifiuto di quell’amore. Cristo non sarebbe morto se si fosse lasciato andare all’abbraccio, carnale ed esperto, dell’amore di una puttana.
C’è un che di alvarovitalesco nell’apertura di Zingaretti al Movimento 5 Stelle e, contemporaneamente, a Draghi.
Di quel suono vitale e terribile che il Pierino di Alvaro Vitali rendeva comico e sornione.
Con certezza, il Movimento 5 Stelle non può vedere bene Draghi al Governo. Dopo avere abbracciato la Lega e il partito di Bibbiano, adesso non può arrivare all’amplesso anche con l’Eurotower. Assomiglierebbe troppo a un atto contronatura vissuto senza vedere il partner.
Troppo anche per le spalle di Casalino.
In questa situazione, il Movimento 5 Stelle è destinato a spaccarsi su un fronte meramente apparente: l’idea che il Governo Draghi possa essere un Governo politico. Draghi sa benissimo che se fosse un Governo politico, ovvero basato su di un accordo di coalizione, sarebbe schiavo dei partiti che hanno concluso tale accordo. Di conseguenza costruirà un Governo politico perché capace di guidare una linea unificante per tutti i partiti, i quali, in questo modo, possono rinviare le elezioni fino al termine della Legislatura, pensare alle prossime elezioni del Capo dello Stato, scaricare sulle spalle di un Governo altro da loro le tensioni allocative generate dal Recovery Plan, ma non politico perché collegato ai partiti politici.
Tutte cose che Zingaretti sa perfettamente, ma che non dice né sussurra a Di Maio.
Lo illude di un nuovo Governo politico fondato sul loro accordo di coalizione.
La verità, la loffa verità, è che in questo modo porta il Movimento 5 Stelle alla rottura e spera di guadagnare più dai suoi spezzoni che dalla sua alleanza.
Una verità piuttosto imbarazzante e che può essere gestita solo con l’ipocrisia del silenzio. La stessa strategia di chi diffonde il più tremendo degli odori che un vivo possa generare senza neppure la cortesia di un preavviso sonoro.
Non si regalano le ultime parole di un morto
Non si regalano quattro fogli strappati da un quaderno e scritti senza bella copia
Perché è un dono senza gioia e i doni dovrebbero essere sempre sorrisi
Eppure quella ragazza che non ho mai conosciuto,
Quel suicidio che ho sempre sentito raccontare perché ha continuato a morire nelle vite di chi ha dovuto cremare un corpo
e seppellire un rimpianto senza speranza, una condanna passata in giudicato per la distrazione di un avvocato disordinato,
adesso piange anche dentro di me
Vorrei che tutto questo non fosse stato invano
Solo questo scrive, in fondo, oltre alla volontà di donare gli organi e l’assurda richiesta di non provare dolore:
Morire è insopportabile se si è vissuti invano e quando si vive invano si muore ogni giorno
Ogni giorno è il testamento delle parole non dette, dei baci non dati, delle carezze restate sulla tela di quadri che sarebbero stati bellissimi se fossero stati vissuti invece che dipinti
Non si regalano le ultime parole di una ragazza stanca di vivere a diciotto anni o poco più
Ma quando le si donano, chi le riceve può solo scriverle nella propria mente:
la stanchezza desidera l’oblio, stancare chi si ama lo porta a desiderare la morte e l’invano rende la morte ancora più terribile.
Vorrei che tutto questo non fosse stato invano
anche queste parole sono state inutili, povera amica mia: perché quando una vita è inutile, la morte è altrettanto priva di senso e se ci deve essere un Paradiso vorrei che fosse prima di tutto per chi, come te, si è stancato di vivere prima di poter vivere davvero.
Oggi, semplicemente, l’Arno è in tempesta
Una tempesta di fiume basta ad annegare
Non è necessario un oceano
Basta una tempesta di fiume
Poche cose bastano ad uccidere
Perché la morte è sempre lo stesso silenzio.
La velata è una donna sposata
Questo significa quel velo: che nessun uomo la può toccare o desiderare
Il simbolo di un comandamento: Non desiderare la donna d’altri, non desiderare la donna che indossa il velo
La donna è un velo che cade solo per un uomo, l’uomo cui lei ha deciso di appartenere, l’uomo che ha deciso di guadagnarsi quella fedeltà
Il velo non è un ornamento, è il parochet, la tenda che nel tempio nasconde l’arca dell’alleanza
La velata di questo sogno ha strappato il suo velo
Si è liberata dall’alleanza
Ha calpestato ogni vincolo
Ha deciso di camminare libera verso ciò che, semplicemente, la fa sentire viva
Di lasciarsi toccare, desiderare, persino stuprare, da qualsiasi uomo la desideri
Di diventare Venere
A un solo patto: nessuno le imporrà più il suo velo
E allora lei sarà tutto ciò che si può desiderare
A un solo patto: nessuno può pensare di possederla, nessuno tranne forse quel pittore che ne è riuscito a cogliere l’enigmatica essenza
Perché questo racconta il quadro di Raffaello: lei porta il velo e ne è felice perché il suo uomo ha saputo cogliere ogni segreto della sua anima nelle pieghe del dipinto
Ma la velata di questo sogno ha rinunciato a lasciar dipingere la sua anima, troppe volte è stata dipinta senza comprensione, troppe volte è stata raccontata in grottesche d’arte degenerata, si è stancata, ha squarciato il velo che la imprigionava in un’arca e ha ricominciato a danzare, lontana dai dipinti che amandola la tradivano.
Prima il dovere può essere considerato il filo rosso della tua vita.
Per molti anni, hai messo davanti a tutto il dovere.
Il dovere di essere quello che gli altri avevano bisogno che tu fossi, di indossare un sorriso perfetto, di essere all’altezza dei loro sogni.
Non quando ti ho incontrata. Quando ti ho vista per la prima volta avevi trovato la persona che aveva saputo guardare dentro di te. Ricordo sei parole, dette con la grazia con cui sfioravi l’essenza delle cose senza la volgarità di renderlo palese: Prima di conoscere G, mi sentivo invisibile.
Una notte di dieci anni fa, mentre ballavi come una ragazzina con G e quegli arruffati capelli bianchi che avresti sposato nove anni dopo e per meno di un anno, quando sapevi che il matrimonio non avrebbe distanziato il destino.
Un destino senza compassione e senza pietà ti ha condannata a morire, a tornare nel mondo di prima, quando il dovere veniva anzitutto.
E sei andata via, la mattina di Natale, dopo avere ordinato il pesce per la Vigilia, dopo avere provato a cenare con le persone che più amavi, dopo esserti lasciati cullare dal rumoroso trastullarsi di tua nipote, dopo essere riuscita a preparare una casa nuova in cui sapevi che non saresti vissuta a lungo, la gioia di lasciare il tuo ordine per quegli arruffati capelli bianchi che adesso sono restati soli perché dopo di te la solitudine è un antro ancora più profondo.
Sei andata via sussurrando che ti dispiaceva. Come se la morte, persino la morte del più subdolo dei tumori, fosse colpa tua. Eri abituata così: quando il dovere viene prima di tutto, ci si sente colpevoli anche per la pioggia.
Sei andata via come chi lascia una festa perché viene chiamato altrove da un dovere a cui non si può dire di no e non ha il tempo di salutare tutti. Come una ragazza di buona famiglia che viene chiamata dal padre prima di mezzanotte e si allontana dicendo al fidanzato deluso che avrebbe ancora voluto ballare con lei che le dispiace di quel padre un po’ tiranno .
Non eri una persona che sarebbe restata fino alla fine. Non si addiceva alla tua grazia sopravvivere. Solo questa consolazione mi viene in mente: che se sei andata via troppo presto, per te sarebbe stato orrendo restare dopo la fine, quando le bollicine hanno perso il perlage e gli alcolici sono impastati nella bocca di chi ha già bevuto troppo.
Perdonami per queste parole che ho durato fatica a trovare perché tu mi leggevi e ti piaceva leggermi, sicché ti ho voluto scrivere come se tu mi potessi ancora leggere nel luogo in cui sei volata.
Chi sa scrivere vede l’immagine dei sentimenti e conosce il suo nome mentre la evoca sulla tastiera. Si sa scrivere quando i sentimenti sono immagini. Non quando sono un ricordo che piange forte dentro di noi.
Sono cattivo quando dico la verità.
Che è un esercizio che non amo. E’ inutile dire la verità a chi non l’ama e chi l’ama non ha bisogno delle mie parole.
Che è un esercizio crudele perché la verità serve per guardare in faccia quello che non si vuole vedere.
Così diventa buona la pietà delle bugie o la compassione del silenzio.
Ma mi ostino a dirla, ad essere crudele con quel pezzo di me stesso che ogni giorno si lascia morire, cercando la pace nei crampi della fame.
Mi ostino a non essere all’altezza dei suoi desideri, ruvide parole che dicono sempre la stessa cosa: non voglio smettere di amarti anche se so che amare è innamorarsi di un sogno, non si ama che se stessi, si ama un’immagine che abbiamo costruito dentro di noi, prendendo dalla nostra corteccia cerebrale i pixel che definiscono la persona che amiamo.
So benissimo che il padre che ami non sono io, è una parte di te.
Io devo solo essere all’altezza di questa immagine. Decidere di essere la persona che tu ami per poter essere amato da te.
E’ difficile, amore mio, farlo mentre la tua vita è una discesa verso un inferno di fame e angoscia.
E’ terribile essere l’amore di un inferno di fame e angoscia.
Così, sempre più spesso, ti dico la verità, ti impongo il dolore di non essere il padre che ami.
Ma, credimi, è un feroce strazio non sentirmi amato da te.
Nessuno sceglie dove nascere.
Neppure Cristo lo ha scelto. E’ nato in una grotta, o così si dice, durante un censimento: non a Gerusalemme e nemmeno a Roma o a Babilonia, come forse avrebbe preferito.
Non si sceglie dove si nasce e non si scelgono i genitori.
Nemmeno Gesù ha scelto sua madre o suo padre, né quella bambina che era stata scelta per lui da un arcangelo tanto algido quanto freddo e distaccato, né quel poveruomo che si è ritrovato un figlio d’altri in casa.
Eppure un genitore ha un dovere, un dovere solo, di desiderare quel figlio, anche se non lo avrebbe voluto. Anche se diventa altro da quello che avrebbe voluto mentre lo guardava in culla e pensava che non ci fossero altri bimbi più belli di questo. Una illusione feroce, necessaria per sopportare tutti i giorni in cui lo si vede crescere diverso e lontano dai propri sogni.
Il dovere di essere il miglior genitore per un figlio che non avrebbe voluto, per un figlio che ogni giorno si allontana dai sogni che si erano fatti guardandolo dormire nella sua culla, comprando giocattoli o insegnandogli a pedalare dritto, senza rotelle.
E lo stesso è per un figlio: accettare che i propri genitori non siano gli eroi della sua infanzia. Siano fragili, dimessi, distaccati, preda di ogni dubbio, spaventati dalla sua adolescenza e dai suoi successi.
Essere il miglior figlio per dei genitori che non si è desiderato, che ci hanno traditi, che si sono allontanati da noi ogni giorno, che non hanno capito il nostro dolore o le nostre gioie, che non ci hanno saputi vedere con l’amore che ci aspettavamo da noi.
E’ un mare l’amore che collega un figlio ai suoi genitori. Assomiglia al mare, ha lo stesso colore del mistero di un oceano che, a tratti, è sereno come il Sole di luglio e, subito dopo, sa essere tempesta come la Manica d’inverno. Il mare forma gentiluomini e pirati, ufficiali e pescatori perché sa essere cattivo e amorevole nello stesso tempo ma è sempre lontano e imprevedibile. Il mare è un cuore che sa timonare o la paura che si lascia travolgere.
Così è l’amore per un figlio o per un padre. Un mare che può far diventare grandi o che può perdere per sempre.
Freddy è una ragazza ferma sulla panca gelida del corridoio di attesa.
Freddy è con suo padre e suo padre indossa gli scarponi da muratore e le mani che conoscono il freddo della calce.
Ha la pulizia e l’odore di sapone di chi è abituato a lavorare con le mani.
Freddy ha le unghie colorate di nero e un cellulare con la custodia di Hello Kitty.
Ha i capelli lunghi, biondi e il viso sembra dolcissimo dietro la mascherina.
Freddy indossa lunghi pantaloni neri, svasati. Calzini da tennis bianchi, scarpe da ginnastica.
Il padre si china. Vede un filo di lana sui calzini. Si china e lo toglie. Con tutta la dolcezza di cui è capace.
Alza leggermente i pantaloni e si intravedono delle calze nere.
Li riabbassa con una carezza.
Perché Freddy si chiama Fernando. Non è una ragazza anche se si tinge le unghie e porta le calze e si è ammalato di anoressia.
Non riesco a non pensare che dai figli si sopporta tutto e ad avvertire tutto il mio fastidio per questo pensiero.
Dai figli non si deve sopportare niente perché se si sopporta significa che i figli quando sono quello che sono non sono quello che desideriamo che siano.
Ma un padre non ha il diritto di sperare che suo figlio sia qualcosa piuttosto che qualcuno, sia in un modo piuttosto che in un altro.
Ha il dovere di amare quello che è, nella sua nuda essenza di essere umano.
Di alzare, senza volere, un velo e riabbassarlo.
Baciandolo come quando si dà la buonanotte a un figlio appena nato e non si capisce che si sta baciando la propria speranza.
Come barbari che promettono il sacrificio del primogenito.